La difficile scommessa della stabilità in Libia

Dopo la Conferenza di Berlino, la sfida per l’Europa e per l’Onu dovrebbe essere quella di una visione complessiva sui conflitti e migrazioni dall’Africa di cui non si conosce abbastanza, raccomanda l’esperta di demografia e migrazioni Laura Terzera

Fausta Speranza – Città del Vaticano

E’ vivo il dibattito sul processo di normalizzazione della Libia. Il lungo comunicato finale – 58 punti divisi in sei sezioni – pubblicato al termine della cosiddetta Conferenza II di Berlino che si è svolta il 22 giugno –  ripete richieste e promesse che erano già state messe nero su bianco in altri documenti: dalle conclusioni di Berlino I, a gennaio 2020, all’accordo per il cessate il fuoco, a ottobre 2020.

La Conferenza II, che ha incluso i rappresentanti del governo segnando così un significativo passo in avanti rispetto alla prima nel 2020, ha ribadito importanti dichiarazioni di principio ma non ha portato a impegni concreti per far sì che la data delle elezioni del 24 dicembre possa essere rispettata. Per l’avvio di una reale fase di normalizzazione del Paese servono passi avanti significativi sul fronte interno ma anche un’assunzione di responsabilità da parte di Paesi stranieri chiamati a ritirare le forze militari dispiegate sul territorio.

Non può esserci un ruolo significativo della comunità internazionale nel caso libico senza allargare l’orizzonte e senza cercare una visione politica a lungo termine: è quanto raccomanda Laura Terzera, docente di Demografia sociale (mobilità e migrazioni) all’Università Bicocca di Milano:

Terzera sottolinea l’importanza di cercare di capire la sfida epocale che ci troviamo di fronte. L’Unione Europea, che si affaccia sul Mediterraneo, è direttamente interessata – chiarisce la studiosa – ma l’Onu è altrettanto coinvolta perché si tratta di una situazione potenzialmente esplosiva e molto grave, per i morti in mare e per le violenze ai danni dei migranti nei campi in Libia e non solo. Terzera chiarisce che le implicazioni sono tante. Ricorda che c’è anche un effettivo deficit di informazione: sappiamo qualcosa – spiega – di quello che alcuni reportage giornalistici, che definisce coraggiosi, raccontano su alcuni campi, su alcune violenze, su alcune storie, e ci sono poi i dati di alcune ong, ma – afferma – non possiamo dire che si tratta di dati completi organicamente organizzabili.

I buchi neri dell’informazione

Terzera sottolinea che se di quanto accade nel Mediterraneo e in Libia sappiamo qualcosa, invece davvero non abbiamo nessuna informazione di quello che accade nelle tratte che portano in Libia. Non ci sono resoconti, dati dei percorsi dei migranti sulla rotta “diretta” in Africa. E la docente avverte: i drammi, le tragedie di cui veniamo a conoscenza per quanto riguarda il tragitto verso l’Europa e sulla rotta che passa per la Turchia potrebbero non essere nulla in confronto a quanto accade nei tragitti interni nel cuore dell’Africa. A proposito della situazione in Libia va detto che è positivo l’annuncio della riapertura della strada costiera tra Misurata e Bengasi: si tratta di un nodo importante perché apre all’arrivo sul campo degli osservatori dell’Onu con il compito di monitorare il cessate il fuoco e rilevare, probabilmente, l’avanzamento del ritiro dei mercenari.  Terzera sottolinea l’importanza dell’arrivo effettivo del personale delle Nazioni Unite, auspicando che abbia libertà di manovra perché – ribadisce – è fondamentale  far sapere qualcosa dei progressi su questo fronte.

La necessità di una visione

L’esperta ricorda che siamo di fronte a flussi epocali, che non si può continuare a ragionare in termini di emergenze di un periodo. Solo se la politica si assume la responsabilità di uno sguardo a lungo termine – chiarisce – si può pensare di parlare di strategie, altrimenti si tratta solo di interventi destinati a risultare insufficienti. Ricorda che l’Europa è un continente in cui si fanno pochissimi figli mentre l’Africa è un continente giovane in cui si moltiplicano le nascite e sottolinea poi altri fattori scatenanti: la fame, i confitti e le diseguaglianze sociali che portano a migrare. Anche solo questi elementi – dice – devono far capire quella che sarà la tendenza di domani. Guardando agli anni passati, Terzera spiega che il processo verso l’Europa unita ha significato un percorso lungo e difficile durante il quale i Paesi hanno continuato a muoversi su piani di accordi bilaterali, anche per la storia pregressa del colonialismo e dei rapporti intessuti. Questo ha contribuito a rendere debole la visione e soprattutto l’ha tenuta legata alle logiche della politica a breve termine.

I nodi da sciogliere sul piano politico interno della Libia

A Tripoli il nuovo governo transitorio di unità nazionale, che si è insediato a febbraio 2021 e che è guidato da Abdul Hamid Dbeibeh, ha il compito di traghettare il Paese verso le elezioni previste per il 24 dicembre. Regge per ora il cessate il fuoco concordato otto mesi fa. Il testo della Conferenza reitera la data del voto ma non segna passi in avanti per il suo svolgimento: non c’è nulla di concreto per la normativa elettorale, non è stato stabilito nulla a proposito della necessaria base costituzionale. Resta anche da valutare il percorso per il rinnovo di posizioni strategiche come quella dei vertici delle principali istituzioni economico-finanziarie, a partire dalla Banca Centrale.  Nel Paese c’è un governo di unità nazionale ma le Forze Armate sono tutt’altro che unificate e  gli apparati di sicurezza devono essere risistemati.

La presenza di truppe straniere e mercenari

Nel documento finale della Conferenza II di Berlino viene ribadita la richiesta di far ripartire dal territorio libico le migliaia di militari stranieri attualmente presenti: l’ONU ne stima 20.000. L’articolo 5 chiede il ritiro di “tutte le forze straniere e i mercenari”. Il testo non è cambiato rispetto alla bozza iniziale, trapelata alla vigilia del vertice: non specifica quali mercenari si debbano considerare – se solo i citati mercenari siriani che combattono in Libia su entrambi i fronti o anche altri soldati o consiglieri di altre nazionalità – e non  prevede alcun meccanismo specifico per l’implementazione del ritiro. Secondo i media statunitensi, russi e turchi starebbero effettivamente contrattando un ritiro graduale dei loro mercenari, ma l’accordo non è stato ancora siglato. Va considerato che sono migliaia i mercenari ciadiani, sudanesi e di altri Paesi subsahariani che gravitano attorno alle fazioni libiche rivali.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/libia-migranti-diritti-umani-informazione.html

Un parroco e quattro fedeli rapiti in Mali

Continuano le violenze nella regione centrosettentrionale del Mali. Un sacerdote e quattro persone sono state rapite, alcuni militari francesi sono rimasti feriti durante un’operazione di ricognizione. Si conferma il dramma dei gruppi jihadisti che imperversano in una situazione di instabilità politica, come spiega suor Myriam Bovino dalla missione dell’Immacolata Regina della Pace (SMIRP) fuori Bamako

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Cinque cattolici maliani tra cui il parroco della cittadina rurale di Ségué, appartenente alla diocesi di Mopti, padre Leon Dougnon, sono stati sequestrati nella provincia di Mopti. Tra questi ci sono anche il sindaco e il vice-sindaco di Ségué, Thimothé Somboro e Pascal Somboro, ed altri due membri della comunità, Emmanuel Somboro e Boutié Tolofoudié. A confermarlo, dopo  l’allarme lanciato da padre Kizito Togo parroco della cattedrale di Mopti, è stato padre Alexis Dembélé, membro della Conferenza episcopale nazionale (Cem). Il gruppo si stava dirigendo in auto verso la capitale, Bamako, per assistere al funerale di padre Oscar Tehra.

Il rapimento non sembra sia stato ancora rivendicato ma dopo varie telefonate a padre Dougnon, una voce ha risposto al suo cellulare confermando l’ipotesi che il religioso si trovi in mano ad un gruppo jihadista. Cresce la paura tra la popolazione, come afferma suor Myriam Bovino che si trova nella missione dell’Immacolata Regina della Pace (SMIRP) nei pressi della capitale Bamako:

Suor Myriam racconta del senso di dolore, preoccupazione che ha pervaso tutti alla notizia di questo ennesimo rapimento, così come di altre notizie di violenze che – aggiunge – si sentono giornalmente e riempiono tutti i canali di informazione. Spiega che la popolazione è molto angosciata e che in effetti da anni dilaga l’insicurezza ma poi raccomanda anche di non dimenticare che c’è un’altra grande fetta di gente che  vive in modo pacifico. Suor Myriam sottolinea che nel Paese si rimpiangono periodi in cui la convivenza tra etnie poteva creare tensioni ma poi si risolvevano, mentre oggi – afferma – non si capisce bene chi provoca scontri e quali interessi, anche stranieri, ci siano in ballo. E’ difficile – spiega – distinguere tra violenza jihadista e criminalità organizzata, che approfitta del fatto che non ci sono forze in grado di assicurare un reale controllo del territorio.

Un’area nota per la presenza jihadista

In seguito all’annuncio del “ridimensionamento” dell’operazione francese Barkhane nel Sahel, sembra che gli attacchi jihadisti siano aumentati in Mali. Lunedì un terrorista suicida si è fatto esplodere davanti a un blindato delle forze armate francesi causando  il ferimento di sei militari e quattro civili maliani, tra cui un bambino. L’attacco è avvenuto vicino alla località settentrionale di Gossi, sulla strada tra Mopti e Gao, un’area che risulta essere una roccaforte di gruppi jihadisti che da lì riescono a colpire anche il vicino Burkina Faso.

Altri ostaggi

Tra i religiosi sequestrati in Mali c’è ancora suor Gloria Narváez, colombiana, rapita quattro anni fa nel nord del Paese e attualmente prigioniera del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), una rete di vari organizzazioni qaediste raggruppatesi nel 2017. Il governo ha fatto sapere che rientrerà senza risultati la delegazione mandata in Mali tre mesi fa per negoziarne il rilascio.

Un decennio di violenze

Le violenze si sono moltiplicate dal 2012, da quando sono emerse tensioni indipendentiste e si è consolidata la presenza di gruppi jihadisti vicini ad Al-Qaeda e al cosiddetto Stato Islamico. Resta l’instabilità politica a livello nazionale tanto che nel giro di nove mesi si sono verificati due colpi di Stato per sostituire il presidente Ibrahim Boubacar Keita. L’ultimo golpe risale al 24 maggio ed ha portato al potere il colonnello Assimi Gota, divenuto presidente ad interim fino alle prossime elezioni.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-06/mali-violenze-rapimento-sacerdote-laici-cattolici.html

Povertà e fuga: in Myanmar è dramma sociale

Tra l’emergenza sanitaria da Covid, nuove povertà e confermate restrizioni, a quasi cinque mesi dal colpo di Stato il Myanmar vive un dramma sociale per il quale il Papa ha lanciato ancora una volta il suo appello, unendo la sua voce a quella dei vescovi. Un richiamo all’attenzione di tutti mentre i riflettori dei media internazionali sembrano spegnersi, come afferma Cecilia Brighi dell’Associazione Italia-Birmania Insieme

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Al termine dell’Angelus domenica 20 giugno Papa Francesco si è unito all’appello dei vescovi del Myanmar che, dopo il colpo di Stato tra fine gennaio e febbraio 2021, sta vivendo un incubo. Nel Paese del Sud est asiatico che in passato si chiamava Birmania, l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia è solo un motivo in più di allarme sociale ma non frena gli spostamenti interni, come conferma Cecilia Brighi, da anni segretario dell’Associazione Italia-Birmania Insieme:

Brighi racconta che secondo i dati della Lega nazionale per la democrazia, il partito di opposizione che fa capo alla leader Aun San Su Kyi, si contano 24 milioni di persone in povertà mentre si moltiplica il numero di coloro che cercano di fuggire dalle loro case andando ad aumentare in modo esponenziale il numero di sfollati interni. Brighi conferma che il Myanmar si trova ad un passo dalla carestia e con i luoghi di culto sotto attacco. Sottolinea che i media internazionali sembra abbiano sostanzialmente dimenticato il Paese a circa cinque mesi dal colpo di Stato, mentre ribadisce che solo il Papa tiene viva l’attenzione. Brighi ricorda che il Papa domenica 20 giugno, ha unito la sua voce a quella dei vescovi.

L’appello della chiesa locale

Brighi ricorda che in particolare l’11 giugno scorso i vescovi hanno chiesto che si tutelino i corridoi umanitari nelle zone di conflitto, si rispetti la sacralità dei luoghi di culto, si salvaguardi la sicurezza dei civili, soprattutto anziani e bambini. Il presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Charles Bo, ha chiesto di difendere la vita di un popolo e, al tempo stesso, ha denunciato la situazione di “migliaia di persone che muoiono di fame e malattie nelle giungle”, senza un riparo adeguato, senza cibo e acqua pulita. Sono state colpite chiese e monasteri, dove gli sfollati avevano cercato riparo dagli attacchi alle loro case,  e in molti casi vengono depredati gli aiuti umanitari destinati a chi si trova nella giungla.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/myanmar-covid-rifugiati-colpo-di-stato-poverta.html

Possibili progressi in tema di accordo sul nucleare iraniano

Prospettive di intesa dal sesto round di colloqui a Vienna per far rientrare gli Stati Uniti nell’accordo sul nucleare iraniano, dopo il passo indietro deciso dall’amministrazione Trump. E’ stato il primo incontro del gruppo 5+1 (i membri del Consiglio di Sicurezza Onu più la Germania e l’Ue) dopo la vittoria alle presidenziali di Teheran del giudice Ebrahim Raisi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Precisamente si chiama  Piano d’azione congiunto globale,  PACG, l’accordo internazionale sull’energia nucleare in Iran   raggiunto a Vienna  il 14 luglio 2015 tra l’Iran  stesso (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – più la Germania) e l’Unione europea. Dopo il ritiro unilaterale di Washington nel maggio 2018, con la presidenza Biden sono ricominciati i colloqui per tentare di ricucire l’intesa.

Il dialogo in corso

Ieri a Vienna c’è stato il sesto round di colloqui, il primo dopo la vittoria alle presidenziali di Teheran del giudice Ebrahim Raisi. Sono stati fatti progressi”, è quanto ha dichiarato Enrique Mora, il delegato dell’Unione Europea, parlando di “maggiore chiarezza sui problemi di carattere politico”. “Siamo vicini ad un accordo, ma non è facile coprire la distanza rimasta. E’ stato il commento del vice ministro degli Esteri   Abbas Araghchi, capo negoziatore di Teheran.

Secondo il New York Times, che cita in modo anonimo alti consiglieri di Joe Biden, questo periodo che precede l’insediamento del nuovo presidente fortemente conservatore  presenta una “finestra unica” per siglare l’intesa, che – ricordiamo – significherebbe la revoca delle sanzioni economiche imposte da Washington.

Allarme nella centrale nucleare di Bushehr

Intanto, nella notte tra domenica 20 giugno e lunedì 21 è arrivata la notizia che la centrale nucleare di Bushehr, nel sud dell’Iran, è stata temporaneamente chiusa dopo un “problema tecnico”. Lo ha annunciato l’Organizzazione iraniana per l’energia atomica senza specificare la natura del problema.

Nessuna esclusione nei processi digitali: l’appello dell’Ifad

Nonostante le difficoltà da pandemia, i migranti continuano a inviare soldi a casa ma non sempre è possibile riceverli: è quanto emerge dal rapporto dell’Ifad, che denuncia la necessità di compensare alcuni gap digitali per le famiglie rurali, come spiega Pedro de Vasconcelos, del Fondo Internazionale per lo Sviluppo agricolo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Durante la pandemia, i migranti hanno dimostrato una dedizione costante verso le loro famiglie e le loro comunità, effettuando il maggior numero di trasferimenti digitali di rimesse mai registrato”: è quanto ha dichiarato Gilbert F. Houngbo, presidente dell’Ifad, nel discorso al Forum del Fondo Internazionale per lo Sviluppo agricolo che si è tenuto in questi giorni in occasione della Giornata Internazionale delle rimesse familiari il 16 giugno. C’è stata meno possibilità di viaggi e anche questo ha determinato l’aumento delle spedizioni di denaro. Ma in molti casi non è possibile accedere a questi fondi, come spiega Pedro de Vasconcelos, responsabile dello Strumento finanziario per le rimesse dell’Ifad:

De Vasconcelos chiarisce che nonostante il notevole incremento nel numero di migranti che spediscono denaro a casa tramite trasferimenti digitali a causa della pandemia di Covid-19, milioni di membri delle famiglie destinatarie, che vivono in zone rurali, affrontano enormi difficoltà per accedere ai servizi finanziari digitali che potrebbero aiutarli a uscire dalla povertà. E ricorda l’appello lanciato dall’Ifad perché si investa con urgenza in infrastrutture e servizi finanziari digitali nei Paesi in via di sviluppo, per garantire che le famiglie che vivono in aree rurali non vengano lasciate indietro. De Vasconcelos ricorda che i trasferimenti digitali di denaro sono più economici dei bonifici tradizionali e i servizi bancari digitali offrono l’opportunità ai migranti e alle loro famiglie nei Paesi di origine di accedere a prodotti finanziari utili ed economici per gestire meglio le loro risorse, come servizi di risparmio, prestiti o assicurazioni.

L’esclusione digitale

Pedro de Vasconcelas sottolinea che, purtroppo, le famiglie che vivono in zone isolate – per cui le rimesse costituiscono una strategia di sopravvivenza essenziale – hanno difficoltà ad accedere a strutture dove ritirare il denaro o ad alternative ancora più convenienti come i conti correnti digitali. E ribadisce che serve un’assunzione di responsabilità da parte dei governi e del settore privato che – spiega – devono investire con urgenza in infrastrutture digitali per le aree rurali, per ovviare a questo problema. Ricorda che in molti Paesi, le persone che vivono in aree rurali isolate hanno poche opportunità di accedere a servizi bancari o difficoltà di connessione tramite telefoni cellulari. Inoltre, c’è una disponibilità limitata di agenzie che offrono servizi finanziari digitali, come il ritiro di contanti. Spesso i fornitori di servizi finanziari digitali sono situati nei centri urbani. Questo vuol dire che milioni di persone povere che vivono nelle aree rurali devono coprire grandi distanze, spesso affrontando spese notevoli, per raggiungere città e centri abitati dove ritirare il denaro spedito in modalità digitale dai loro familiari emigrati.

L’impegno dell’Ifad

Il responsabile dello Strumento finanziario per le rimesse dell’Ifad  spiega che, tra le numerose raccomandazioni rivolte al settore pubblico e privato, l’Ifad  ha elaborato misure concrete per promuovere la digitalizzazione del mercato delle rimesse, nel tentativo di stimolare la ripresa e rafforzare la resilienza delle famiglie dei migranti in tutto il mondo. In linea con queste misure, l’Ifad sta attualmente finanziando soluzioni digitali promosse dal settore privato di cui beneficeranno oltre un milione di persone nella sola Africa occidentale.

Dietro l’incremento

De Vasconcelas invita a riflettere su una circostanza precisa: l’anno scorso, le rimesse digitali sono aumentate del 65 per cento raggiungendo la cifra complessiva di 12,7 miliardi di dollari. Questo cambiamento, spiega, è dovuto a una diminuzione nell’uso di contante determinata dai lockdown che hanno limitato la possibilità di spedire denaro attraverso canali informali, nonché – aggiunge –  dalle regole di distanziamento sociale, tanto per chi spediva quanto per chi riceveva le rimesse. Il punto è che nonostante la recessione economica globale causata dalla pandemia – ribadisce –  i migranti hanno continuato a mandare denaro a casa alle loro famiglie, e le rimesse nel 2020 hanno raggiunto l’ammontare totale di 540 miliardi di dollari,  con un calo limitato all’1,6 per cento, rispetto all’anno precedente.

Il fenomeno delle rimesse

In tutto il mondo, 200 milioni di migranti mandano regolarmente denaro a casa a circa 800 milioni di loro parenti. Questo contributo influisce in modo cruciale sulla loro vita e sulla loro possibilità di mantenersi. Quasi la metà di queste famiglie vive in aree rurali di Paesi in via di sviluppo, dove la povertà e la fame sono più diffuse. Le famiglie usano i soldi mandati a casa dai lavoratori migranti per soddisfare necessità essenziali quali cibo, alloggio, spese scolastiche e mediche, oltre che per avviare piccole attività imprenditoriali. Queste risorse spesso sono in grado di cambiare la vita delle famiglie e delle comunità locali.

La disparità è innanzitutto donna

In definitiva, la pandemia ha fatto aumentare l’adozione di trasferimenti digitali di denaro e di conti correnti gestiti attraverso il telefono cellulare, ma ha anche evidenziato la diffusa mancanza di pari opportunità che innanzitutto riguarda le donne: Pedro de Vasconcelos assicura che restano disparità profonde denunciando che le donne hanno il 33 per cento di possibilità in meno, rispetto agli uomini, di avere un conto corrente digitale. Dunque, rilancia l’appello dell’Ifad perché sia colmato questo divario, abbattendo gli ostacoli che impediscono alle donne di avere accesso e poter utilizzare servizi finanziari digitali.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/ifad-rimesse-migranti-poveri-digitalizzazione-denaro.html

Terra Santa, l’appello di Caritas: non dimenticare il popolo palestinese

Il dramma dei rifugiati: le sfide per trovare vie di uscita sul piano politico e le situazioni umanitarie affrontate nel webinar promosso da Caritas Italiana. “Bisogna rendere concrete alcune speranze”, spiega Danilo Feliciangeli, coordinatore dei progetti locali dell’organismo pastorale della Cei

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Cercare di capire se esistono “vie di uscita possibili dalla storica contrapposizione fra Israele e Palestina” e individuare “possibili prospettive di vita per il popolo palestinese”: è stato questo l’obiettivo del webinar intitolato “Terra Santa, il dramma dei rifugiati palestinesi” promosso dall’Ufficio Medio Oriente e Nord Africa (Mona) della Caritas italiana nella giornata di oggi, giovedì 17 giugno.

Storia e dati in un dossier

Nell’incontro è stato presentato un dossier con dati e testimonianze realizzato da Caritas Italiana, disponibile online a partire dal 20 giugno, Giornata mondiale dei profughi indetta dalle Nazioni Unite. Ne abbiamo parlato con Danilo Feliciangeli, coordinatore dei progetti umanitari in terra Santa di Caritas italiana:

Feliciangeli spiega che il dossier ripercorre gli anni e le fasi di un conflitto estenuante raccontato dalla prospettiva dei rifugiati palestinesi. Il popolo palestinese – dice – è vittima di una diaspora sia all’interno dei propri confini, sia all’esterno, in Paesi di accoglienza come Libano, Giordania, Siria. E ha chiarito che bisogna capire se sarà possibile rendere concreta la speranza del ritorno per tutti quei palestinesi che sognano di tornare nelle proprie case, e quali le responsabilità e le risposte della comunità internazionale.

Non solo assistenza

L’obiettivo – sintetizza Feliciangeli – non può essere soltanto quello di far fronte alle emergenze assicurando assistenza. Si tratta, ribadisce, di un impegno ovviamente che va onorato, ma il coordinatore dei progetti di Caritas italiana ricorda che la comunità internazionale deve impegnarsi a fare di più. Serve – raccomanda, così come emerso nel webinar – un’assunzione forte di responsabilità per cercare soluzioni, per aprire vie da percorrere.

A Gaza

Una parte del dossier è dedicata alla crisi umanitaria in corso e agli interventi nella Striscia di Gaza. A questo proposito Feliciangeli racconta di una situazione molto grave di bisogno che si è venuta a creare dopo gli undici giorni di conflitto e che ha radici anche nella pregressa situazione di povertà. Feliciangeli ricorda i 259 morti del conflitto e poi sottolinea che 1500 abitazioni e infrastrutture sono andate distrutte e che 8500 persone sono senza casa.

La Caritas in Terra Santa

L’impegno di Caritas Italiana in Terra Santa si concentra in quattro ambiti: l’assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza, lo sviluppo attraverso l’empowerment delle donne in un campo profughi intorno a Gerusalemme, la riconciliazione tra arabi e israeliani in Israele, la promozione del volontariaro giovanile in favore di alcune fasce vulnerabili della popolazione. Si tratta di programmi che di anno in anno sono rinnovati in base alle priorità e alle disponibilità. Per quanto riguarda Gaza, vanno subito citate le squadre mediche mobili: Caritas Gerusalemme ha l’obiettivo di assistere circa 6mila persone nelle aree emarginate di Gaza, fornendo diagnosi, analisi di laboratorio, ma anche di fornire un’educazione sanitaria. In seguito al conflitto di undici giorni a maggio tra forze di Hamas e Israele, è necessario incrementare tale impegno.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-06/terra-santa-palestinesi-rifugiati-conflitto-gaza-poverta.html

Dal vertice Usa-Russia no all’atomica e impegno al dialogo

Quattro ore di colloqui definiti “costruttivi”: il vertice tra il presidente statunitense Biden e quello russo Putin a Ginevra ha segnato il riavvio del confronto a partire dal ritorno dei rispettivi ambasciatori

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dopo il bilaterale ristretto di un’ora e mezza alla presenza dei rispettivi responsabili degli Esteri, e quindi l’incontro allargato a un gruppo di consiglieri, ieri sera, nell’atteso vertice tra il presidente statunitense Joe Biden e l’omologo russo Vladimir Putin, ospitato a Ginevra, nelle due rispettive conferenze stampa c’è stato il riconoscimento di una “responsabilità comune globale” ed è stata ribadita  la necessità di dialogare, anche quando non si è d’accordo. Putin ha affermato che “non c’è alcun genere di ostilità tra noi” e ha poi definito  “Biden uno statista molto esperto, diverso da Trump,  uno statista equilibrato, con valori morali”. “Il tono di tutto l’incontro è stato buono,  il vertice è stato positivo, non ci sono state azioni stridenti”, ha detto Biden aggiungendo: “E’ bene vedersi faccia a faccia. Ho fatto quello per cui sono venuto, sono state gettate le basi per come ci confronteremo con la Russia”. Una precisazione da Putin: “Abbiamo trovato un linguaggio comune ma  il presidente Biden non mi ha invitato negli Usa ne’ io l’ho invitato in Russia: ci devono essere le condizioni giuste per questo”.

Gli annunci

Sono stati assunti alcuni impegni: oltre al ritorno dei rispettivi ambasciatori, l’impegno per consultazioni contro i cyberattacchi e l’avvio di negoziati sul disarmo. Inoltre, c’è stata una dichiarazione comune sulla stabilità nucleare volta a scongiurare una guerra atomica. Nel testo, rilanciato dall’agenzia Tass, si legge che gli Stati Uniti e la Russia intraprenderanno nel prossimo futuro un dialogo bilaterale integrato sulla stabilità strategica che sarà robusto e riaffermano  il principio secondo cui una guerra nucleare “non può essere vinta e non deve essere mai combattuta”. Inoltre, Putin ha spiegato in conferenza stampa: “Abbiamo parlato del tema dei cittadini statunitensi detenuti in Russia e su questo punto potremo trovare un compromesso”.

Tra i nodi che restano irrisolti

Biden ha ribadito che continuerà a sollevare la questione dei diritti umani “perchè sono nel Dna” degli Stati Uniti  che – ha sottolineato – risponderanno ad azioni ostili russe, come le interferenze nelle elezioni o gli hackeraggi. Putin dal canto suo ha respinto le accuse sui cyberattacchi. Biden gli ha consegnato una lista di “16 infrastrutture critiche” che devono essere off limit da ogni forma di attacco. Resta quella che è stata definita una genuina prospettiva di miglioramento delle relazioni.

Il leader del Cremlino ha inoltre respinto ogni accusa sull’oppositore Alexiei Navalny e sui diritti umani ha elencato quelle che considera le responsabilità degli Stati Uniti: Guantanamo, le prigioni segrete della Cia, i droni che uccidono i civili, le sparatorie quotidiane, le discriminazioni contro gli afroamericani, il sostegno ad organizzazioni anti governative in Russia.

E’ stato confermato che si è parlato di Ucraina. “Ho detto a Putin il nostro incrollabile sostegno alla sovranità dell’Ucraina”, ha spiegato il leader statunitense in conferenza stampa. Da parte sua, il leader del Cremlino non ha risposto alla domanda dei giornalisti su cosa farebbe la Russia se l’Ucraina entrasse nella Nato.

Il summit Usa-Russia a conclusione del viaggio di Biden in Europa

“Sto rientrando alla Casa Bianca dal mio primo viaggio oltreoceano da presidente”: così si legge nel tweet di questa notte di Joe Biden che traccia un bilancio del suo tour di otto giorni in Europa. “Dopo una settimana intensa – scrive – è chiaro che l’America è tornata, che le nostre alleanze sono più forti che mai e che siamo pronti ad affrontare le più dure sfide globali dei nostri tempi a fianco ai nostri alleati”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/stati-uniti-russia-vertice-biden-putin-dialogo-nucleare.html

Algeria: attesa per i risultati del primo voto dopo Bouteflika

A colpire il dato della forte astensione alle legislative che si sono tenute nel più grande Stato dell’Africa. Un voto anticipato per volontà del presidente Tebboune di fronte al crescente malcontento popolare. Due anni fa, sull’onda dei venerdì di protesta, usciva di scena il presidente al potere dal 1999

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nella Repubblica Democratica Popolare di Algeria, il Movimento della Società per la Pace (Msp) ha rivendicato la vittoria elettorale in attesa della pubblicazione dei primi esiti del voto, che si è svolto sabato 12 giugno. In un comunicato, il partito conservatore afferma di essere “primo nella maggioranza delle wilaya (prefetture) e all’estero” e “mette in guardia contro i numerosi tentativi di modificare i risultati del sondaggio”. Sono stati circa 24 milioni gli algerini chiamati ad eleggere per cinque anni i 407 deputati dell’Assemblea nazionale del popolo. Hanno dovuto scegliere tra 2.288 liste, di cui più di 1.200 pubblicizzate come ‘indipendenti’.  Si è trattato delle prime legislative dalle dimissioni di Bouteflika e sotto la nuova Costituzione algerina approvata tramite referendum popolare nel novembre 2020.

Primo risultato l’astensione

L’affluenza alle urne, a livello nazionale, ha raggiunto solo il 30,2 per cento, il tasso più basso da almeno 20 anni per le elezioni legislative, ha reso noto il presidente dell’Autorità elettorale nazionale indipendente (Anie), Mohamed Chorfi. Alle ultime elezioni legislative del 2017 si era attestato al 35,7 per cento (42,90 per cento nel 2012).

Il boicottaggio di Hirak

La tornata elettorale è stata caratterizzata da un altissimo tasso di astensione,  dopo gli inviti al boicottaggio lanciati dal movimento di protesta popolare denominato “Hirak” e da parte dell’opposizione. L’ Algeria è andata  al voto in un clima di tensione, dopo che pochi giorni prima erano stati fermati due dei più noti giornalisti del Paese e un attivista di punta dell’Hirak, il “movimento”, la principale forza che contesta quanti hanno preso il potere negli ultimi due anni dopo l’uscita di scena di Bouteflika.

E’ stato denunciato da Amnesty international l’arresto dei reporter Khadel Drareni e Ihsane El Kadi e di  Karim Tabbou,  l’attivista che  era già stato in carcere dal settembre del 2019 al luglio del 2020 ed era stato liberato con la proibizione di svolgere attività politica. Da parte sua, il presidente Tebboune ha dichiarato di voler evitare ogni rischio e di voler portare avanti il progetto di costruire una “nuova Algeria libera dalla corruzione”.

Un voto anticipato

Le elezioni parlamentari erano previste nel 2022 ma il presidente Tebboune ha spiegato di volerle anticipare a fronte di un malcontento crescente. Con una mossa definita dai critici “populista”, il presidente ha firmato un decreto volto a incoraggiare i giovani a “partecipare al processo di costruzione di nuove istituzioni credibili e degne di fiducia”. In Algeria il 70 per cento della popolazione ha meno di 30 anni e la disoccupazione giovanile è al 50 per cento. Si sono presentati 1.500 candidati, indipendenti e attivisti della società civile, accademici e professionisti. Secondo il leader del movimento Hirak nel Paese non è in atto un vero cambiamento perché le leve del potere e il controllo di un’economia, ancora basata sul petrolio e grandi imprese statali, restano nelle mani dei militari che questo movimento di opposizione considera eredi del vecchio rais Abdelaziz Bouteflika.

L’uscita di scena di Bouteflika

Nella primavera del 2019 per settimane fiumi di persone hanno invaso le strade di Algeri  per opporsi a quella che sarebbe stata la quinta candidatura dell’ottantaduenne  Abdelaziz Bouteflika, per il Fronte di Liberazione Nazionale, che nel 2013 era stato colpito da un ictus e veniva considerato il presidente fantasma di un regime ormai dittatoriale.  Ogni venerdì, il movimento di protesta si è via via allargato, sempre con manifestazioni pacifiche, e dopo Algeri i cortei si sono moltipicati ad Orano, Costantine e in molte altre città in tutta l’Algeria.

Dopo alcuni tentativi di placare le folle – ad Algeri hanno sfilato un milione di persone – nella notte tra il 2 e il 3 aprile 2019 Abdelaziz Bouteflika ha firmato le sue dimissioni. Aveva partecipato attivamente alla liberazione dell’Algeria dalla Francia nel 1962 ed era stato un apprezzato ministro degli Esteri nei primi governi indipendenti, poi era diventato l’espressione di un oligarchia che non dava fiato al Paese.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/algeria-africa-maghreb-elezioni-astensione.html

La telefonata del Papa per la marcia della pace Macerata-Loreto

Guardare l’orizzonte e non camminare da soli: questo è il “segreto” – dice Francesco – per non procedere nella vita girando a vuoto. E’ la riflessione espressa nella telefonata, fatta come da tradizione, in occasione del pellegrinaggio per la pace Macerata-Loreto a monsignor Giancarlo Vecerrica. Si tratta della 43esima edizione che ha per tema ‘Quando vedo te vedo la speranza’

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“La speranza è lì, la speranza non delude”: così Papa Francesco ha incoraggiato ieri sera – nella ormai tradizionale telefonata a monsignor Giancarlo Vecerrica – quanti hanno partecipato – virtualmente a causa della pandemia – alla marcia   che da oltre 40 anni si svolge da Macerata a Loreto per invocare la pace. “Una telefonata che arriva a tutto il mondo”, ha detto, esprimendo la sua gioia di sentire l’incoraggiamento del Papa, monsignor Giancarlo Vecerrica,  vescovo emerito di Fabriano-Matelica e ideatore e anima del Pellegrinaggio Macerata-Loreto.

Il cammino riflesso della vita

Papa Francesco si è rivolto a quanti ieri sera si sono messi in cammino, “in cammino virtuale, ma in cammino”, sottolineando che “sempre il cammino è un riflesso della vita” e sollecitando una domanda: “Ognuno di noi può domandarsi: ma io cammino in speranza, o cammino senza sapere cosa faccio? Cammino nella vita o giro, giro, giro, o   non so dove vado…? La mia vita è in cammino verso l’orizzonte – cioè con speranza – o la mia vita è una passeggiata, che non sa dove va… O la mia vita è nel labirinto, che gira, e non può uscire avanti?”

La speranza e l’altro

Monsignor Vecerrica ha chiesto a Papa Francesco “come non sprecare questo dramma che stiamo vivendo nel mondo?”, facendo riferimento alla pandemia. Papa Francesco ha risposto dicendo: “Vi dirò quello che vivo io, a tutti voi…”. Ha ricordato che “la speranza non delude mai” e ha parlato di cammino, di orizzonte, di vicinanza all’altro.   “Camminare verso l’orizzonte: quella è la speranza”, ha detto Francesco sottolineando che “il segreto per poter camminare bene è guardare l’orizzonte, sì, ma non camminare da soli: camminare con gli altri, aiutandoci a vicenda, l’uno con l’altro, aiutandoci nel cammino, rimanendo con l’altro, e aiutando gli altri, e nei momenti difficili, dando speranza: quella speranza che io ho, e quando io la perdo, che un altro mi aiuti a ritrovarla”.

L’incoraggiamento

“Cammina oggi, caro fratello, cara sorella, cammina e cammina, guarda l’orizzonte”: queste le parole del Papa che ha affermato: “E mi viene in mente quello che ho detto un’altra volta, che diceva Sant’Agostino…: ‘Canta e cammina!”, sottolineando che “se sei capace di cantare è perché hai la gioia nel cuore, e quando si ha la gioia nel cuore, si cammina verso la speranza”.

La benedizione

“Io sarò vicino a voi! – ha assicurato il Papa – Che Dio vi benedica tutti! Darò la mia benedizione a voi tutti!”. E poi ha aggiunto: “La Madonna vi custodisca. E per favore, pregate per me questa sera, pregate. Che il Signore vi accompagni. Bravi!”

Nel suo ringraziamento, monsignor Vecerrica ha detto:  “Noi vogliamo imitare la sua vita, che è un cammino: ci mettiamo in cammino con il cuore, con lo spirito, e con tutti noi stessi, e insieme. Grazie!”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-06/papa-francesco-marcia-pace-macerata-loreto-vescovo-vecerrica.html

Futuri leader di pace: l’iniziativa di Rondine

Giovani protagonisti della ripartenza post-pandemia: l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede e l’organizzazione Rondine Cittadella della pace lanciano la campagna per promuovere percorsi di formazione per una cultura in grado di ribaltare le logiche del conflitto, come spiega il presidente di Rondine Franco Vaccari

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Lunedì 14 giugno viene presentata al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede la campagna Leaders for Peace, organizzata dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede insieme con l’organizzazione Rondine Cittadella della Pace. Si tratta di un appello concreto per sostenere percorsi di formazione precisi, come sottolinea il fondatore e presidente dell’organizzazione Rondine Cittadella di pace Franco Vaccari:

Vaccari ricorda che due anni fa i giovani di Rondine hanno presentato alle Nazioni Unite la richiesta di un finanziamento – una percentuale decisamente irrisoria del budget, sottolinea  – per percorsi di formazione. Innanzitutto si tratta – spiega Vaccari – di ribaltare la logica del conflitto: scoprendo che è falsa l’idea del nemico. Si tratta  sottolinea – di diffondere una cultura di pace che nell’organizzazione Rondine si vive praticamente quotidianamente e che – suggerisce il presidente – può formare i futuri leader. Vaccari ricorda che da sempre Rondine accoglie giovani che hanno vissuto sulla propria pelle l’odio, il conflitto armato, “l’inganno del nemico” e che, attraverso il Metodo Rondine, imparano a trasformare tutto ciò in prospettive diverse.

Il ricorso all’Onu

Nel 2018, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, il ministero degli Affari Esteri italiano ha proposto a Rondine Cittadella della Pace di rappresentare il Paese per portare alle Nazioni Unite la propria esperienza come “esempio concreto da cui ripartire sul grande tema dei diritti umani”. Rondine ha risposto alla chiamata lanciando la campagna globale Leaders for Peace. L’appello – ricorda Vaccari – è stato scritto dagli studenti e dagli alumni di Rondine – per chiedere agli Stati membri dell’Onu un impegno concreto nella formazione di giovani leader, in grado di intervenire nei principali contesti di conflitto nel mondo.

L’appello

Si chiede di sottoscrivere l’Appello di Pace della campagna Leaders for Peace. Innanzitutto, Vaccari mette in luce il primo aspetto: un impegno concreto nella formazione di giovani leader di pace, in grado di intervenire nei principali contesti di conflitto nel mondo. E poi cita l’esigenza di inserire l’insegnamento e l’educazione ai diritti umani nei sistemi d’istruzione nazionali, integrati – ribadisce – con le sperimentazioni del Metodo Rondine sulla trasformazione creativa dei conflitti, che ha permesso loro di diventare ambasciatori di pace.

La sfida

Vaccari spiega che si avverte sempre l’esigenza di iniziative come quella proposta da Rondine ma che in questo periodo storico diventa urgente comprendere che si devono fronteggiare vecchi e nuovi conflitti: ci sono infatti – sottolinea –  i conflitti che la pandemia sembra aver pericolosamente riportato sullo scenario internazionale, ma anche conflitti del tutto nuovi che lacerano la società globale.

L’appoggio di partner

Vaccari cita in quanto sostenitori i partecipanti al progetto Mediterraneo Frontiera di Pace, sostenuto dalla Cei e realizzato in collaborazione con Caritas Italiana e Rondine Cittadella della Pace. Consiste in sostanza nell’ideare progetti di impatto sociale nelle diocesi, collaborando per sviluppare azioni di networking in tutto il Mediterraneo.

Rondine Cittadella della Pace

Fondata nel 1998 da Franco Vaccari, Rondine Cittadella della Pace è un’organizzazione che si impegna per la riduzione dei conflitti armati nel mondo e per la diffusione del proprio metodo per la trasformazione creativa dei conflitti (Metodo Rondine). Attraverso lo Studentato internazionale-World House, l’associazione accoglie ogni anno giovani provenienti da Paesi che vivono o hanno vissuto guerre e conflitti: due anni di formazione e convivenza per scoprire la persona nel proprio “nemico” e diventare ambasciatori di pace nei propri Paesi per contribuire alla risoluzione dei con conflitti. Con i suoi percorsi di formazione, Rondine incoraggia i giovani a diventare leader di sé stessi, della propria comunità e attori di cambiamento nella società civile, nella continua ricerca del bene comune. L’obiettivo finale è contribuire alla realizzazione di un habitat socialmente sostenibile e privo di scontri armati, in cui ogni persona abbia gli strumenti per sviluppare relazioni pacificate e generative. Rondine Cittadella della Pace è stata candidata al premio Nobel per la pace 2015.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/ambasciata-italia-organizzazione-rondine-di-pace-conflitti.html