Francesco: adorare Dio è scoprirlo nascosto nelle situazioni semplici

“Alzare gli occhi”, “mettersi in viaggio” e “vedere”: alla Messa dell’Epifania il Papa invita a riscoprire gli insegnamenti dei Re Magi. Ricorda come seppero riconoscere il Signore in un bambino, aprendo il cuore a quella fiducia in Dio che è fonte di una gioia interiore che beni materiali e successo non possono uguagliare

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“La vita non è una dimostrazione di abilità, ma un viaggio verso Colui che ci ama”: così Papa Francesco invita, all’Omelia della Messa dell’Epifania, a scoprire i significati dell’adorazione. E Papa Francesco a braccio aggiunge che non dobbiamo ad ogni tappa della vita esibire una tessera delle virtù. Come i Re Magi, possiamo comprendere che “Dio rifugge da ogni ostentazione” e incontrarlo “spesso nascosto in situazioni semplici, in persone umili e marginali”.

Il bisogno di adorare e i rischi

Per l’uomo è naturale il bisogno di adorare – spiega il Papa – ma rischia facilmente di fare errori. “Non è spontaneo in noi l’atteggiamento di adorare Dio”. L’essere umano ha bisogno, sì, di adorare, ma rischia di sbagliare obiettivo; infatti, se non adora Dio, adorerà degli idoli, e invece che credente diventerà idolatra”. E il Papa a braccio ricorda l’espressione di uno scrittore francese che avverte:  “Chi non adora Dio, adora il diavolo”, e aggiunge: “questo è così, aut aut”. Dunque, il Papa invita a riflettere sul fatto che “adorare il Signore non è facile, non è un fatto immediato: esige una certa maturità spirituale, essendo il punto d’arrivo di un cammino interiore, a volte lungo”.

Alla scuola dei Magi

Con la convinzione che “nella nostra epoca è particolarmente necessario che, sia singolarmente che comunitariamente, dedichiamo più tempo all’adorazione, imparando sempre meglio a contemplare il Signore”, il Papa sintetizza con tre espressioni gli insegnamenti dei Re Magi. Lo fa dopo aver sottolineato che “si è perso un po’ il senso della preghiera di adorazione” e aggiungendo che “dobbiamo riprenderlo, sia comunitariamente sia nella propria vita spirituale” e dopo aver avvertito: “Adorarlo sul serio, non come ha detto Erode: ‘Ma fate … dove è il posto … e andrò io ad adorarlo’. No, questa adorazione non va. Sul serio!”. L’evangelista Matteo sottolinea che i Magi, quando giunsero a Betlemme, “videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono”. “Ci mettiamo alla scuola dei Magi – dice Francesco – per trarne alcuni insegnamenti utili: come loro, vogliamo prostrarci e adorare il Signore”. Il Papa guida la riflessione a partire dalle espressioni che si ricavano – spiega – dalla Liturgia della Parola della Solennità dell’Epifania. Queste espressioni sono “alzare gli occhi”, “mettersi in viaggio” e “vedere”.

Alzare gli occhi

Francesco afferma che per adorare il Signore bisogna anzitutto “alzare gli occhi” spiegando cosa comporti, “non lasciarsi cioè imprigionare dai fantasmi interiori che spengono la speranza, e non fare dei problemi e delle difficoltà il centro della propria esistenza”. Ciò non vuol dire negare la realtà, fingendo o illudendosi che tutto vada bene, sottolinea. Piuttosto, l’invito è a “guardare in modo nuovo i problemi e le angosce, sapendo che il Signore conosce le nostre situazioni difficili, ascolta attentamente le nostre invocazioni e non è indifferente alle lacrime che versiamo”. Quando questo avviene – insegna Francesco – il cuore si apre all’adorazione. Al contrario, quando fissiamo l’attenzione esclusivamente sui problemi, rifiutando di alzare gli occhi a Dio, la paura invade il cuore e lo disorienta, dando luogo alla rabbia, allo smarrimento, all’angoscia, alla depressione. In queste condizioni è difficile adorare il Signore. Se si verifica ciò, “bisogna avere il coraggio di rompere il cerchio delle nostre conclusioni scontate, sapendo che la realtà è più grande dei nostri pensieri”. In definitiva, considera il Papa, il Signore ci invita in primo luogo ad avere fiducia in Lui, perché Egli si prende realmente cura di tutti. Da qui, sottolinea, nasce “l’adorazione del discepolo che ha scoperto in Dio una gioia nuova, diversa, e che, piuttosto che sul possesso dei beni, sul successo o su altre cose simili, si fonda proprio sulla fedeltà di Dio, le cui promesse non vengono mai meno, a dispetto delle situazioni di crisi in cui possiamo venire a trovarci”.

La fiducia non deve venire meno quando abbiamo la consapevolezza di aver peccato. Il Papa infatti aggiunge: “Anche i peccati, anche la coscienza di essere peccatori, di trovare cose tanto brutte. ‘Ma io ho fatto questo…ho fatto..’: se tu lo prendi con fede e con pentimento, con contrizione, ti aiuterà a crescere. Tutto, tutto aiuta, dice Paolo – più o meno – , alla crescita spirituale, all’incontro con Gesù, anche i peccati, anche i peccati. E santo Tommaso aggiunge: ‘etiam mortali’, anche i brutti peccati, i peggiori. Ma se tu lo prendi con pentimento ti aiuterà in questo viaggio verso l’incontro con il Signore e adorarlo meglio.”

Mettersi in viaggio

Prima di poter adorare il Bambino nato a Betlemme, i Magi dovettero affrontare un lungo viaggio. Papa Francesco invita a riflettere sulla trasformazione, il cambiamento che implica un viaggio. “C’è sempre qualcosa di nuovo in chi ha compiuto un cammino: le sue conoscenze si sono ampliate, ha visto persone e cose nuove, ha sperimentato il rafforzarsi della volontà nel far fronte alle difficoltà e ai rischi del tragitto”. Dunque, l’invito a mettersi in discussione: “Non si giunge ad adorare il Signore senza passare prima attraverso la maturazione interiore che ci dà il metterci in viaggio”. Il punto è “lasciarsi modellare dalla grazia” e Francesco cita San Paolo: “L’uomo esteriore invecchia – dice nella seconda Lettara ai Corinzi –, mentre l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno”. I fallimenti, le crisi, gli errori – osserva Francesco – possono diventare esperienze istruttive, ma l’importante è che ci rendano consapevoli che “solo il Signore è degno di essere adorato, perché soltanto Lui appaga il desiderio di vita e di eternità presente nell’intimo di ogni persona”. Inoltre, col passare del tempo, le prove e le fatiche della vita – vissute nella fede – contribuiscono a purificare il cuore, a renderlo più umile e quindi più disponibile ad aprirsi a Dio. Di qui, l’invito e la preghiera di Francesco: “Non permettiamo che le stanchezze, le cadute e i fallimenti ci gettino nello scoraggiamento”. Guardando al Signore, ribadisce, troveremo la forza per proseguire con gioia rinnovata, ricordando però che “la vita non è una dimostrazione di abilità, ma un viaggio verso Colui che ci ama”.

Vedere

L’adorazione – ricorda Francesco – era l’atto di omaggio riservato ai sovrani, ai grandi dignitari e i Magi, in effetti, adorarono Colui che sapevano essere il re dei Giudei, ma di fatto, videro un povero bambino con sua madre. Quello che fa straordinario il loro gesto di adorazione è che “questi sapienti, venuti da paesi lontani, seppero trascendere quella scena così umile e quasi dimessa, riconoscendo in quel Bambino la presenza di un sovrano. Furono cioè in grado di ‘vedere’ al di là dell’apparenza”. E Papa Francesco chiarisce a tutti che “per adorare il Signore bisogna ‘vedere’ oltre il velo del visibile, che spesso si rivela ingannevole”.

Il realismo teologale

Francesco ricorda che Erode e i notabili di Gerusalemme rappresentano la mondanità, “perennemente schiava dell’apparenza e in cerca di attrattive”: essa dà valore soltanto alle cose sensazionali, alle cose che attirano l’attenzione dei più. E poi descrive l’atteggiamento diverso dei Re Magi usando l’espressione di “realismo teologale”. Lo spiega così: “Esso percepisce con oggettività la realtà delle cose, giungendo finalmente alla comprensione che Dio rifugge da ogni ostentazione. Questo modo di ‘vedere’ che trascende il visibile, fa sì che noi adoriamo il Signore spesso nascosto in situazioni semplici, in persone umili e marginali. Si tratta dunque di uno sguardo che, non lasciandosi abbagliare dai fuochi artificiali dell’esibizionismo, cerca in ogni occasione ciò che non passa.”

L’obiettivo per ognuno

Il Papa dunque, dopo l’invito a riscoprire ancora una volta il valore e i significati dell’adorazione, esprime la sua preghiera nel giorno dell’Epifania: “Che il Signore Gesù ci renda suoi veri adoratori, in grado di manifestare con la vita il suo disegno di amore, che abbraccia l’intera umanità”. E conclude a braccio: “Chiediamo la grazia per ognuno di noi e per la Chiesa intera, di imparare ad adorare, di continuare ad adorare, di esercitare tanto questa preghiera di adorazione perché solo Dio va adorato”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-01/papa-omelia-messa-epifania-re-magi-bambino-umilta.html

Civili trucidati in Niger

LA strage di due giorni fa, nel Paese dove a fine dicembre si è votato per il primo turno delle presidenziali, è stata pianificata militarmente ma non ancora rivendicata. Indubbia la matrice del terrorismo che, con diverse sigle, imperversa nell’area tra il Mali, il Niger e il Burkina Faso

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Fra il Sahara e il Sahel, in un mondo senza confini. Almeno per i jihadisti che imperversano e che questa volta hanno colpito due villaggi in Niger nella regione sud-occidentale di Tillabéri, un imbuto di deserto tra il Mali e il Burkina Faso. Si tratta del remoto villaggio di Tchombangou e di quello di Zaroumdareye. In pieno giorno hanno visto arrivare la violenza su un centinaio di moto: uomini armati – provenienti dal Mali – hanno ucciso decine e decine di persone rincorrendole nelle loro case. E pensare che proprio per motivi di sicurezza le moto in quella regione sono vietate. Hanno seminato quel terrore che da anni accompagna i traffici di esseri umani, di armi, di droga tra il Mali, il Niger e il Burkina Faso. Nel 2019 hanno contato circa 4.000 morti proprio per atti di terrorismo, secondo una stima dell’Onu. La violenza è diffusa quanto l’instabilità politica e le povere condizioni di vita: i feriti sono stati portati in due ospedali: a Ouallam e nella capitale Niamey, entrambi a 120 chilometri di distanza.

Per capire le dinamiche che vanno oltre il singolo episodio di sangue e che attraversano tutta l’area, abbiamo intervistato Luca Mainoldi, responsabile per l’Africa dell’agenzia Fides:

Mainoldi innanzitutto sottolinea che per i terroristi il periodo elettorale è un fattore di amplificazione dei loro gesti, ma poi ricorda che si tratta di un’area dove si sommano vecchi  e nuovi interessi.  Il giornalista ricorda le connessioni a livello territoriale tra Mali, Niger e Burkina Faso in particolare ma ricorda anche che non sono troppo lontante anche le rivolte in Camerun o le violenze nella Repubblica del Centrafrica. Protagonisti delle violenze che ricorrono putroppo in queste zone sono gruppi di miliziani locali che poi sono legati a diverso titolo a gruppi internazionali. A volte – spiega Mainoldi –  si tratta di una specie di marchio, di brand internazionali che alcuni gruppi assumono per fronteggiarsi con altri. Di fatto si tratta di un’ampia zona dove il terrorismo gestisce traffici con interessi locali, ma a questo si sovrappone il piano degli interessi geopolitici in cui entrano anche dinamiche di potenze esterne. Il giornalista suggerisce anche un passo indietro per capire come l’instabilità politica e la conflittualità vissuta nel Mali tempo fa abbia provocato conseguenze in altri Paesi, come se la violenza contenuta almeno in un certo modo con l’intervento francese sia “tracimata” nei territori circostanti. Ma Mainoldi invita a fare anche un ulteriore passo indietro per ricordare come la fine del regime di Gheddafi abbia, al di là delle tantissime altre considerazioni che si potrebbero fare, contribuito a destabilizzare l’area del Nord Africa e del Sahel. Gheddafi infatti a suo modo manteneva un certo equilibrio anche assicuradno all’uno o all’altro a seconda delle circostanze armi o aiuti. Si può discutere sul suo ruolo ma indubbiamente l’uscita di scena di Gheddafi ha provocato a cascata instabilità.

In piena fase elettorale

Proprio in questi giorni il Niger ha iniziato il conteggio dei voti dopo il primo turno delle presidenziali tenutosi domenica 27 dicembre, che potrebbe portare nel Paese la prima transizione pacifica del potere dalla sua indipendenza dalla Francia, nel 1960. Quasi 7,5 milioni di nigerini hanno votato per scegliere il successore del presidente Mahamadou Issoufou, che ha consegnato le dimissioni dopo due mandati quinquennali alla guida del Paese, di circa 23 milioni di abitanti. I risultati sono attesi entro cinque giorni e potrebbero essere necessarie due settimane per la loro ufficializzazione da parte della Corte costituzionale. Poi si svolgerà il secondo turno.

Ultimo aggiornamento ore 14.30 04.01.2020

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-01/niger-sahara-sahel-terrorismo-mali-burkina-faso.html

Sfide e opportunità della presidenza italiana del G20

L’annunciato Vertice mondiale sulla salute, a maggio prossimo, è uno degli eventi previsti durante la presidenza italiana del G20. I temi sono tanti – dall’ambiente alla ricerca, dalla sostenibilità all’empowerment femminile – ma l’ambasciatore Pasquale Ferrara sottolinea come siano tutti attraversati dalla stessa sfida: “riscoprire l’importanza del prendersi cura delle persone e non solo dal punto di vista medico”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si terrà a Roma il 21 maggio prossimo il Global Health Summit, annunciato, a settembre scorso, dal presidente del Consiglio dei ministri italiano Giuseppe Conte, con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Si tratterà di affrontare le principali sfide connesse all’emergenza sanitaria con un approccio sinergico. E la tutela della salute e la sostenibilità, così come l’innovazione e la ricerca, la lotta alla corruzione e l’empowerment femminile, sono centrali nell’agenda dell’anno di presidenza italiana – iniziato formalmente il 1 dicembre 2020 – del cosiddetto G20. Si tratta del forum dei leader, dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali, nato nel 1999, dopo una successione di crisi finanziarie per favorire l’internazionalità economica e la concertazione, tenendo conto delle nuove economie in sviluppo.

La presidenza, una grande opportunità

Delle sfide, degli obiettivi, delle potenzialità di questa presidenza italiana e dunque in qualche modo anche europea del G20, abbiamo parlato con l’ambasciatore Pasquale Ferrara, docente alle Università Luiss e Sophia:

Ferrara esprime la convinzione che per l’Italia e per l’Europa questa presidenza rappresenta una grande opportunità. L’ambasciatore si richiama al tema scelto e declinato con tre termini: persone, pianeta, prosperità. Spiega che racchiude il senso delle sfide, sottolineando che parlare di cura per le persone non significa solo cure mediche, ma attenzione su tanti livelli. E con questa ottica, afferma, si può rilanciare un commercio internazionale che sia sostenibile, perché ci vuole cura anche per il pianeta, e che sia equo per i popoli e per i vari strati delle popolazioni.

Il multilateralismo come priorità

Le congiunture internazionali sono sempre in movimento e si possono individuare attori e dinamiche che tornano o che si rinnovano ma, spiega Ferrara, quello che è davvero importante in questo 2021 è rilanciare il multilateralismo, inteso come l’organizzazione istituzionalizzata e organizzata tra i Paesi o le grandi aree regionali, che in quanto tale ha avuto negli anni scorsi serie battute di arresto. In questo – Ferrara ne è convinto – grande attore resta “l’Europa che del multilateralismo è campione mondiale”. Fondamentale, secondo Ferrara, è capire l’idea di sovranità come si intende nell’Unione europea.

Sovranità e condivisione

Secondo l’ambasciatore Ferrara non si tratta di discutere o operare per una rinuncia della sovranità, ma si tratta – ed è questa la concezione dell’Europa – di lavorare per la condivisione, per un rafforzamento della sovranità che passa attraverso l’operare congiuntamente. Alcuni fattori possono essere importanti, come ad esempio la prossima presidenza Biden negli Stati Uniti, o la stessa pandemia, che purtroppo ha portato dramma e dolore, ma che ha rappresentato anche una sollecitazione forte alla coesione. Il ruolo dell’Unione europea, sostiene Ferrara, deve essere quello di rafforzare la cosiddetta autonomia strategica, che spiega come la possibilità di scelte e assunzioni di responsabilità senza che questo crei incrinature.

Il nostro pianeta

Questa crisi pandemica, ricorda Ferrara, ha messo in luce le radici profonde di squilibri nella gestione del pianeta. Si deve comprendere, avverte, che la questione del pianeta è un tema politico fondamentale per il futuro. A proposito poi di empowerment femminile, Ferrara sottolinea l’importanza del tema. Chiarisce che non si tratta solo di avere più donne nei posti di potere: precisamente afferma che non si tratta solo di contare quante donne ci siano al potere, ma di far contare di più le donne a tutti i livelli della società. Ferrara ricorda che da tempo le Nazioni Unite hanno chiarito quanto sia incisiva l’azione delle donne in contesti di pacificazione o di mediazione e aggiunge che sarebbe fondamentale aprire la via a dinamiche che non siano fondate sulle solite logiche di potere o di prepotenza, ma piuttosto che abbiano la caratteristica che appartiene a molto del mondo femminile di andare oltre, aprendo  sempre orizzonti di dialogo e di confronto. Secondo Ferrara, promuovere questo tema a livello di G20 è un’opportunità straordinaria. L’obiettivo, secondo l’ambasciatore e docente di relazioni internazionali, è proprio spostare l’accento da meccanismi di potere a meccanismi di cura, intesa come prendersi cura delle persone, dell’ambiente, del pianeta, del futuro delle prossime generazioni etc. Ferrara mette in luce un aspetto che deve far riflettere: tutta la corsa agli armamenti, simbolo di forza, non ha potuto nulla nei confronti di un virus piccolissimo che ha messo in ginocchio il mondo. Dunque, anche questo, sottolinea, può essere di monito a non confidare troppo in tutto ciò che attiene a equilibri di potenza. Il caso della pandemia ci ha ricordato che serve lo studio e la collaborazione, la cura, l’attenzione.

Oltre l’illusione del liberalismo sfrenato

Ferrara parla di attenzione ai più deboli come della più grande sfida di ogni società aggiungendo che, in questo momento, possiamo capire meglio fino a che punto sia importante. Non è solo un discorso etico, dice, ma è anche un discorso economico perché non dimenticare gli ultimi contribuisce ad assicurare maggiore reale benessere per tutti. A questo proposito, cita Papa Francesco e i tanti suoi documenti che invitano a prendere le distanze dalla cosiddetta cultura dello scarto, e a prendersi cura del creato e degli altri, riconoscendo tutte le fondamentali relazioni a tutti i livelli della realtà dell’uomo. Tra l’altro, Ferrara ricorda l’illusione del liberismo sfrenato, che partiva dal presupposto che si deve puntare a creare ricchezza per pochi perché poi i benefici di questa ricchezza in qualche modo ricadranno sui molti. L’ambasciatore sottolinea che è ormai chiaro a tutti che non funziona così e dunque torna a ribadire che bisogna muoversi in una direzione diversa, con l’obiettivo di farsi carico dei poveri, degli ultimi, creando così una società migliore per tutti. Fin quando ci saranno interi settori della società esclusi da ricchezza e da servizi essenziali, spiega Ferrara, non ci potranno essere quelle condizioni di pace sociale, e tra l’altro anche di creatività, che fanno la vera ricchezza di una società. La ricchezza, avverte, non si misura solo in prodotto interno lordo.

Gli appuntamenti principali del G20 nel 2021

Il calendario prevede lo svolgimento di numerose riunioni ministeriali e il Vertice dei leader a Roma il 30-31 ottobre 2021, oltre ad alcuni eventi speciali. Ogni incontro ministeriale è dedicato a un tema e viene organizzato in città diverse: quello su cultura-turismo si svolgerà a Roma, il 3-4 maggio; quello su lavoro-istruzione a Catania, il 22-23 giugno; esteri-sviluppo a Matera con sessione ad hoc sulla cooperazione allo sviluppo a Brindisi, 28-30 giugno; economia e finanze a Venezia, 9-10 luglio; ambiente-clima-energia a Napoli, 22-23 luglio; innovazione e ricerca a Trieste, 5-6 agosto; salute a Roma, 5-6 settembre; agricoltura a Firenze, 19-20 settembre; commercio internazionale a Sorrento, 5 ottobre. Si terrà inoltre una conferenza ministeriale internazionale sul women’s empowerment il 26 agosto. Il luogo di svolgimento è ancora da definire.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2021-01/italia-europa-economia-multilateralismo-sovranita-paesi-g-20.html

Più coesione nell’Ue che entra nel 2021

Parole d’ordine della prospettiva europea per i prossimi sette anni sono sviluppo regionale e coesione. Al di là dei propositi nei documenti, l’Unione europea entra in un nuovo anno cambiata non solo per la Brexit ma per il salto di qualità che ha fatto in tema di interventi concertati e condivisi sull’economia reale dei cittadini, come spiega lo storico Federico Niglia

Fausta Speranza – Città del Vaticano

I documenti pubblicati dalla Commissione Ue per il periodo 2021-2027 indicano sostanzialmente un obiettivo: promuovere lo sviluppo regionale sostenibile mediante strategie gestite a livello locale e in tutto il territorio Ue, che significa intervenire per tutte e tre le categorie, cioè regioni meno sviluppate, in transizione e più sviluppate.

I piani di intervento per il prossimo settennato

Si leggono poi le priorità di investimento che risultano orientate su cinque piani principali: l’innovazione per la trasformazione economica e il sostegno alle piccole e medie imprese; un’Europa più verde e priva di emissioni di carbonio grazie all’attuazione dell’accordo di Parigi e agli investimenti nella transizione energetica, nelle energie rinnovabili e nella lotta contro i cambiamenti climatici; un’Europa più connessa, dotata di reti di trasporto e digitali strategiche e infine un’Europa più sociale, che raggiunga risultati concreti riguardo al pilastro europeo dei diritti sociali e sostenga l’occupazione di qualità, l’istruzione, le competenze professionali, l’inclusione sociale e un equo accesso alla sanità.

L’accordo con la Cina

Ha ripreso slancio il negoziato tra Bruxelles e Pechino e il 30 dicembre è stato firmato un accordo commerciale. La Cina,  candidata a sorpassare gli Stati Uniti in quanto economia mondiale entro il 2028,  cinque anni prima del previsto ha già superato gli Usa come primo interlocutore economico dell’Unione europea. L’accordo di investimento con Bruxelles mira a creare innanzitutto parità di condizioni per le imprese europee in Cina.

Per tracciare un bilancio tra presente e futuro nel cammino europeo abbiamo parlato con Federico Niglia, docente di Storia delle Relazioni internazionali all’Università di Perugia:

Uno slancio nuovo

Il professor Niglia sottolinea che senz’altro il bilancio è positivo nei fatti e nella percezione della gente. Parla di successo nella gestione della Brexit per il tipo di accordo raggiunto ma soprattutto per la coesione dimostrata dai 27. Proprio la decisione della Brexit – ricorda – ha rappresentato il momento recente di maggiore disorientamento e disaffezione, ma invece il 2020 si chiude con uno slancio nuovo dovuto anche al fatto che in virtù degli effetti della decisione del Regno Unito, nessuno più parla di uscire dall’Ue.  E poi Niglia cita la questione più cruciale: la risposta che l’Unione ha dato compatta all’emergenza Covid-19, mettendo in campo molte risorse economiche ma soprattutto facendolo – aggiunge – con meccanismi di condivisione che sarebbero stati impensabili un anno fa.

Bilancio positivo: tra risultati concreti e percezioni

Niglia spiega che senz’altro è stata innovativa e sorprendente la risposta Ue alla pandemia ma sottolinea che bisogna fare chiarezza tra slancio rinnovato e meccanismi. Il primo indubbiamente – afferma – appartiene alla situazione ma gli strumenti già c’erano, dunque in realtà – dice – l’Ue ha fatto in grande e a tempi di record quello che è nelle sue facoltà fare: attivare meccanismi che incidono sull’economia reale dei cittadini.

Non mancano le sfide, ma si superano solo insieme

Lo storico mette in luce tutte le potenzialità di un’Europa che ha ridato vigore a principi fondativi come quello della solidarietà ma chiarisce anche che le sfide non sono finite. L’anno che si apre sarà ancora segnato dalla lotta al coronavirus e poi si dovrà riuscire a spendere bene le risorse straordinarie messe in campo. A questo proposito, sarebbe importante ripensare il rapporto tra le istituzioni europee e quelle di ciascun Paese membro, nel senso che troppo spesso si è parlato in passato solo di input dall’alto ai vari esecutivi. A questo proposito – spiega – l’immagine consueta è quella di un’Europa che cammina sulle gambe dei governi nazionali.  Niglia propone invece di rovesciare la prospettiva riconoscendo che i governi hanno bisogno di camminare grazie alle gambe dell’Ue. Invita, in sostanza, a mettere a fuoco in questa fine 2020 e inizio 2021, quanto le autorità così come i cittadini hanno avvertito importante: unire le forze. Dunque, il messaggio di Niglia è che non si deve perdere la prospettiva frutto di un salto di qualità dovuto al prezzo pagato in termini di vite umane e di sofferenza a causa la pandemia. Inoltre – sottolinea – questa prospettiva serve per le sfide del 2021.

Il rilancio delle relazioni con gli Stati Uniti

Joe Biden, il presidente eletto che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio, punta a ricostruire il rapporto con l’Unione Europea, ricorda Niglia parlando infine dell’orizzonte dei rapporti Ue- Usa. Sia la Commissione sia l’ufficio di presidenza del Consiglio Europeo hanno diffuso alcuni documenti in cui delineano una collaborazione più stretta con l’amministrazione Biden, elencando una serie di temi su cui si può ricostruire quella che negli scorsi decenni era stata una delle alleanze più solide dell’Occidente.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-12/unione-europea-bruxelles-pandemia-paesi-membri-economia.html

Londra, in cerca di accordi, comincia a fare i conti della Brexit

Turchia e Gran Bretagna hanno siglato un’intesa di libero scambio. Dopo la Brexit, Londra dovrà intraprendere negoziati con gli 80 Paesi con cui aveva relazioni in virtù dei legami a Bruxelles. Un impegno oneroso per arrivare, nel caso di Ankara, a intese uguali a quelle precedenti, come sottolinea l’economista Paolo Guerrieri spiegando le reali conseguenze dell’uscita dall’Ue per l’economia britannica

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’accordo tra Regno Unito e Turchia, raggiunto negli ultimi giorni del 2020, evita il pagamento di dazi e dunque conferma il regime di scambi che c’era fino ad oggi. Entra in vigore dal 1 gennaio, quando viene formalizzata la Brexit, e riguarda i beni industriali e agricoli. Secondo la dichiarazione, rilasciata dal governo britannico, l’accordo manterrà in vigore le tariffe preferenziali già esistenti per le circa 7.600 imprese britanniche che hanno esportato merci in Turchia nel 2019.  Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato  che per il suo Paese è “l’accordo più importante” dopo l’unione doganale con l’Ue e che, senza l’intesa, la Turchia avrebbe subìto perdite per 2,4 miliardi di dollari, visto che tre quarti dei beni che esporta nel Regno Unito sarebbero stati soggetti a dazi.

Novità per Londra e Ankara solo in prospettiva

Ankara e Londra fanno sapere che lavoreranno  per cercare di espandere l’accordo anche ai servizi e agli investimenti per rafforzare ulteriormente l’interscambio. Ma si tratta di una prospettiva tutta da sviluppare. Il ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha espresso anche la speranza di Ankara  di negoziare un accordo separato con Londra sull’immigrazione, per garantire ai cittadini turchi uno status speciale una volta che il Regno Unito abbia implementato nuove regole in tale ambito.

In generale per il dopo Brexit si prospettano perdite per Londra

La società indipendente di ricerca e strategie Independent Strategy prevede contraccolpi pesanti per l’economia britannica. Lo fa con il rapporto pubblicato in questi giorni in cui si legge che la soddisfazione dei mercati azionari britannici non durerà a lungo. La gioia nei mercati valutari, dove la sterlina è scambiata a 1,35 dollari potrebbe proseguire per un po’, ma tra un anno, secondo la società internazionale, è probabile che la sterlina venga scambiata al di sotto di 1,10 dollari.

Al di là dei mercati, che per definizione sono volatili e legati a tanti diversi fattori, per capire quali prospettive reali si intravedono per il Regno Unito abbiamo intervistato l’analista Paolo Guerrieri docente di economia politica alla Paris School of International Affairs, Sciences-Po in Francia e alla Business School dell’Università di San Diego in California:

Guerrieri sottolinea che l’andamento dei mercati risente dell’euforia per lo scongiurato rischio di una Brexit senza accordo con l’Ue e aggiunge che in ogni caso può avere un andamento volatile. L’economista spiega che non è questo il punto: dell’analisi offerta da Indipendent Strategy Guerrieri mette in luce soprattutto la parte che riguarda i conti per i contraccolpi sull’economia reale. Certamente, l’accordo ha evitato il peggio in termini di rialzi di dazi e quote in cui il Regno Unito sarebbe caduto senza un accordo fuori dall’Ue. Ma non evita il costo di perdere l’accesso senza alcun attrito a un mercato di 447 milioni di persone che rappresenta oltre il 40 per cento delle sue esportazioni. Ci saranno ovviamente molte  pratiche e burocrazia per il commercio del Regno Unito con l’Ue e viceversa. E questo non sarà privo di costi per entrambi le parti, con la differenza – spiega Guerrieri – che l’Ue avrà la forza di un’entità che si pone con dimensioni diverse di mercato e di negoziabilità.

Per la City pesa l’esclusione dall’accordo dei servizi finanziari

Innanzitutto, Guerrieri conferma che sono tanti gli studi autorevoli che denunciano i limiti per la Gran Bretagna dell’accordo raggiunto con l’Ue, a partire dalla constatazione della mancanza di un riferimento certo per il settore dei servizi finanziari che sono invece un punto forte dell’economia britannica. Fino all’ultimo – sottolinea Guerrieri – si è parlato molto di pesca, mentre le questioni che stanno più a cuore alla City sono altre. E poi aggiunge: nell’accordo si decide a proposito di industrie, ma il Regno Unito non ha una vocazione manifatturiera. Ha appena perso l’accesso al mercato unico dei servizi dell’Ue. L’analista sottolinea che la City è stata semplicemente lasciata fuori da questo accordo e che l’Ue, dunque, non concederà l’accesso al mercato unico alla finanza del Regno Unito perché ha tutto l’interesse ad occupare lo stesso spazio finanziario. Il professore tra l’altro sottolinea che, per quanto riguarda la pesca, Londra non ha raggiunto il risultato soddisfacente di cui il premier Johnson ha parlato, dal momento che è stata l’Ue ad ottenere per cinque anni l’accesso di suoi pescatori nelle acque territoriali del Regno Unito.

L’onere di decine e decine di intese da rinegoziare

Lo studioso Guerrieri ricorda che il Regno Unito perde anche gli accordi di libero scambio dell’Ue con i Paesi terzi cui ha partecipato come membro dell’Ue, sottolineando che l’Ue ha accordi di libero scambio con 80 Paesi, che hanno richiesto anni di negoziati e che quello annunciato con Ankara è solo il primo di una serie da rimettere in piedi. Peraltro, Guerrieri chiama a riflettere sul fatto che, come per Ankara, si replicano le condizioni “strappate” dall’Ue, difficilmente Londra avrà più potere negoziale, visto che si ritrova più isolata di prima in un mondo globalizzato. A questo proposito, l’analista ricorda come il governo britannico abbia cercato da subito di provocare spaccature sul fronte Ue, cercando di avanzare negoziati con alcuni Paesi e cercando dunque di frantumare la compattezza dei 27, ma sottolinea come, in questo caso, l’Unione sia stata davvero unita nel respingere questi tentativi e rimandando all’accordo globale.  Il Regno Unito sarà in grado di duplicarne molti di accordi con Paesi terzi, sottolinea Guerrieri, ma anche questo processo richiederà molto tempo.

Le false illusioni della retorica pro Brexit

Guerrieri fa riferimento al discorso della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al momento della conferenza stampa di annuncio dell’accordo raggiunto con il premier Johnson, ad una espressione precisa: la presidente ha affermato che “la sovranità dovrebbe essere definita come una merce internazionale, non nazionale”. Guerrieri sottolinea che in una fase storica in cui la Cina si afferma come grande potenza economica mondiale, anche prima degli Stati  Uniti, e stringe un accordo che mette insieme Paesi dal Giappone alla Nuova Zelanda, passando per il sud est asiatico – come è accaduto a novembre –   diventerà progressivamente chiaro il costo  di non far parte dell’Ue. Secondo Guerrieri, la narrativa dei sostenitori della Brexit si è incentrata su una sostanziale bugia: quella di una presunta ritrovata libertà del Regno Unito che scatenerebbe  un’ondata di investimenti produttivi, afflussi di capitale straniero e rinnovata imprenditorialità. È un’illusione  pensare che accada ed è semplicemente falso – sottolinea  Guerrieri – che sia stata l’Ue in questi anni ad impedire che accadessero dinamiche del genere.

In tema di governance

L’Ue ha fatto concessioni in termini di governance sul commercio, mentre il Regno Unito ha ceduto sull’adesione ai principi della parità di condizioni. In realtà, resta all’Ue la capacità di reagire non appena il Regno Unito iniziasse a divergere dalle norme e dai regolamenti dell’Ue. Allora l’arma delle restrizioni commerciali e dei dazi verrà innescata rapidamente e applicata in diversi settori, non solo in quello in cui il Regno Unito è considerato non conforme. Il fatto che l’Ue abbia ceduto in termini di priorità della Corte di giustizia europea come arbitro finale, non rende meno probabile che lo diventi nei fatti. L’Ue a questo punto diffida del governo britannico che, dopo tutto, ha cercato di rinnegare i suoi impegni giuridici internazionali solo pochi mesi fa.

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Incognite e punti fermi del post Brexit

Londra sta negoziando con l’Unione europea un’intesa in extremis sui rapporti commerciali futuri. Ormai, l’Ue e gli Stati membri del blocco ripetono di volere l’accordo, ma non “ad ogni costo”. La Scozia chiede di prorogare la transizione, mentre non ci sono certezze né sulle dogane né sui cittadini, perché il governo di Johnson non riconoscerà i capitoli sui quali è stata raggiunta l’intesa se non passerà l’accordo su tutti i punti, come spiega l’esperto di scienze politiche Sergio Fabbrini

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si profila una Brexit no deal, vista la scadenza imminente del 31 dicembre e le difficoltà che risultano ancora incolmabili. Secondo il caponegoziatore Ue Michel Barnier, Unione europea e Regno Unito “continuano a lavorare duramente per un accordo equo, reciproco e bilanciato”. Ma da Londra, il ministro della Salute, Hancock, ha accusato Bruxelles di avanzare “richieste irragionevoli” e il premier Boris Johnson, tramite il suo ufficio, accusa Bruxelles di “continuare a fare richieste incompatibili con l’indipendenza di Londra”. Non possiamo accettare un’intesa che non ci lasci il controllo delle nostre leggi o acque”.

Le preoccupazioni del parlamento britannico

Il premier Boris Johnson continua a parlare di riconquistare la sovranità, tornare Stato indipendente e libero dal “giogo degli euro-crati non eletti di Bruxelles”, ridiventare grande potenza commerciale globale come ai tempi del glorioso Impero britannico. Intanto, un rapporto del Parlamento britannico avverte: il Regno Unito non è abbastanza preparato per l’uscita dal mercato unico europeo e dall’Unione doganale il prossimo 31 dicembre. La preoccupazione riguarda i problemi nei porti e le ripercussioni sulla sicurezza del Paese per la mancanza di accesso ai dati dei Paesi Ue. “Quando mancano solo sette giorni di lavoro alla fine del periodo di transizione, ci sono significative preoccupazioni”, ha spiegato la presidente della Commissione che ha stilato il rapporto,  Hilary Benn. “Il Governo non è ancora in grado di dire con certezza a imprese, commercianti e cittadini che cosa succederà ai settori coinvolti. Le imprese che esportano verso l’Ue avranno a che fare con più carte da compilare e con costi supplementari, a prescindere da quello che sarà negoziato in questi giorni”. Secondo il rapporto, il governo deve preparare misure solide per affrontare l’emergenza entro il primo gennaio. Altrimenti, si rischia “il peggior inizio di anno possibile” in un periodo reso già difficile dalla pandemia.

L’ipotesi no deal nei rapporti tra l’Unione Europea e il Regno Unito sembra essere sempre più vicino e, a meno di un accordo politico dell’ultima ora, si confermerà la Brexit senza un accordo commerciale con tutte le incognite che questo comporta, come spiega Sergio Fabbrini, direttore del Dipartimento di Scienze politiche della Luiss:

Il distacco dall’Ue è già avvenuto il primo gennaio 2020 – ricorda Fabbrini – e le regole sono state fissate con l’accordo di recesso del 2019, che prevedeva tra l’altro un periodo transitorio che, non essendo stato prorogato, terminerà il 31 dicembre 2020. D’altro canto, è chiaro che lo status extracomunitario di Londra, anche a prescindere dalla conclusione dell’accordo commerciale, produce immediatamente una serie di adempimenti che per le imprese costituiranno il primo banco di prova dal primo gennaio 2021. Con l’accordo di recesso sono stati disciplinati gli adempimenti con cui imprese e professionisti devono confrontarsi e sulla base delle quali è possibile definire le strategie da attuare in questi ultimi giorni di dicembre e a partire dal primo gennaio. In particolare, l’accordo e le relative disposizioni di attuazione consentono di comprendere cosa possono fare le imprese in materia doganale, di Iva, di accise e di regole extratributarie e per i cittadini l’accordo stabilisce alcune regole per risiedere, lavorare, studiare e visitare il Regno Unito.

Possibile riferimento al Wto

In questo contesto – sottolinea l’accademico – l’assenza dell’accordo di natura commerciale significa che il Regno Unito diventerà a tutti gli effetti un Paese terzo, con effetti soprattutto per le imprese e per gli scambi di beni e servizi tra le due parti. Il professor Fabbrini spiega che probabilmente il punto di riferimento di scambi commerciali verrà ad essere l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) come, appunto, per i Paesi che non hanno intese commerciali specifiche. In particolare, l’effetto più eclatante è sicuramente costituito dall’applicazione reciproca dei dazi sulle merci che saranno importate in Uk dall’Ue e viceversa.  Peraltro Fabbrini ricorda che il 50 per cento delle esportazioni dal Regno Unito al momento sono verso Paesi europei. Tutto potrebbe subire delle modifiche importanti in caso di accordo commerciale – sottolinea Fabbrini – ma soprattutto tutto andrà poi visto alla prova dei fatti, messo in atto nel concreto per capirne davvero le conseguenze.

Nessuna certezza neanche per i capitoli “chiusi”

Per riguarda i cittadini Ue che risiedono nel Regno Unito e per i britannici nei Paesi dell’Unione – afferma Fabbrini – al di là delle promesse al tempo della premier May e delle indicazioni di massima dell’accordo di recesso, poi i negoziati si sono concentrati su altro e al momento non ci sono davvero certezze.  Il punto è che – sottolinea Fabbrini – al momento il premier britannico Johnson continua a ripetere che accetterà solo un accordo su tutto o su niente. In pratica i capitoli sui quali l’intesa è stata raggiunta, se non si bloccheranno la questione della pesca e quella della governance –  che dopo il confine nordirlandese sono rimasti i nodi irrisolti – si riapriranno inesorabilmente. Fabbrini però apre anche altri scenari possibili sul piano politico, ricordando che in Scozia ad esempio c’è un grosso dibattito sulla possibilità di un referendum per restare nell’Ue.

Nessun dubbio sulla collaborazione in ambito Nato

Fabbrini ricorda che ovviamente restano dei legami profondi  tra i 27 e Londra che non sono messi in dubbio, come quello di appartenere alla sfera dell’Alleanza Atlantica e di condividere dunque un piano di collaborazione in questo ambito. Fabbrini poi fa l’esempio della cooperazione in tema di antiterrorismo, un piano sul quale Londra, in questa fase storica, ha perfino più bisogno dell’Ue che degli Stati Uniti.

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Pubblicato il secondo volume della Bibbia dell’Amicizia

L’amore per la Parola di Dio e la relazione profonda tra ebrei e cristiani sono all’origine della pubblicazione della San Paolo Edizioni intitolata “La Bibbia dell’Amicizia”, di cui è stato appena pubblicato il secondo volume. La ricchezza e l’importanza di un lavoro frutto di un cammino fatto insieme, emergono nelle interviste con i curatori, Marco Cassuto Morselli e Giulio Michelini

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“La Bibbia dell’Amicizia” offre un commento a più mani di ebrei e di cristiani. Non si tratta di due letture di uno stesso brano, ma si è scelto di presentare in alcuni casi la lettura degli uni e in altri casi quella degli altri. Non è un’operazione di sincretismo, ma di profondo ascolto della tradizione dell’altro. Iniziare a leggere la Bibbia insieme è frutto di un processo di dialogo particolare cominciato da alcuni anni.

Il primo volume

Circa due anni fa è uscito il primo volume dedicato alla Torah o Pentateuco. Ha la prefazione di Papa Francesco e del rabbino, scrittore e biofisico argentino Abraham Skorka, rettore del Seminario Rabinico Latinoamericano a Buenos Aires. Offre le riflessioni di quaranta studiosi, attraverso una lettura basata sulle proprie tradizioni, attraverso nuove originali introduzioni a ogni libro e commenti.

Il secondo volume

E’ stato appena pubblicato il secondo volume dedicato ai Neviim o Profeti. Anche per questi altri testi della Bibbia, si offrono le riflessioni di  studiosi con una lettura basata sulle proprie tradizioni. Cinquantadue studiosi si soffermano sui  libri storici e profetici, commentando passi scelti tra i più significativi. Lo scopo anche in questo secondo volume non è quello di arrivare a una lettura unificata della Bibbia, nella quale le diversità si stemperino fino ad annullarsi, ma quello di conoscersi meglio, di conoscere meglio le rispettive letture e interpretazioni, accettando che esse possano essere diverse.

Già si sta lavorando al terzo volume, come confermano i due curatori Morselli e Michelini, che abbiamo intervistato. Marco Cassuto Morselli è presidente della Federazione delle Amicizie ebraico-cristiane in Italia, docente di Filosofia ebraica e Storia dell’ebraismo:

Morselli racconta che all’inizio si era ipotizzato di accostare per lo stesso brano le due letture ma che poi, per evitare ripetizioni e per ampliare la scelta dei brani proposti, si è scelto di alternare. Morselli spiega che si tratta di un’operazione editoriale che risponde ad un cammino nei rapporti tra ebrei e cristiani. Ricorda che il primo vero passo è stato nel 1965 la dichiarazione del Concilio vaticano II “Nostra aetate”. Morselli ricorda che la prima Amicizia in Italia è nata nel dopoguerra a Firenze e che oggi in Italia se ne contano una decina. E poi racconta che questo lavoro è nato non a caso nell’ambito dei Colloqui che ogni anno si tengono, nei giorni dell’Immacolata, a Camaldoli in provincia di Arezzo. Lì, racconta, è nata la proposta da parte di Michelini. Morselli sottolinea come la Bibbia dell’Amicizia sia il frutto di amicizie, anche perché le prefazioni del primo volume sono state scritte da Papa Francesco e dal rabbino Skorka che in Argentina si frequentavano amichevolmente quando Bergloglio era arcivescovo di Buenos Aires e che sono rimasti amici. Morselli sottolinea, inoltre, che non ci sono solo commenti di biblisti ma anche di storici, filosofi, psiconalisti e questo assicura vivacità in più. In ogni caso non si tratta di un’opera per specialisti. Assicura che non ci sono state particolari difficoltà, perché appunto non si doveva armonizzare qualcosa e poi ognuno è stato libero di scegliere il proprio metodo. Morselli ricorda che in Italia c’è diffuso analfabetismo religioso e afferma che alcune pagine della Bibbia possono essere difficili da leggere senza una guida, senza una contestualizzazione. Morselli afferma poi che sono diversi i commenti che lo hanno fatto riflettere ma che soprattutto è rimasto colpito dalla prefazione al primo volume di Papa Francesco.

Padre Giulio Michelini dell’Ordine dei Frati Minori è ordinario di esegesi neotestamentaria e preside dell’Istituto teologico di Assisi:

Padre Michelini ricorda che mai come nel tempo di Natale si capisce che la Parola di Dio è Parola che viene da Dio e che si è incarnata. Questo è il cuore del messaggio cristiano e da qui viene la novità del cristianesimo, che deve alla tradizione ebraica se sono stati tramandati i testi delle Sacre Scritture. Il teologo sottolinea un altro aspetto che richiama al concetto di amicizia: tutti i partecipanti, i collaboratori del volume scrivono a titolo gratuito. Anche qui, dice, sta l’amicizia. Padre Michelini ribadisce che si tratta di un’operazione che assicura a tutti arricchimento. Si tratta di ascoltare, spiega, per accogliere e non annullare l’interpretazione dell’altro, che rappresenta quello che l’altro è. Certo non c’è niente di più diverso tra chi crede in cose differenti, ricorda padre Michelini, a partire dal riconoscimento in Cristo del Messia dei cristiani che gli ebrei non riconoscono come tale. E spiega: nelle ragioni dell’altro c’è qualcosa da ascoltare e qualcosa da imparare perché si parte dalla stessa Parola di Dio. Padre Michelini cita un detto della tradizione ebraica secondo il quale la Parola di Dio non è spiegata se non ne vengono dati almeno 70 significati diversi. E questo, afferma, significa che viene riconosciuta l’irriducibilità della Parola di Dio, che significa che quando Dio parla, la sua Parola per noi è indicibilmente ricca. Padre Michelini dice ancora che il numero 70 richiama le 70 scintille che scattano quando si batte su un’incudine il ferro. Poi sottolinea, tra l’altro, che leggere la Bibbia non è facile ma, nonostante la scarsa conoscenza delle Sacre Scritture, il primo volume della Bibbia dell’Amicizia è stato un successo editoriale. E forse, sottolinea, ad incuriosire è stato proprio il ventaglio di riflessioni offerte. Il teologo ricorda che la vendita dei libri in questo periodo difficile della pandemia non è calata e questo è significativo di come questo tempo difficilissimo possa essere, per alcuni, anche un’occasione per fermarsi e scoprire il libro della Bibbia che, conclude, parla di noi, aiuta a riflettere sulla nostra vita e su noi stessi.

 

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Il gesto estremo dell’ambulante in Tunisia e le “primavere” arabe

Il 17 dicembre 2010 resta data simbolo dell’avvio dei movimenti di rivolta nel mondo arabo. La drammatica protesta dell’ambulante tunisino che si diede fuoco innescò manifestazioni a catena in diversi Paesi. Se il bilancio è positivo in Tunisia, non si può dire lo stesso per le conflittuali evoluzioni in Siria e in Libia o per l’irrigidimento socio-politico in altri Paesi, come spiega la studiosa dell’area Francesca Maria Corrao

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il giovane ambulante Mohamed Bouazizi, di fronte all’ennesimo sopruso ricevuto da agenti delle forze dell’ordine e di fronte all’ennesima porta chiusa trovata alla Procura competente, la mattina del 17 dicembre 2010 compie il gesto estremo di darsi fuoco, che gli costerà la vita 18 giorni dopo e che verrà ripetuto da altri. Lo fa nella sua Sidi Bouzid, località alla periferia dei centri vitali del Paese. Eppure da lì accende la cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini: in poco meno di un mese, il 14 gennaio 2011 cade il regime del presidente Ben Ali. Dieci anni dopo la Tunisia è un Paese trasformato. Nei primi mesi del 2011 è fermento in tanti Paesi del mondo arabo. A partire dalla definizione di “primavere arabe”, è chiaro il bagaglio di aspettative che le proteste, che si dispiegarono tra Nord Africa e Medio Oriente nel 2010-2011, portavano con sé. Le narrazioni sui social dei Paesi interessati di quei giorni e le cronache dei media occidentali erano piene di speranze.

Il bilancio dieci anni dopo

A dieci anni di distanza, gli analisti concordano nel ritenere che solo in Tunisia si possa parlare di successo per l’avvenuta transizione e il consolidamento della democrazia, con un  modello consociativo che  ha permesso una gestione efficace delle tante, spesso strutturali, fratture interne che, ai tempi dell’assemblea costituente e le elezioni del 2014, rischiarono di far deragliare la transizione. La transizione democratica è stata appesantita da una crisi economica strutturale e messa a dura prova dal terrorismo: il 18 marzo 2015 l’attentato al Museo del Bardo nella capitale è costato la vita a 24 persone, tra cui 21 turisti, un agente delle forze dell’ordine e due terroristi.  Si tratta dell’attentato terroristico con il maggior numero di vittime avvenuto a Tunisi. Ha bloccato per diverso tempo il turismo che proprio mentre riprendeva è stato sospeso dalla pandemia. Purtroppo al di là della Tunisia la storia è diversa. Si ritrovano conflitti, macerie o situazioni di turbolenza sociale preoccupanti, mentre  l’emergenza della pandemia ha steso dappertutto un velo di urgenza per gli esasperati bisogni umanitari.

Degli sviluppi in questi anni abbiamo parlato con Francesca Maria Corrao, docente di lingua e cultura araba all’Università Luiss:

La professoressa Corrao spiega che non si può più parlare di “primavere” sottolineando la sua scelta di intitolare il suo lavoro edito da Mondadori Università già nel 2011, con un titolo che richiama altre espressioni, precisamente:  “Le rivoluzioni arabe. La transizione mediterranea”. Di questo si tratta.   Corrao  ricorda il contesto culturale a ridosso di quel dicembre 2010, in particolare la visita dell’allora presidente statunitense Obama a Il Cairo l’anno precedente e anche le massicce proteste che avevano portato alla morte di una ragazza in Iran. In quel contesto – spiega – nascono i movimenti di ribellione che grazie ai social compattano la protesta. Ma poi gli sviluppi – sottolinea la studiosa – sono ben distinti nei diversi Paesi.

L’eccezionalità tunisina

Sulla situazione in Tunisia Corrao ricorda che già al momento della rivoluzione post-coloniale la Tunisia si era distinta perché non erano andati militari al Paese come in altri territori. Questo ha segnato lo sviluppo sociale. Altra considerazione di fondo: ogni rivoluzione, che rappresenta uno slancio in avanti, poi è seguita da rimbalzi di conservatorismo, che – spiega – bisogna vedere fino a che punto segnano il ripiegamento. In Tunisia al momento dell’affacciarsi dopo il voto dell’onda conservatorista nel partito di Ennhada, la società civile ha reagito, e – cita la professoressa – soprattutto le associazioni di donne e quelle dei sindacati hanno difeso i basilari diritti che si stavano acquisendo. E questo – sottolinea – anche proprio perché in Tunisia già dai tempi del postcolonialismo le donne godevano di diritti in modo molto più ampio rispetto ad altri Paesi. La professoressa ricorda che non a caso nel 2015 il premio Nobel per la pace è andato a quattro protagonisti di questo mondo dell’associazionismo per la loro importante pacifica battaglia civile. Da lì il percorso di una nuova Costituzione e il coinvolgimento appunto della società civile. Fino alla prova di maturità democratica e organizzativa rappresentata dalle elezioni presidenziali e parlamentari del 2019.

Le difficoltà economiche

In questo contesto, l’economia è certamente una nota estremamente dolente: alla debolezza dei governi che si sono succeduti in questi anni, e alle difficoltà nell’implementare riforme capaci di dare una spinta sistemica alla crescita economica, si è poi aggiunto il peso dell’instabilità regionale e del terrorismo, che ha messo in ginocchio l’industria del turismo dopo gli attacchi terroristici del 2015. Quando la situazione sembrava pronta a migliorare, con i numeri del turismo nel 2019 estremamente positivi, la crisi globale del Covid-19 ha distrutto le speranze che si erano accumulate.

L’ombra del terrorismo

Inoltre – mette in luce Corrao – , questo percorso politico è avvenuto in una regione destabilizzata, e le cui onde di instabilità hanno colpito la Tunisia al cuore: il Paese è riuscito a salvare la propria transizione nonostante il peso del terrorismo, che lo ha colpito al cuore nel 2015 e si è poi palesato in forme meno sofisticate ma non per questo meno pesanti, come dimostrato dalla tensione emotiva del 27 giugno 2019, quando una serie di attentati colpirono Tunisi mentre voci incontrollate davano il Presidente Beji Caid Essebsi morto. Queste notizie erano false, e molti tunisini, nei giorni successivi, si chiesero chi avesse avuto interesse ad annunciare un qualcosa del genere in un giorno come quello. Che il presidente non stesse bene, però, data anche la sua veneranda età di 92 anni, non era un mistero. E morirà un mese dopo.

L’onda della controrivoluzione che ha prevalso altrove

In altri Paesi– sottolinea Corrao – non è stato uguale. Quell’onda di ritorno che caratterizza le rivoluzioni per esempio in Egitto ha fatto sì che, attraverso diverse vicissitudini, prevalesse l’anima conservatrice. Se poi si guarda ad altri Paesi – riconosce Corrao – si vedono macerie: in Siria siamo al decimo anno di guerra e anche se le armi da un po’ tacciono non c’è ancora pace e ricostruzione sociale e in Libia è tutto come in bilico mentre sono prevalse finora le forze più conflittuali.

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Nuove norme Ue sull’acqua potabile su iniziativa dei cittadini

Via libera definitivo dall’Europarlamento alla nuova Direttiva Ue sulle acque potabili. Si prevedono tutele al principio di bene pubblico, proprio mentre le risorse idriche si quotano a Wall Street, e si impone una stretta a contaminanti vecchi e nuovi, come spiegano le eurodeputate intervenute al dibattito

Fausta Speranza – Città del Vaticano
L’Europarlamento ha approvato in via definitiva la nuova direttiva sulle acque potabili, la prima legislazione europea adottata in seguito a una mobilitazione dei cittadini, la campagna Right2Water del 2013. Il provvedimento arriva dopo 20 anni dalla precedente normativa e impone una stretta a contaminanti vecchi (piombo) e nuovi (Pfas, microplastiche).  Entro l’inizio del 2022, la Commissione redigerà e monitorerà un elenco di sostanze o composti autorizzati a entrare in contatto con l’acqua potabile. Tra le sostanze bandite ci saranno i prodotti farmaceutici, i composti che alterano il sistema endocrino, le microplastiche. La Direttiva incoraggia inoltre il consumo di acqua del rubinetto, anche attraverso disposizioni sulla trasparenza delle bollette.

Su proposta della società civile

E’ la prima legislazione europea adottata in seguito ad una mobilitazione dei cittadini: la campagna Right2Water che, partita nel 2013, ha raccolto il consenso di 1.800.000 europei, arrivando così a fare pressione sulla Commissione che ha elaborato il testo, approvato poi mesi fa dal Consiglio europeo e oggi dal Parlamento europeo. La Direttiva fissa alcuni parametri importanti, che saranno vincolanti entro due anni per ogni Stato membro.

Intanto a Wall Street l’acqua si quota in Borsa

Dopo un iter di mesi e mesi, la direttiva arriva a distanza di cinque giorni dall’annuncio che ha colpito gli Stati Uniti e non solo: l’acqua è arrivata in Borsa. La preziosa risorsa idrica si è aggiunta all’oro, al petrolio e ad altre materie prime scambiate a Wall Street, sulla scia delle crescenti preoccupazioni sulla scarsità nel mondo di questo bene essenziale per la vita. Cme Group, collaborando con Nasdaq, ha lanciato il primo future al mondo sulla risorsa idrica. Un annuncio che preoccupa tutti i membri dell’Assemblea parlamentare Ue perché fa pensare a possibili mercificazioni più di quanto sia già possibile nelle filiere di distribuzione nel mondo. Dell’importanza della nuova Direttiva Ue abbiamo parlato con l’eurodeputata  del gruppo Alleanza progressista di Socialisti e Democratici Simona Bonafè:

Bonafè sottolinea l’importanza in assoluto di una presa di posizione così netta da parte dell’Ue a difesa dell’acqua in quanto bene pubblico proprio in un momento in cui si parla di acqua sui mercati azionari. Poi ricorda che la normativa difende anche la qualità di quello che beviamo e viene incontro anche all’esigenza sempre crescente di farne buon uso limitando gli sprechi di fronte alla continua riduzione dei bacini idrici. Mette in luce anche le maggiori garanzie previste per i consumatori circa il diritto ad essere informati sul trattamento, il prezzo e la qualità dell’acqua. Bonafé spiega anche che offrendo maggiori garanzia sulla qualità dell’acqua si disincentiva anche il consumo di acqua in bottiglia, sottolineando che potrebbe far risparmiare alle famiglie in Europa oltre 600 milioni di euro l’anno, senza dimenticare che si eviterebbe tanti rifiuti di plastica che finiscono nei mari.

“Terrificante l’ipotesi di qualsiasi mercificazione del bene più essenziale di tutti”, dice l’eurodeputata del gruppo Verdi/Alleanza Libera Europea, Eleonora Evi, che sottoscrive la positività della Direttiva, affermando che bisognerebbe fare perfino di più:

L’eurodeputata Evi spiega che sono innegabili i passi in avanti della nuova direttiva sulle acque potabili, sottolineando l’importanza di imporre, come viene fatto, il monitoraggio su sostanze inquinanti già riconosciute ma anche su altre di cui, a vent’anni dall’ultima direttiva, abbiamo capito le conseguenze. E, a questo proposito, Evi cita le micropastiche, ricordando che sono state rinvenute nell’acqua che beviamo, e poi cita  sostanze, come i cosiddetti Pfas ma non solo,  spiegando che è importante che la Direttiva ne parli sottolineando che sono stati riconosciuti come “inquinanti endocrini”, cioè in grado di interferire con lo sviluppo umano. Si tratta di interferenze molto gravi per esempio nel caso del feto e dei bambini anche per lo sviluppo cognitivo. Evi sottolinea che la Direttiva è un grosso passo avanti, spiegando però che ci sarebbe stato ancora di più da fare. Ad esempio, a proposito del principio dell’acqua come bene pubblico Evi afferma che è terrificante la notizia della quotazione in Borsa e ribadisce l’importanza della normativa Ue che blinda il concetto di bene pubblico. Ma spiega anche che la normativa Ue invita gli Stati membri a rispettare il principio ma non entra nella scelta tra municipalizzazione e privatizzazione, che resta ai singoli Stati membri.

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