Il Messico al voto dopo una sanguinosa campagna elettorale

Un Paese strategico nelle Americhe come il Messico va alle urne per le elezioni parlamentari e municipali ma, piuttosto che parlare di strategie politiche, i media internazionali devono raccontare di decine di candidati uccisi in pochi mesi. I vescovi lanciano un appello a votare con discernimento e considerando il bene comune, mentre la pandemia contribuisce ad accentuare le disuguaglianze e l’incertezza, come spiega lo storico Paolo Valvo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Almeno 35 candidati uccisi in poche settimane, di cui tre a distanza di dieci giorni a maggio. Sono dati che segnano le elezioni parlamentari di oggi in Messico, fotografando una delle campagne elettorale più sanguinose degli ultimi decenni nel Paese latinoamericano che si trova a nord dell’Equatore. Altri 782 politici o attivisti hanno subìto aggressioni di vario genere negli ultimi mesi. Da settembre 2020 si contano almeno 90 politici  freddati a colpi d’arma da fuoco, in vari casi subito dopo un comizio.  Il dramma del narcotraffico, della criminalità organizzata, degli attacchi a quanti, nella società civile o in ruoli pubblici, cercano di opporsi alla corruzione resta sotto gli occhi di tutti, mentre ad aumentare sono anche le disuguaglianze, come sottolinea lo storico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Paolo Valvo:

Lo storico Valvo sottolinea che il livello di violenza in Messico resta un dramma indicibile, anche se ricorda che, se si parla di numeri e percentuali, bisogna ribadire che per queste elezioni si è raggiunto un livello mai raggiunto prima, ma che, in generale, negli ultimi tre anni in assoluto nel Paese  si è registrata una flessione degli omicidi. In ogni caso, lo storico ricorda che si tratta di livelli inaccettabili comunque. Poi rileva che, purtroppo, a livello di stabilità sociale, non ha certamente aiutato la pandemia, che ha colpito alcuni settori del mondo del lavoro che, in Messico, prevede salari molto bassi per la manodopera, già precari. Le fasce più deboli del Paese rischiano di ritrovarsi terribilmente impoverite, così come anche i piccoli imprenditori di aziende che – siega Valvo – nella maggior parte dei casi occupano i componenti in grado di lavorare di una famiglia.

Il voto

Valvo ricorda che oggi, circa 93 milioni e mezzo di messicani sono chiamati alle urne per eleggere 500 deputati federali, 15 dei 32 governatori statali, 30 congressi locali e 1.900 consigli comunali. Sul piano delle strategie politiche, alla coalizione imperniata su Morena, il partito  guidato dal presidente Andrés López Obrador, si oppone l’inedita alleanza tra i maggiori partiti storici messicani, un tempo grandi rivali:  Partido Revolucionario Institucional (Pri), Partido Acción Nacional (Pan) e Partido de la Revolución Democrática (Prd). Lo storico Valvo cita i sondaggi preelettorali per spiegare che  sembra sicuro che la coalizione di governo mantenga la maggioranza al Congresso, ma che potrebbe perdere la maggioranza qualificata che ha avuto fino ad oggi.

L’economia cresce ma non per tutti

Valvo spiega che l’economia cresce di 3,5 punti percentuali, ma che non sembra ne abbiano alcun beneficio le fasce basse della popolazione che, al contrario, sono state colpite dalle conseguenze negative della crisi sociosanitaria della pandemia, dalle conseguenze dei lockdown. Crescono dunque le profonde disparità che già caratterizzano il Paese. In ballo ci sono progetti infrastrutturali che potrebbero assicurare lavoro per molte persone. Alcuni sono stati sospesi per rivendicazioni ambientali, in alcuni casi sono stati annullati i progetti, in altri si attende una decisione delle autorità competenti. Il punto è – sottolinea lo storico Valvo – che ora i rallentamenti e le complicazioni dovute alla pandemia contribuiscono ad aumentare l’incertezza per questi progetti che lasciano in sospeso tante persone.

L’appello dei vescovi al discernimento

Valvo ricorda che l’Arcidiocesi del Messico, nell’editoriale domenicale del settimanale “Desde la Fe”, ha invitato i cattolici chiamati a votare “al discernimento, a separare i bisogni reali dalle facili offerte, i diritti umani dalle ideologie, e a cercare l’opzione migliore, al di là dell’offerta di mercato e degli attacchi tra candidati”, esortando i candidati stessi “a mettere al primo posto il bene comune e i problemi cruciali, prima di obiettivi personali”.

Nel testo dell’Arcidiocesi viene spiegato che “il lavoro del sacerdote, nelle questioni pubbliche, consiste nell’aiutare a illuminare la coscienza dei fedeli affinché il discernimento possa aiutare a costruire il bene comune”, ma che “spetta ai fedeli laici partecipare attivamente alla costruzione di qualsiasi opzione politica che cerchi di dare governi e risultati migliori al Paese”. L’Arcidiocesi del Messico ha ricordato che “quando le chiese o le comunità ecclesiali intervengono nel dibattito pubblico, esprimendo riserve o richiamando alcuni principi, ciò non costituisce una forma di intolleranza o di interferenza, poiché tali interventi hanno il solo scopo di illuminare le coscienze, permettendo loro di agire liberamente e responsabilmente secondo le vere esigenze della giustizia, anche se ciò può entrare in conflitto con situazioni di potere o interessi personali.” Il cardinale Carlos Aguiar Retes, arcivescovo di Città del Messico e primate del Paese, ha guidato una preghiera alla Vergine di Guadalupe e ha chiesto a tutti di “vivere, il 6 giugno, una giornata esemplare dal punto di vista civico, una giornata che esprima il desiderio di tutti di costruire una società fraterna e solidale”.

da Vatican NEWS  del 6 giugno 2021

Etiopia: i bambini vittime del conflitto nel Tigray

Scuole inagibili o occupate da sfollati: è il primo dei dati che fotografano la drammatica situazione di smarrimento dei minori nella regione dell’Etiopia dove sette mesi fa si è consumato il conflitto tra esercito e forze locali. Restano malnutrizione diffusa e sacche di scontri armati in zone inaccessibili anche all’Unicef, come spiega da Addis Abeba il responsabile dell’organismo dell’Onu, Michele Servadei

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sono molto gravi per i bambini le conseguenze della situazione in Tigray. Nella regione dell’Etiopia, dopo mesi di  braccio di ferro tra potere locale e quello nazionale, in autunno si è arrivati allo scontro armato tra forze regionali ed esercito nazionale. Ha significato il venir meno dell’accesso ai servizi sociali di base, come istituti scolastici e ospedali, che sono stati presi di mira nell’escalation di violenza e che ancora risultano in gran parte fuori uso, come conferma da Addis Abeba il responsabile del team Unicef in Etiopia, Michele Servadei:

Il bilancio degli scontri armati

A sette mesi dall’inizio del conflitto, l’Unicef traccia un bilancio confermando uccisioni e violenze sessuali su donne e bambini nel Tigray. È stato documentato l’omicidio di almeno 20 bambini nella chiesa di Maryam Dengelat lo scorso novembre. Violenze e saccheggi hanno causato la non operatività di quasi il 60 per cento delle strutture sanitarie. Circa il 57 per cento dei pozzi in 13 città esaminate non funzionano e un quarto delle scuole della regione hanno subito danni a causa del conflitto.

Famiglie in fuga

Servadei conferma che centinaia e centinaia di bambini sono rimasti senza genitori o senza alcun parente più stretto. Spiega che il team dell’Unicef sta lavorando per assicurare che gli aiuti di base continuino a raggiungere i più bisognosi e che le popolazioni possano accedere in sicurezza ai servizi di base. Servadei sottolinea che si cerca di intensificare la presenza del personale Unicef nella regione per rispondere alla portata della sfida. Spiega che se arrivare da Addis Abeba al Tigray adesso è possibile in aereo, che significa – sottolinea- un’ora di volo mentre in macchina sarebbero 16 ore di viaggio, però poi – aggiunge – non sempre si riesce a raggiungere i più bisognosi nelle zone rurali. Proprio nelle zone agricole del nord si concentrano le varie azioni armate da parte di gruppi locali che non ritengono chiuso il confronto con l’esercito. Mentre ad Addis Abeba, dunque, Servadei racconta che la gente non parla quasi più della guerra nel Tigray, la situazione sul territorio resta di guerriglia.

Non bastano i fondi

Servadei spiega che, così come il Pam, che si occupa della malnutrizione crescente nella regione, così l’Unicef chiede maggiori fondi. In particolare l’organismo Onu per l’infanzia fa sapere di avere ricevuto al momento solo la metà dei 50 milioni di dollari che si è riconosciuto servano per i servizi di assistenza. E poi – sottolinea – c’è bisogno di rafforzare i servizi di monitoraggio, segnalazione e protezione per le persone colpite. Gli sfollati al momento vengono ospitati soprattutto negli istituti scolastici, ma questo ovviamente compromette qualsiasi tentativo di “normalizzazione” della vita dei bambini.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/etiopia-tigray-unicef-scuole-guerriglia-sfollati.html

Difendere istruzione e formazione, vittime della pandemia

La pandemia di Covid-19 ha messo a dura prova le società e le economie europee con ripercussioni ancora da valutare: senza un preciso impegno a livello di formazione umana non può esserci riscatto. E’ questo il senso delle riflessioni emerse al webinar organizzato dalla Commissione Europea e dalla Comece

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Le ripercussioni della crisi sociosanitaria legata alla pandemia ricadono su tutti i settori e non solo su quello determinante dell’occupazione. Bisogna mettere a fuoco le conseguenze negative nel campo dell’istruzione e della formazione. E il punto – è stato ribadito al webinar – è che  si tratta di conseguenze che hanno un’onda lunga e che dunque si faranno sentire nei prossimi mesi e prossimi anni.

La piattaforma di dialogo

Il webinar ha rappresentato un’occasione di incontro e di confronto, sui temi educativi più urgenti, tra istituzioni europee, delegati della Comece e responsabili dell’Istruzione e Formazione Permanente (Ifp). Hanno partecipato tra gli altri Janine Costa, della Rappresentanza Permanente del Portogallo all’Ue;  Joao Santos, della Commissione europea;  Miriam Lexmann  deputata del Parlamento europeo; Denis Leclerc,  dell’Associazione Maisons Don Bosco;   Paolo Nardi, della Associaizone COMETA Formazione;  Alfredo Garmendia, Centro San Viator, Red EBI e HETEL.

La mancata scolarizzazione

Siamo di fronte a un’emergenza educativa per molti studenti che non hanno potuto frequentare la scuola durante i mesi più duri di lockdown. I partecipanti sono stati d’accordo nel raccomandare che si cominci  a tracciare un bilancio in tema di  mancato apprendimento perchè questo rappresenta un’ipoteca sulle generazioni future. I prossimi passi in questo settore sono fondamentali per il futuro dei cittadini europei e le giovani generazioni. La formazione dei giovani – è stato sottolineato – è essenziale perché la ripresa auspicata trovi cittadini e società  più resilienti e pronte per le sfide future.

Il piano di azione avviato

L’obiettivo è tradurre nel concreto i principi e le linee programmatiche contenute nella Dichiarazione di Osnabrück recentemente adottata sull’istruzione e la formazione professionale. Si tratta del documento firmato a novembre 2020 nella città tedesca della bassa Sassonia, da ministri responsabili dell’istruzione e formazione professionale (VET) negli Stati membri dell’Ue, le parti sociali europee e la Commissione europea.  Il documento, che sostituisce le conclusioni di Riga del 2015, definisce nuove azioni politiche in materia di Ifp per il periodo 2021-25. Integra e rende operativa la visione e gli obiettivi strategici della raccomandazione del Consiglio europeo sull’istruzione e la formazione professionale per la competitività sostenibile, l’equità sociale e resilienza.

Un impegno decennale

Nella dichiarazione di Osnabrück i ministri promettono di contribuire alla ripresa post-Covid 19.  E’ fondamentale – hanno sottolineato i rappresentanti delle istituzioni europee –   il dialogo, come quello promosso dal webinar, per capire come sviluppare ulteriormente l’area europea dell’istruzione e della formazione attraverso sistemi innovativi. E’ importante, anzi urgente,  assicurare sistemi orientati al futuro per sostenere la transizione digitale e quella verde per migliorare l’occupazione e la competitività, stimolando la crescita economica. Dalla Commissione europea è arrivato l’ennesimo appello a considerare il ruolo fondamentale delle politiche, anche nazionali, per l’istruzione e la formazione, nei nuovi orientamenti strategici per la crescita sostenibile dell’Unione.

L’allarme per le discrepanze sociali

Tra le conseguenze della pandemia purtroppo c’è la crescita delle disuguaglianze e delle discrepanze sociali. C’è  l’annosa  questione – ha ribadito la Comece – di non lasciare indietro gli studenti che non riescono, per la situazione economica delle famiglie, a tenere il passo degli aggiornamenti tecnologici.  In particolare,  la  formazione professionale – è stato ricordato – ritorna centrale per lo sviluppo socio-economico dello spazio europeo in un quadro di azione per il prossimo decennio. Tanto più in considerazione della pandemia, deve essere centrale la combinazione tra istruzione e formazione pratica, per comprendere prima ancora che accompagnare le esigenze attuali e future della società e dell’economia. In definitiva, serve – è stato raccomandato – una formazione inclusiva e di qualità, ma anche una nuova cultura di apprendimento permanente.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-06/comece-coronavirus-lockdown-scuole-giovani-iunione-europea.html

Nel Tigray è guerriglia: aumentano fame e sfollati

A sette mesi dagli scontri più accesi nella regione del Tigray, in Etiopia, almeno il 90 per cento della popolazione si trova nel bisogno. Non si può parlare di pace: continua la guerriglia e le scuole sono trasformate in campi di rifugiati, come spiega padre Filippo Ivardi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Un totale di 5,2 milioni di persone, equivalenti al 91 per cento della popolazione del Tigray, necessita di assistenza alimentare dovuta al conflitto”, ha detto ai giornalisti riuniti a Ginevra Tomson Phiri, portavoce del Programma alimentale mondiale (Pam).

Si sono spenti alcuni riflettori mediatici sulla crisi nella regione etiope, mentre la situazione non è affatto migliorata, spiega padre Filippo Ivardi, direttore di Nigrizia:

Padre Inardi, missionario comboniano, conferma le notizie che giungono dalle agenzie internazionali, sottolineando che molte ong operano nell’area e che sono arrivati aiuti dell’Onu ma aggiungendo  che le Nazioni Unite hanno chiesto 203 milioni di dollari subito per intensificare gli interventi. Lo scontro civile nel Tigray, regione a nord dell’Etiopia, è scoppiato quasi sette mesi fa, – ricorda padre Inardi – quando il primo ministro etiope, Abiy Ahmed, ha sferrato un’offensiva militare contro le forze leali all’ormai ex partito di governo locale Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) dopo mesi di tensioni con Addis Abeba.

Padre Filippo riferisce di migliaia di morti, di ottantamila rifugiati, di cui alcuni sono giunti in Sudan. Il missionario direttore di Nigrizia spiega che in questi sette mesi si sono aggiunte 700.000 persone al computo dei bisognosi fatto dall’Onu. E racconta che le scuole della regione sono state trasformate in campi per sfollati. La popolazione riferisce di continui attacchi soprattutto nella notte. Si tratta – spiega padre Filippo – di una guerriglia sferrata da gruppi locali contro soldati dell’esercito nazionale. Si moltiplicano episodi di violenza – spiega – come furti di armi ai soldati ma anche ruberie di cibo alla popolazione. Sul terreno sono presenti 32 ong e si contano 1850 operatori umanitari ma – ribadisce – la situazione resta difficile e preoccupante.

Una situazione di tensione oltre i confini

Padre Filippo ricorda che c’è un contesto regionale pieno di incognite e di sfide. Riferisce della presenza in Etiopia di soldati di altri Stati limitrofi e di contenziosi aperti come quello delle dighe in costruzione sul Nilo o sui suoi affluenti – sottolinea – che coinvolge Etiopia, Sudan, Egitto.

Alla radice dello scontro nel Tigray

Ci sono elementi storici che ci aiutano a capire come sia nato il conflitto nel Tigray, spiega l’africanista Anna Bono:

La professoressa Bono torna indietro nell’analisi agli equilibri di potere tra leadership regionale e quella nazionale che negli anni scorsi hanno determinato un braccio di ferro e poi un vero e proprio confronto sul terreno. Cita questioni di tipo etnico che stanno sullo sfondo di antiche tensioni o nuove contese e spiega che non ci si può fermare alla motivazione di rivendicata autonomia regionale, in quanto la componente tigrina è stata forte sul piano nazionale per circa 25 anni ed è stata poi ridimensionata con l’arrivo al potere dell’attuale primo ministro. Le sue rivendicazioni dunque vanno al di là del potere che potrebbe conservare sul territorio regionale del Tigray.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-06/etiopia-tigray-conflitto-sfollati-onu-aiuti.html

Nuovi modelli di produzione contro la fame nel mondo

Ripensare i sistemi alimentari è indispensabile per la sostenibilità ambientale e per la pace. E’ quanto ha sottolineato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin all’incontro conclusivo della serie di webinar voluti dalla Santa Sede in vista del prossimo Summit delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari. La necessità di un approccio multidimensionale è ribadita nelle parole di Suor Alessandra Smerilli

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si è conclusa oggi la serie di tre webinar organizzati dalla Segreteria di Stato della Santa Sede, la Missione Permanente della Santa Sede presso la FAO, l’IFAD e il PAM, il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e la Commissione Vaticana COVID-19. Come indicato nel titolo dell’iniziativa, si è parlato di Cibo per la Vita, Giustizia Alimentare, Cibo per Tutti.

L’obiettivo

Ispirandosi alla Lettera Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, si intende promuovere l’ecologia integrale, intesa come paradigma che considera le interconnessioni anche tra sistemi sociali ed ecosistemi. E’ il punto di partenza per assicurare una vera e propria rigenerazione dei sistemi alimentari nel futuro post-pandemia, necessaria – è stato ribadito nel webinar – considerando che nel 2020 si è registrato il numero più alto di persone denutrite nel mondo rispetto agli ultimi cinque anni. In sostanza, la finalità è che nessuno sia lasciato indietro. E’ quanto ha ribadito il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin nel suo intervento oggi pomeriggio a conclusione del webinar dedicato in particolare a “Cibo per Tutti: i conflitti alimentari e il futuro dei sistemi alimentari”. Per farlo – ha spiegato il cardinale Parolin – serve la trasformazione dei sistemi alimentari verso la cura della nostra casa comune, lo sradicamento della fame, il rispetto della dignità umana e il servizio del bene comune.

In vista del Summit mondiale sui sistemi alimentari

La serie in tre parti dei webinar è iniziata durante la Settimana della Laudato si’ (16-24 maggio). Ha dato voce alle donne, alle comunità indigene, alle persone che vivono in situazioni di crisi, ai piccoli agricoltori per imparare dalle loro esperienze e dalla saggezza tradizionale per assicurare dibattiti globali e piani d’azione all’altezza delle problematiche. L’intenzione dunque è dare un contributo, infatti, alla riflessione della comunità internazionale che viene affidata nei prossimi mesi a due momenti centrali. A settembre si svolgerà a New York, nell’ambito della Assemblea generale delle Nazioni Unite, il summit dedicato ai Sistemi alimentari. In vista di questo confronto mondiale, si terrà dal 19 al 21 luglio a Roma il cosiddetto pre-summit voluto a Roma dalla presidenza di turno italiana del G20. Il cardinale Parolin, che ha preso parte al webinar di oggi ma che per un disturbo alla voce ha chiesto che il suo intervento venisse letto dalla dottoressa Francesca Di Giovanni, Sottosegretario al Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, ha chiarito che a livello internazionale servono “azioni concrete, incisive, avvedute”. Bisogna – ha ricordato – ripensare i sistemi alimentari per renderli più resilienti, più solidali, maggiormente in grado di sconfiggere l’insicurezza alimentare.

La centralità delle economie locali

“Servono azioni individuale e collettive verso un futuro alimentare che sia sostenibile, equo e sicuro”, ribadisce ai nostri microfoni l’economista Suor Alessandra Smerilli, Sottosegretario al Dicastero per lo Sviluppo umano integrale:

L’accademica Suor Smerilli ricorda il senso dei tre seminari per spiegare il processo logico che intende produrre proposte concrete sul tavolo dei leader mondiali. Innanzitutto sottolinea come la pandemia possa essere un momento di crisi che se ha portato tanti drammi umani può portare però anche un’occasione preziosa di ripensamento degli attuali meccanismi in sui – afferma – troppo spesso gli interessi di alcuni prevalgono sul benessere di fette di popolazioni che non hanno voce. Eppure – sottolinea – proprio le economie locali rappresentano un bacino di conoscenze preziose per una valorizzazione del territorio sostenibile per le future generazioni. Difficilmente in fatti – spiega – le famiglie locali che traggono sostentamento da una terra tenderanno ad un uso distruttivo di quella terra stessa.

Le tematiche affrontate nei webinar

Suor Smerilli raccomanda l’importanza di potenziare le economie locali, ricordando i temi dei webinar. Il primo, co-ospitato dal Forum di Roma e intitolato Cibo per la Vita: il ruolo delle donne nella promozione dello sviluppo umano integrale, si è svolto il 17 maggio ed è stato caratterizzato da un dialogo sul ruolo unico delle donne nello sviluppo, con particolare attenzione a come sostenere la loro leadership nel plasmare sistemi alimentari resilienti in tutto il mondo. Il secondo intitolato Giustizia Alimentare: lavoro, innovazione e finanza al servizio della giustizia alimentare”, del 26 maggio, ha lasciato emergere l’importanza del lavoro dignitoso, della finanza e dell’innovazione nella ricostruzione di sistemi alimentari sostenibili, in particolare nel futuro post-COVID. L’ultimo webinar che si è svolto oggi, co-ospitato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, è stato pensato per esplorare le diverse possibili risposte ai conflitti alimentari, partendo dalla riflessione su come la Chiesa possa meglio contribuire e collaborare per affrontare la fame e la disuguaglianza alimentare nel mondo. Si è trattato di una metodologia che, guidata dai valori della Dottrina Sociale Cattolica, dall’esperienza quotidiana degli operatori locali della Chiesa e dall’imperativo morale di eliminare la fame, ha promosso l’ascolto e il dialogo all’interno e all’esterno della Chiesa; ha lasciato emergere, con testimonianze dirette anche da Paesi come il Burundi, le migliori pratiche nel mondo che promuovono sistemi alimentari sostenibili. In sostanza ha dato voce a persone tradizionalmente escluse per ispirare un appello alla giustizia alimentare. “Il cibo – sottolinea suor Smerilli – è come la cartina tornasole delle connessioni tra finanza, lavoro, tecnologia che, se non sono rispettose della dignità della persona e a servizio del bene comune, contribuiscono ad alimentare conflitti a diversi livelli, le cui conseguenze, come quelle dei cambiamenti climatici, ricadono innanzitutto sulle popolazioni e sulle franzge di popolazioni più fragili ma anche su tutta la famiglia umana”.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-05/cibo-summit-comunita-internazionale-onu-santa-sede.html

Appello dell’Unicef per i minori dispersi dopo l’eruzione a Goma

Tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda centinaia di famiglie sono in emergenza: sono sfollate dopo l’eruzione del vulcano a nord di Goma. L’Unicef lancia un appello per i bambini dispersi, come spiega Andrea Iacomini, portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia

Fausta Speranza – Città del Vaticano

In seguito all’eruzione del monte Nyiragongo di due notti fa, più di 5.000 persone hanno lasciato Goma e hanno attraversato il confine tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda e almeno 25.000 sono state sfollate a Sake, 25 chilometri a nord-ovest di Goma. Centinaia di persone che tornano indietro trovano abitazioni danneggiate e carenza di acqua ed elettricità. Cercano di tornare lentamente a casa, dal momento che la lava ha smesso di scorrere ieri mattina. La preoccupazione dell’Unicef nelle parole del portavoce Andrea Iacomini:

Iacomini spiega che più di 150 bambini sono stati separati dalle loro famiglie e si teme che più di 170 minori siano dispersi dopo la fuga dalla città di Goma, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Iacomini sottolinea che non è ancora chiaro quante famiglie siano state colpite dall’eruzione nel territorio di Nyiragongo, a nord di Goma, ma che molti bambini nell’area vicino all’aeroporto sono rimasti senza casa e in situazioni di indigenza.

Alcuni morti e molti dispersi

Iacomini riferisce che almeno cinque persone sono state uccise al momento dell’eruzione a Buhene, Kibatshi e Kibumba, ma che ci sono tante persone scomparse. Il portavoce dell’Unicef aggiunge che è stato dispiegato un team del Fondo Onu nelle aree colpite di Sake, Buhene, Kibati e Kibumba per fornire una risposta di prima linea. Al momento l’allarme maggiore– denuncia – riguarda chi non trova la propria abitazione ma anche per le famiglie che si trovano a vagare in zone di confine e in particolare poi per quei minori non accompagnati.

L’impegno dell’Unicef

Iacomini spiega che l’obiettivo al momento è di installare punti di clorazione dell’acqua a Sake e dintorni per limitare la diffusione del colera. Assicura che diverse reti di approvvigionamento idrico nella zona saranno clorate a breve specialmente a Goma, dopo il ritorno di migliaia di residenti. C’è poi l’impegno del Fondo – aggiunge – per  stabilire due centri di transito per bambini non accompagnati e separati, in collaborazione con le autorità congolesi locali.
L’Unicef sta anche lavorando con i partner per fornire orientamento ai casi di violenza e abuso di genere verso un adeguato supporto medico e psicosociale. A questo proposito Iacomini ricorda che l’Unicef è presente normalmente in questa fascia di terra per cercare di strappare i bambini proprio a rischi sempre vivi di abusi e di violenze. Iacomini ricorda che l’ultima potente eruzione di Nyiragongo nel 2002 aveva lasciato più di 100.000 persone senza casa.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/repubblica-democratica-del-congo-vulcano-eruzione.html

Senza diritti: l’impegno della chiesa per i migranti “invisibili” in Europa

Dall’Europa orientale all’Europa occidentale per lavorare: se ne è parlato ad una conferenza nell’ambito del progetto CRISIS 2020/21 voluto per promuovere una nuova solidarietà sociale nei confronti di tutti i lavoratori che fanno parte della vita economica quotidiana del vecchio continente, ma che non hanno alcuna tutela giuridica. Servono strategie precise per difendere la dignità umana, sottolinea padre Fabio Baggio

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dall’Europa orientale all’Europa occidentale ma anche tra Stati terzi rispetto l’Unione e Stati dell’Ue: i lavoratori migranti fanno parte della vita economica quotidiana dell’Europa. Braccianti agricoli ucraini si trovano in Spagna, lavoratori rumeni sono impiegati in fabbriche di carne in Germania, infermiere geriatriche slovacche, ceche e ungheresi assistono famiglie austriache. Sono solo alcuni esempi di persone che risultano “invisibili”, che significa concretamente che molti di loro sono sfruttati sia socialmente che economicamente. Diritti come orari o pause di lavoro sono ignorati. Ma durante questo periodo di crisi per la pandemia in qualche modo questi lavoratori migranti invisibili sono diventati “visibili”. In ogni caso, al di là dell’allerta sanitaria, va difesa la dignità della persona umana con condizioni rispettose per i lavoratori migranti.

L’impegno della Chiesa

Nel webinar che si è tenuto questa mattina, nell’ambito del progetto CRISIS 2020/21, si è discusso delle possibili modalità di intervento dal momento che risulta essenziale promuovere proposte concrete per migliorare la situazione nel senso di una nuova solidarietà sociale in Europa. Tra i partecipanti, dirigenti della Chiesa; comunità e istituzioni; persone con ruoli di responsabilità all’interno delle istituzioni europee; sindacati e datori di lavoro. Abbiamo intervistato padre Fabio Baggio, sottosegretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale:

Padre Baggio spiega che innanzitutto si devono valutare e passare al vaglio critico le condizioni legali o illegali esistenti. In sostanza – sottolinea padre Baggio – bisogna far emergere dal sommerso dell’invisibilità le situazioni. Poi, raccomanda, è essenziale sensibilizzare l’opinione pubblica sul destino dei lavoratori migranti. Dunque, l’impegno della Chiesa è quello – chiarisce – di un primo intervento dal basso: assistenza a queste persone, senza discriminazioni sul credo religioso professato. Poi padre Baggio individua un secondo livello: quello delle politiche locali e nazionali e per questo afferma che le chiese locali possono far sentire la loro voce che è la voce di chi conosce le questioni da vicino. Padre Baggio sottolinea, inoltre, l’importanza di un terzo livello di azione che definisce di “governance globale del lavoro”. Si tratta del piano della comunità internazionale che presenta maggiori difficoltà ma che resta essenziale. E per ottenere risultati concreti su questo piano spiega che è essenziale che si tenga alta l’attenzione su quanto accade in termini di diritti non rispettati e che cambi la narrativa corrente. Ricorda infatti che troppo spesso si mette l’accento sugli aspetti negativi delle migrazioni e si trascurano gli aspetti positivi che invece – sottolinea – emergono da tanti studi scientifici, economici, che mettono in luce, anche se non se ne parla quasi mai, il contributo preciso all’economia dei Paesi ospitanti.

Una precisa metodologia di ricerca

Gli esperti che sono stati coinvolti nel seminario di oggi, e più in generale nello studio di questi fenomeni, hanno spiegato che l’esame della situazione dei lavoratori migranti “invisibili” in Europa non viene fatta nel senso di un’indagine quantitativa. Piuttosto, vengono presentati come esemplari alcuni casi individuali accessibili al pubblico, via Internet, notiziari, racconti che fanno “letteratura”.

Dunque, l’impegno a lungo termine promosso da istituzioni e persone ecclesiastiche viene presentato con un’intenzione paradigmatica.

In quella che gli esperti hanno definito la terza fase, i testi della Dottrina sociale della Chiesa vengono presi in considerazione ed esaminati per rilevanza rispetto al problema dei lavoratori migranti “invisibili”. Questo tipo di impegno viene assunto nella convinzione dichiarata di voler promuovere una pratica di solidarietà tra Europa orientale e occidentale che sia nuova perché impostata in una prospettiva teologica-sistematica. Si individua poi una quarta fase dell’indagine nel momento in cui la ricerca andrà a tracciare soluzioni socio-eticamente valide per una convivenza europea tra Oriente e Occidente che non sfrutti i lavoratori migranti.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/migranti-lavoratori-europa-governance-globale-chiesa.html

L’Oceania e la necessità di un’ecologia integrale

Abitabilità e identità dei popoli: nelle questioni ambientali più urgenti per il Continente è fondamentale l’approccio dell’ecologia integrale auspicata da Papa Francesco e promossa sul terreno dalla Caritas. A sottolinearlo è l’ambasciatore di Australia presso la Santa Sede, Chiara Porro

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Le questioni ecologiche in Oceania”, è stato questo il tema del webinar organizzato oggi da Caritas Internationalis e dall’Ambasciata d’Australia presso la Santa Sede. Ha aperto i lavori il cardinale Soane Patita Paini Mafi, vescovo di Tonga, sottolineando l’importanza dell’impegno della Caritas a promuovere un dibattito che offre grandi opportunità di riflessione perché tiene conto degli insegnamenti di Papa Francesco contenuti nella Enciclica Laudato si’, come è immediatamente immaginabile, ma anche degli insegnamenti contenuti nell’altra Enciclica Fratelli tutti. Entrambi i documenti infatti offrono gli elementi chiave per un approccio integrale alle questioni ecologiche. L’ambasciatore australiano presso la Santa Sede, Chiara Porro, ha parlato dei rapporti tra Caritas e Stati, che permettono di creare sinergia per rilevare e affrontare i problemi:

L’ambasciatore Porro ricorda che le più urgenti questioni ambientali in Oceania sono rappresentate soprattutto dall’emergenza per le piccole isole minacciate da uragani anomali dovuti ai cambiamenti climatici e al sollevamento del livello degli oceani legato proprio al surriscaldamento globale, con tutte le implicazioni anche per la fauna marina. E dunque l’ambasciatore sottolinea l’importanza di guardare a queste questioni considerando che ad essere davvero minacciata è l’abitabilità di alcune isole ma che non è solo un problema di disponibilità di territorio: si tratta – spiega – di qualcosa che va a toccare, ferire, compromettere l’identità di popoli che da sempre è fortemente legata a quel preciso habitat naturale, quasi in simbiosi con l’Oceano. È per questo – sottolinea l’smbasciatore Porro – che risulta prezioso il contributo della Chiesa e della Caritas che incarnano un approccio alla persona globale, in grado di tenere conto dei tanti necessari aspetti da considerare.

La collaborazione tra Caritas e Stati

In particolare, Chiara Porro fa riferimento all’esperienza del suo Paese, sottolineando come le istituzioni dell’Australia lavorano a diversi livelli con la Caritas e con le realtà ecclesiali sul territorio, riscontrando cura per uno sviluppo integrale della persona e profonda conoscenza dei territori e delle tradizioni. L’ambasciatore ricorda come l’Australia sia Paese leader per l’attenzione all’ambiente e alle questioni dello sviluppo spiegando che il 40 per cento delle risorse messe in campo è diretto all’Oceania. Tra i diversi aspetti affrontati l’ambasciatore si sofferma sulla rilevante collaborazione con la Caritas nei casi di risposta ai disastri ambientali citando anche purtroppo la risposta all’emergenza pandemia. Poi rileva l’importanza di un’azione educativa e a questo proposito racconta di progetti del governo australiano che contano sulla collaborazione della Caritas per creare percorsi curriculari in grado di affrontare al meglio le sfide ambientali, ma anche progetti per assicurare aggiornamento agli insegnanti attuali.

Tra gli altri interventi

Il segretario generale di Caritas Internationalis, Aloysius John, ha messo in luce l’importanza di concepire un’ecologia integrale che sappia assicurare un approccio ai problemi e alle sfide attuali guardando alle relazioni profonde tra esseri umani e natura e tra esseri umani e altri esseri umani. Monsignor Peter Loy Chong, arcivescovo di Suva, ha ricordato quali siano le preoccupazioni in tema di questioni ambientali nella regione Oceania: “C’è la più nota questione delle barriere coralline ma c’è anche l’urgenza dell’inquinamento dovuto ai pesticidi che, in particolare nelle zone agricole, rischia di compromettere non solo la flora e la fauna, ma anche l’accesso all’acqua potabile da parte degli esseri umani”. Kirsty Robertson, direttore esecutivo di Caritas Australia, è stato invitato a illustrare a grandi linee il lavoro della Chiesa, delle Caritas e delle organizzazioni della società civile nella regione Oceania.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-05/caritas-oceania-australia-papa-francesco-laudato-si.html

Bioinsicurezza, nuove sfide per l’umanità

Con la moltiplicazione nel mondo di laboratori che manipolano virus e agenti patogeni potenzialmente letali per l’uomo, cresce la necessità di un maggiore controllo di questi centri insieme con l’esigenza del rafforzamento della cooperazione internazionale in questo delicato settore. Intervista con Massimo Amorosi, esperto di minacce biologiche

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La proliferazione di laboratori che si occupano di agenti biologici pericolosi è solo uno dei fattori che fanno pensare che si debba parlare di bioinsicurezza. Al di là della natura e dell’origine dell’infezione da coronavirus scoppiata tra fine 2019 e inizio 2020, è doveroso cercare di capire qualcosa delle nuove prospettive e dei possibili scenari nell’universo biologico. Si parla di Bio-Safety Levels (BSL), cioè  livelli di Bio-sicurezza che vengono utilizzati per identificare e standardizzare tutte le misure di protezione necessarie in un laboratorio. Normalmente si usa la sigla BSL con un numero che identifica proprio il livello più o meno alto di necessaria protezione da assicurare a un determinato laboratorio.

Per capire di quali altri aspetti sia necessario innanzitutto tenere conto, abbiamo intervistato Massimo Amorosi, esperto di minacce biologiche che lavora presso l’azienda Rait88 e collabora con il Centro innovazione difesa dello Stato Maggiore della Difesa:

Amorosi ricorda che globalmente sono operativi o in fase di realizzazione più di cinquanta laboratori BSL-4 fra Asia, Africa, Europa, Russia e Stati Uniti, citando un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2017. Sottolinea che oltre al proliferare di laboratori di tipo BSL-3 e BSL-4 si devono prendere in considerazione il fenomeno della convergenza tecnologica e i rischi che promanano da talune partnership internazionali, nonché la crisi dei tradizionali regimi internazionali di controllo degli armamenti, in primis della Convenzione sulle Armi Biologiche. Tutti questi fattori considerati insieme – spiega – confermano un’urgente necessità di consolidare gli strumenti di biosicurezza, ridurre i rischi biologici posti dai progressi tecnologici, creare nuovi approcci per migliorare la sorveglianza delle malattie infettive, nonché identificare e colmare i gap per rafforzare le capacità di sicurezza sanitaria globale. Secondo Amorosi, il punto è che nonostante le menzionate sfide, la biosicurezza rimane una priorità di sicurezza ancora troppo sottostimata e sottofinanziata in gran parte dei Paesi avanzati. L’esperto mette in luce un punto centrale: la recente pandemia ha dimostrato che non vi è alcuna differenza nell’attivazione dei meccanismi di preparazione e risposta ad una minaccia biologica emergente, a prescindere dalla sua origine naturale, accidentale, o deliberata.

L’evoluzione dei rischi biologici emergenti

Massimo Amorosi parla di “scala globale” e di fattori antropici come la digitalizzazione e quella che definisce la “democratizzazione delle scienze biologiche”. Spiega che una significativa area di convergenza è quella delle tecnologie genomiche con l’intelligenza artificiale (AI), l’automazione, la robotica, e il cloud computing, cioè quel sistema di archiviazione di dati esterno ai supporti personali che identifichiamo come “nuvola”. Amorosi parla di machine learning e di deep learning, che stanno ad indicare  rispettivamente un apprendimento automatico  per raggiungere l’intelligenza artificiale  un apprendimento approfondito inteso come uno dei molteplici approcci relativi all’apprendimento automatico.

E dunque afferma che gli sviluppi nelle tecnologie genomiche e in altre tecnologie emergenti, in particolare proprio in tema di machine learning e di deep learning, sollevano qualche timore nella misura in cui l’accesso ad un’ingente disponibilità di genomi umani, spesso con dati clinici direttamente associati, può implicare la possibilità che dei bioinformatici possano iniziare a mappare la suscettibilità alle infezioni in popolazioni specifiche, come ha sottolineato un rapporto dell’Istituto dell’ONU per la ricerca sul disarmo. Più in generale – sintetizza Amorosi– si può parlare di  convergenza tecnologica ma bisogna soffermarsi su una prospettiva concreta: il trasferimento, in virtù di alcune partnership internazionali, di tecnologie e know-how verso Paesi che non dispongono di adeguati protocolli di biosicurezza espone a seri rischi, così la crisi dei tradizionali regimi internazionali di controllo degli armamenti, in primo luogo della Convenzione sulle Armi Biologiche, rappresenta un altro motivo di preoccupazione.

L’importanza della supervisione

La supervisione governativa – ribadisce Amorosi – appare fondamentale per la sicurezza del tipo di laboratori citati, anche se il fulcro resta costituito dal personale che vi opera, dilatando in tal modo il rischio del cosiddetto “insider threat”, termine sempre inglese utilizzato per identificare una minaccia interna.  In ogni caso, Amorosi ricorda che in un numero crescente di questo tipo di strutture si effettuano manipolazioni ad alto rischio di microrganismi, anche a fronte di batteri o virus nuovi, ossia con differenze genetiche rispetto ai microrganismi originari, oppure emergenti, cioè contro i quali non sono disponibili appositi farmaci e vaccini. E questo accade – avverte – nel contesto attuale di una più accentuata competizione internazionale tra le grandi potenze, in un momento di crisi e  tensioni legate ai cambiamenti climatici e agli interventi distorsivi da parte dell’uomo sull’ambiente.

L’ipotesi da evitare – spiega Amorosi – è che sostenitori di istanze radicali facciano ricorso ad agenti biologici. L’esperto ricorda che il 75 per cento delle malattie emergenti sono di origine animale, mentre l’80 per cento degli agenti patogeni classificabili per un potenziale uso bioterroristico sono zoonosi, ossia malattie trasmissibili dall’animale all’uomo. E poi spiega che i sistemi contemporanei di sorveglianza di patogeni pericolosi per la salute pubblica rimangono però separati per esseri umani e animali. È evidente dunque la necessità – sottolinea – di approfondire la comprensione dell’interfaccia o trasmissione di agenti patogeni tra l’ambiente, la fauna selvatica, gli animali e l’uomo come parte di un complesso sistema socio-ecologico. In una parola – dice – è necessario fare prevenzione a diversi livelli.

L’appello della Nato

Il Segretario Generale della NATO Stoltenberg – ricorda Amorosi –   ha sottolineato che “il compito principale dell’Alleanza è fornire deterrenza e difesa e assicurarsi che questa crisi sanitaria non si trasformi in una crisi di sicurezza”. Ciò è tanto più vero – mette in luce Amorosi – in quanto la partita tecnologica internazionale si sostanzierà in una sfida geopolitica senza precedenti: la crescente convergenza tra tecnologie emergenti innescherà dinamiche di iper-competizione con l’affacciarsi di nuovi rischi in termini di sicurezza, anche militare, con effetti in qualche modo simili a quelli riscontrati con l’avvio dell’era nucleare.

Non solo infezioni

Lo studio dell’Onu – riporta Amorosi – chiarisce non solo che tali informazioni possono essere usate per lo sviluppo di armi “mirate”, ma anche che il machine learning applicato all’ingegneria proteica può avere profonde implicazioni nell’identificare possibili bioregolatori e tossine impiegabili per finalità ostili. Amorosi spiega che, con l’espansione del processo di digitalizzazione della biologia, la biotecnologia sta uscendo da tradizionali settori: l’ingegnerizzazione deliberata della biologia sta aprendo opportunità senza precedenti per l’uso di biomateriali e biocombustibili, sia per l’agricoltura che per la filiera agro-alimentare, oltre che ad esempio per l’ambito energetico.  Oltre ad un potenziale impatto che mette in pericolo la salute pubblica, l’ambiente, l’economia e la sicurezza nazionale, – chiarisce Amorosi – la gamma di rischi e minacce che ne deriva può includere il furto di informazioni per scopi militari e di proprietà intellettuale nel contesto di scenari di guerra economica.

Amorosi fa un esempio parlando di malware, termine che  deriva dall’abbreviazione dell’inglese malicious software, che significa letteralmente “software malevolo”, quello che definiamo comunemente un virus informatico. Spiega che malware  di intelligenza artificiale potrebbero essere utilizzati per automatizzare una manipolazione di dati con l’intento di falsificare o sottrarre informazioni all’interno di vaste raccolte di dati genomici. Si deve seriamente parlare – avverte Amorosi – di cyber-biosicurezza collegandola a vulnerabilità informatiche associate ai sistemi di dati in rete, alle apparecchiature di laboratorio e alla sicurezza delle strutture, grazie ad una accorta pianificazione strategica.

La necessaria collaborazione tra privato e pubblico

Considerando le ingenti risorse indirizzate ai settori cyber, biologico e all’ambito emergente che promana dalla loro convergenza, ma anche le non sufficienti capacità delle imprese di proteggersi dall’ampia gamma di rischi alla sicurezza, Amorosi sottolinea che i governi nazionali dovrebbero collaborare con i rispettivi settori privati per definire standard volontari per la cyber-biosicurezza.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-05/salute-pandemia-difesa-minacce-biologiche-armi-potenze-nato.html

Covid-19: gli Usa pronti a sospendere i brevetti sui vaccini

L’annuncio del presidente Biden fa sperare che vengano cancellate le royalties nel mondo mentre nei Paesi poveri la pandemia miete vittime. Le case farmaceutiche sono chiamate a rinunciare a introiti significativi ma bisogna ricordare che sono state ampiamente sovvenzionate da fondi pubblici, come spiega l’esperto del Cnr Diego Breviario

Francesca Sabatinelli e Fausta Speranza – Città del Vaticano

Davvero una svolta epocale, necessaria perché la lotta al Covid possa avere un’accelerazione. L’amministrazione Biden appoggerà ogni sforzo per rinunciare ai brevetti per i vaccini pur continuando a credere fortemente nella protezione della proprietà intellettuale. Ma per porre fine alla pandemia, hanno spiegato fonti governative, se ne sosterrà la revoca.

Voci discordi

L’Organizzazione Mondiale della Sanità appoggia gli Stati Uniti parlando di esempio di potente leadership per affrontare le sfide sanitarie globali. Voci discordi, invece, dal mondo dell’industria farmaceutica, secondo il quale la produzione dei vaccini non potrà essere incrementata allentando i brevetti. L’annuncio statunitense è giunto mentre all’Organizzazione Mondiale del Commercio, sono in corso discussioni sulla revoca temporanea dei brevetti per i vaccini contro il Covid-19 e altri strumenti, che Sudafrica e India, Paese quest’ultimo devastato dalla pandemia, hanno proposto per la prima volta a ottobre. Da allora oltre 100 Paesi si sono fatti avanti a sostegno della proposta, dopo la presa di posizione degli Stati Uniti, è da vedere come risponderanno quei Paesi europei con importanti industrie farmaceutiche che hanno già visto i loro titoli crollare in Borsa.

Europa, farmacia del mondo

Intervenendo allo Stato dell’Unione, la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha espresso disponibilità a discutere della proposta degli Stati Uniti per contrastare la pandemia a livello globale. “Intanto nel breve periodo – ha aggiunto – chiediamo ai Paesi che producono vaccini di permettere l’export ed evitare misure che mettono in crisi la catena di produzione”. Poi la Von der Leyen ha ribadito che “l’Europa è il principale esportatore di vaccini a livello mondiale, più di 200 milioni di dosi prodotte in Europa sono state spedite nel resto del mondo”. Nel suo discorso ha citato don Lorenzo Milani e l’esperienza di Barbiana, con il motto “I care”. “Durante e oltre la pandemia” queste due parole “devono diventare il motto dell’Europa”, ha sottolineato. “‘I care’ significa prendersi responsabilita’ e quest’anno milioni di europei hanno detto ‘I care’ con le loro azioni” di “volontariato o semplicemente proteggendo le persone che gli stavano attorno”. “I care, we care:- ha aggiunto – credo che sia la piu’ importante lezione che possiamo imparare da questa crisi”.

Intanto la Banca Centrale europea nel Bollettino economico ha affermato che i progressi delle campagne vaccinali in Europa “dovrebbero porre le basi per un recupero dell’attività economica nell’arco del 2021, sebbene per una completa ripresa sarà necessario attendere ancora qualche tempo”, in un contesto che resta di “elevata incertezza”.

Le case farmaceutiche sono state sovvenzionate

Sono innegabili le difficoltà di produzione in tempi brevi e in larga scala del vaccino, la complessità di un piano che deve interessare buona parte della popolazione terrestre, con la complicazione delle continue modifiche del virus che lo rafforzano. Ed è innegabile l’importanza di tutelare con un brevetto la proprietà intellettuale, ma bisogna ricordare l’eccezionalità della situazione attuale che stiamo vivendo e alcuni aspetti legati ai finanziamenti, come spiega l’esperto del Cnr Diego Breviario:

Il dottor Breviario sottolinea l’importanza del pronunciamento da parte dell’amministrazione di un Paese che resta una grande potenza in grado di influenzarne altre. Ricorda che ci si dovrà però pronunciare  anche a livello di Organizzazione mondiale del commercio (Wto). E’ immaginabile che ci siano forze che remano contro – ammette  – ed è pensabile che la decisione non sarà facile. Il punto è – sostiene – che bisogna parlare di finanziamenti per ricordare che nel caso del vaccino contro il coronavirus sono stati messi in campo, assicurati alle case farmaceutiche, ingenti somme di denaro pubblico. Pur riconoscendo dunque il valore della proprietà intellettuale e difendendo il principio da pagare per le royalties, Breviario sottolinea come in questo caso le case farmaceutiche non possano rivendicare profitti. Di fronte alla pandemia e alla morte di così tante persone ovunque e in particolare nei Paesi poveri risulterebbe inaccettabile ma soprattutto non possono rivodendicare soldi per “privati” per una produzione che è stata ampiamente sostenuta da una ricerca sovvenzionata da fondi pubblici.

https://nemo.vaticannews.va/editor.html/content/vaticannews/it/mondo/news/2021-05/coronavirus-vaccini-brevetti-stati-uniti.html