Pace e disarmo possibili: nuovo appello del Papa per l’Ucraina

Dopo la preghiera mariana nel giorno dell’Immacolata, Francesco è tornato a rivolgere il suo pensiero alla “martoriata Ucraina” ribadendo che la pace e il disarmo sono possibili. Con il pensiero alle parole dell’Angelo a Maria, ha ricordato che tutto è possibile a Dio ma che serve la buona volontà degli uomini

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Ci aiuti la Madonna a convertirci ai disegni di Dio”: così il Papa, dopo la recita dell’Angelus nella solennità dell’Immacolata Concezione, ha parlato del “desiderio universale di pace”, annunciando il tradizionale atto devozionale nel pomeriggio a Santa Maria Maggiore e a Piazza di Spagna:

Oggi pomeriggio mi recherò a Santa Maria Maggiore, a pregare la Salus Populi Romani, e subito a Piazza di Spagna per compiere il tradizionale atto di omaggio e di preghiera ai piedi del monumento all’Immacolata. Vi chiedo di unirvi spiritualmente a me in questo gesto, che esprime la devozione filiale alla nostra Madre, alla cui intercessione affidiamo il desiderio universale di pace, in particolare per la martoriata Ucraina, che soffre tanto.

Il Papa ha fatto riferimento alle parole dell’Angelo alla Vergine:  Nulla è impossibile a Dio (Lc 1,37). E ha sottolineato:

Con l’aiuto di Dio la pace è possibile; il disarmo è possibile. Ma Dio vuole la nostra buona volontà. Ci aiuti la Madonna a convertirci ai disegni di Dio. 

Nella cronaca delle ultime ore

Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) ha annunciato oggi di aver recentemente ottenuto l’accesso ai prigionieri di guerra ucraini e russi, visite che in precedenza erano state estremamente limitate e sporadiche. “La scorsa settimana il Cicr ha effettuato una visita di due giorni ai prigionieri di guerra ucraini. Questa settimana si svolgerà un’altra visita. Nello stesso periodo sono state effettuate visite anche ai prigionieri di guerra russi. Altre sono previste entro la fine del mese”, si legge in una nota del Cicr.

Nella cronaca delle ultime ore si legge dell’attacco missilistico russo che ha colpito la stazione di trasporto della città meridionale di Mykolaiv: sembra non ci siano state vittime.  Inoltre, bombardamenti russi nella regione di Dnepropetrovsk sono proseguiti per tutta la notte, in particolare su Nikopol, secondo quanto riferisce su Telegram Nikolay Lukashuk, presidente del consiglio regionale di Dnepropetrovsk. Secondo il Centro nazionale di resistenza dell’esercito ucraino,  riportato dal Kyiv Independent, le autorità di occupazione russe stanno dimettendo con la forza i pazienti civili dagli ospedali nella parte occupata della regione di Lugansk, anche se non hanno ancora terminato le cure. Il Centro sostiene che i civili vengono cacciati per far posto ai militari russi feriti.  Intanto, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dichiarato che l’operazione militare speciale in Ucraina “potrebbe concludersi domani”, se il presidente ucraino lo volesse. Intanto, il viceministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov, in un’intervista rilasciata al quotidiano Izvestia, secondo quanto riporta l’agenzia Tass, ha parlato del dialogo con Washington sulla “stabilità strategica” affermando che la Russia non sta valutando possibili concessioni unilaterali nel dialogo sulla stabilità strategica con gli Stati Uniti, ma è pronta a riprendere questo dialogo su una base paritaria ed equilibrata. I colloqui russo-statunitensi sulla stabilità strategica, New START, sono stati sospesi ma non interrotti, ha affermato il viceministro: “È stata una decisione difficile, ha detto Ryabkov, è stata una decisione politica. È stato detto più di una volta che la situazione, con il coinvolgimento più profondo e pericoloso degli Stati Uniti negli sviluppi in Ucraina e nei dintorni, ha influenzato direttamente la nostra decisione.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-12/ucraina-guerra-pace-disarmo-papa-francesco-immacolata.html

Nuovi strumenti Ue per la lotta alla deforestazione

Gli europarlamentari e gli Stati membri dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo per vietare l’importazione nell’Ue di diversi prodotti – come cacao, caffè, soia e altri – quando questi contribuiscano in qualche modo alla deforestazione. L’accordo, che attende l’approvazione finale, rappresenta un passo in avanti importante, ma bisogna coinvolgere anche i Paesi produttori, come raccomanda l’avvocato di questioni ambientali Luca Saltalamacchia

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Olio di palma, soia, caffè, cacao, capi di bestiame, legname e gomma, ma anche derivati come carne bovina, mobili, cioccolato e carta: molti prodotti che contribuiscono alla deforestazione non devono essere più importabili e commercializzabili nell’Unione europea. E’ quanto prevede l’accordo raggiunto dai rappresentanti degli organi legislatori dell’Unione, del Consiglio, dell’Europarlamento.

Un impegno promettente

“La protezione dell’ambiente in tutto il mondo, comprese le foreste e quelle pluviali, è un obiettivo comune per tutti i Paesi e l’Unione Europea è pronta a assumersi le proprie responsabilità”, ha dichiarato in una nota Marian Jurečka, ministro ceco dell’Ambiente che ha guidato i negoziati per il Consiglio. Può rappresentare un passo avanti significativo, commenta l’avvocato esperto di questioni ambientali, Luca Saltalamacchia:

Saltalamacchia chiarisce che, in base alle indicazioni previste, le aziende che commerciano una lunga lista di materie prime dovranno dimostrare tramite un’appropriata due diligence la regolarità della propria filiera. I prodotti immessi nel mercato dell’Unione non devono aver contribuito alla deforestazione e al degrado delle foreste in nessuna parte del mondo dopo il 31 dicembre 2020.

Oltre l’indicazione della Commissione

I prodotti coperti inizialmente dalla bozza di legislazione proposta dalla Commissione Ue erano bovini, cacao, caffè, olio di palma, soia e legno, ma il testo specifica che sono compresi i prodotti che contengono o stati realizzati utilizzando questi prodotti (come pelle, cioccolato e mobili) incluso il mangime usato per nutrire i capi di bestiame. Grazie alle pressioni dell’Eurocamera al testo sono stati aggiunti anche gomma, carbone, prodotti di carta stampata e una serie di derivati dell’olio di palma. La Commissione sta valutando inoltre anche la necessità di obbligare gli istituti finanziari dell’Ue a fornire servizi finanziari ai propri clienti solo se ritengono che non ci siano rischi considerevoli che tali servizi siano implicati con operazioni di deforestazione.

Attesa per la formalizzazione

L’accordo – sottolinea Saltalamacchia – dovrà essere formalizzato con un voto in entrambe le istituzioni prima di entrare ufficialmente nella legislazione europea. Sarà obbligatorio per le aziende verificare ed emettere una cosiddetta dichiarazione di “due diligence” sull’origine delle loro merci garantendo che non hanno portato alla deforestazione o al degrado forestale in qualsiasi parte del mondo dopo il 31 dicembre 2020. Le aziende dovranno anche verificare che i diritti umani, e in particolar modo i diritti delle popolazioni indigene interessate, siano stati rispettati.

Controlli e strumenti

Saltalamacchia spiega che stando all’accordo, le autorità competenti dell’Ue avranno accesso alle informazioni pertinenti fornite dalle società, come le coordinate di geolocalizzazione, e svolgeranno controlli. Potranno utilizzare strumenti di monitoraggio satellitare e analisi del Dna per verificare la provenienza dei prodotti. La Commissione classificherà i Paesi e le regioni a rischio. E la percentuale di controlli sugli operatori sarà effettuata in base al livello di rischio del Paese: nove per cento per il rischio alto, tre per cento per rischio standard e un per cento per rischio basso. In caso di inosservanza saranno previste sanzioni proporzionate e dissuasive e l’importo massimo dell’ammenda è fissato ad almeno il quattro per cento del fatturato totale annuo nell’Ue dell’operatore.

Il necessario coinvolgimento dei Paesi terzi

Il relatore del testo per il Parlamento, l’eurodeputato popolare lussemburghese Christophe Hansen, ha dichiarato che “non è stato facile, ma è stato raggiunto un risultato ambizioso, in vista della conferenza Cop15 sulla biodiversità a Montreal”, che si svolgerà dal 7 al 19 dicembre. Secondo Hansen, “il provvedimento assicura che i diritti delle popolazioni indigene, alleati nella lotta alla deforestazione, siano effettivamente protetti”.

Non si tratta solo di effetti positivi che possono essere registrati oltre i confini europei, ma – avverte Saltalamacchia – bisogna coinvolgere i Paesi produttori di carni, pellami etc. Peraltro – sottolinea – bisogna capire che si tratta di una vera e propria filiera di scambi in cui bisogna arrivare fino ai riferimenti ultimi, altrimenti si possono verificare interferenze al livello di intermediari. L’avvocato Saltalamacchia raccomanda infine un’azione di persuasione su alcuni leader politici, in particolare ad esempio di Paesi latinoamericani, che possono contribuire a cambiare i meccanismi di filiere che oramai risultano insostenibili per l’ecosistema.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-12/unione-europea-deforestazione-consiglio-produzione-cacao-carne.html

A Parigi il 13 dicembre conferenza dedicata a Ucraina

Biden e Macron si danno appuntamento nella capitale francese per discutere del conflitto in Ucraina, ribadendo il sostegno a Kyiv “per tutto il tempo necessario”. Il presidente statunitense “pronto a parlare con Putin se mostra segnali di voler cessare la guerra”. Dopo otto mesi di conflitto, è un’occasione di confronto, ma non si può parlare di conferenza di pace, sottolinea l’internazionalista Luciano Bozzo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Stati Uniti e Francia intendono “continuare a lavorare” con gli alleati e i partner “per coordinare gli sforzi per l’assistenza” all’Ucraina, compresa l’organizzazione di una “conferenza internazionale” che si terrà a Parigi il 13 dicembre, come già era stato ipotizzato. Ad annunciarlo, ieri, dopo l’incontro bilaterale alla Casa Bianca, sono stati il presidente statunitense Biden e il capo di Stato francese Macron. Biden si è detto pronto a parlare con Putin se arrivano segnali di voler cessare il conflitto. Oggi dal Cremlino è giunta la seguente precisazione: per la Russia è impossibile accettare la condizione posta dal presidente Usa Joe Biden per trattative sull’Ucraina, ossia che prima le truppe di Mosca lascino il territorio ucraino. Lo ha chiarito il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov citato dall’agenzia Ria Novosti.

Non è ancora una conferenza di pace

Della prospettiva dell’incontro internazionale annunciato a Parigi abbiamo parlato con Luciano Bozzo docente ordinario di Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università degli studi di Firenze:

Il professor Bozzo chiarisce che l’espressione usata dai media ‘conferenza di pace’, per definire la conferenza annunciata da Macron e da Biden a metà dicembre, non può essere corretta. Una conferenza di pace è tale – spiega – se le parti in conflitto si siedono a un tavolo. Per definizione si tratta di incontri in cui si discutono i termini, seppure in via preliminare, di una qualunque intesa. Si tratta sempre – sottolinea Bozzo – di cedere su qualcosa per il bene più grande della pace. E’ decisivo pertanto che in qualche modo siano rappresentate entrambe.

Occasioni da non perdere

Pur non trattandosi in alcun modo di un avvio di colloqui di pace, la conferenza di Parigi rappresenta comunque un’occasione per un serio confronto tra più Stati. Bozzo ricorda che a conclusione del bilaterale, Biden e Macron hanno ribadito che Washington e Parigi intendono continuare a fornire un “robusto sostegno diretto al bilancio dell’Ucraina” e chiedono alle istituzioni finanziarie internazionali di “aumentare” il loro aiuto. In particolare, secondo la dichiarazione congiunta rilasciata dopo l’incontro durato più di un’ora nello Studio Ovale della Casa Bianca, i due presidenti si sono impegnati a fornire all’Ucraina assistenza politica, di sicurezza, umanitaria ed economica anche rafforzando la difesa aerea del Paese. Tutto questo ci ricorda – afferma Bozzo – che il margine di influenza sulle scelte del presidente ucraino Zelensky da parte dei due leader, in particolare degli Stati Uniti, è ampio. A Parigi – ipotizza Bozzo – si potrebbe discutere della posizione di Kyiv per capire le prospettive possibili di negoziato.

La speranza di una pace sostenibile

Il presidente francese Macron ha affermato che si vuole “mantenere l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche arrivare ad una pace sostenibile”. Biden si è detto “pronto a parlare con Putin se mostra segnali di voler cessare la guerra”. Il professor Bozzo si sofferma su due termini di questi due pronunciamenti. Innanzitutto, sull’espressione pace sostenibile, sottolineando quanto sia importante avere come obiettivo un’intesa che possa portare a una pace duratura. E poi mette in luce come sia cruciale lavorare perché ci possano essere segnali di voler cessare la guerra e perché possano essere visti e capiti. L’impegno della diplomazia – spiega – è complesso, anche perché si deve lavorare bene da tutte le parti, per valutare bene gli eventuali segnali da dare o per non pretendere i segnali che si immaginano.

Rafforzata l’alleanza tra Washington e Parigi

L’incontro alla Casa Bianca tra Biden e Macron è stato accompagnato da un ricevimento che ha rappresentato il primo libero dai restringimenti anticovid per il presidente Biden eletto nella fase  critica della pandemia.  A proposito della rinnovata forza dell’alleanza tra Stati Uniti e Francia, Biden ha dichiarato: “Gli Stati Uniti non potrebbero chiedere un partner migliore della Francia con cui lavorare”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-12/ucraina-russia-pace-conferenza-macron-biden-guerra.html

L’Ucraina e il dramma delle mine

Si moltiplicano i rischi per i civili per gli ordigni esplosivi lasciati sul terreno. L’allarme riguarda anche zone di particolare criticità come l’area intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Si tratta di un dramma che non si ferma con la conclusione dei conflitti e a pagare il prezzo sono sempre i civili, come ricorda il direttore della onlus Campagna italiana contro le mine Giuseppe Schiavello

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Le autorità ucraine stimano che circa il 50 per cento del territorio del Paese (circa 300.000 chilometri quadrati) sia stato colpito da azioni militari che hanno messo ad alto rischio di esposizione a mine, esplosivi e munizioni inesplose i civili che tornano nelle aree non più occupate. Si intensifica l’impegno delle istituzioni ucraine e delle agenzie internazionali per assicurare operazioni di bonifica, ma gli scenari di combattimenti e ritirate sono in continua evoluzione e si moltiplicano i rischi. Gli intensi scontri continuano in prima linea nell’est del Paese, mentre le forze ucraine cercano di liberare la penisola di Kinburn, tra il fiume Dnepr e il Mar Nero. La punta della penisola ancora occupata dai russi consente l’accesso sia a Kherson che a Mykolaiv. Si tratta, dunque, di località assolutamente strategiche per entrambi gli eserciti. In ogni caso, la stima del tempo necessario per bonificare un territorio come quello ucraino, in assenza di combattimenti, sarebbe di 5-7 anni almeno.

Un impegno capillare

Progetti di rimozione delle mine e di educazione al rischio che comportano sono sempre più frequenti in Ucraina. Dall’inizio dell’invasione russa, nel Paese sono stati neutralizzati quasi 114.000 ordigni esplosivi, comprese quasi 2000 bombe aeree, su un’area di oltre 22.000 ettari. Su 300.000 metri quadrati di aree che necessitano di sminamento, 19.000 riguardano l’area idrica di bacini, fiumi e mari. Ma gli esplosivi possono essere trovati ovunque, non solo nei campi, nelle strade o nei cortili delle case private, ma anche nei mobili e persino nei giocattoli dei bambini. Il governo di Kyiv ha fatto sapere di aver istituito il Centro internazionale per lo sminamento umanitario con lo scopo, in particolare, di gestire l’assistenza internazionale: professionale, tecnica e finanziaria. Sembra che circa 20 organizzazioni straniere abbiano già risposto e stiano ottenendo la certificazione per lavorare in Ucraina.

Allarme mine già dal 2014

Non si può dimenticare che il problema delle mine era emerso già negli anni di conflitto nell’est dell’Ucraina a partire dal 2014, che hanno preceduto l’invasione russa a febbraio dell’anno scorso, come ricorda Giuseppe Schiavello, direttore della onlus Campagna italiana contro le mine:

Schiavello ricorda che negli otto anni di conflitto prima dell’invasione è stata pubblicata tanta documentazione relativa all’uso delle mine o delle bombe a grappolo, oltre a reportage giornalistici. Precisa però che l’evoluzione degli eventi non ha permesso di fare luce. Nella maggior parte dei casi si tratta di materiali attribuiti ai russi, ma c’è stato – ricorda Schiavello – un caso riportato dal New York Times di bombe a grappoli che potrebbero essere attribuite a forze ucraine.

Diversi ordigni diversi trattati

Bisogna distinguere tra mine e bombe a grappolo, avverte Schiavello. È importante farlo per capire l’adesione o meno alle diverse intese internazionali. Parla di passi in avanti ricordando che sono state firmate due intese che riguardano mine e ordigni inesplosi. Si tratta – ricorda – della Convenzione contro le mine antipersona firmata a Ottawa nel 1999 e sottoscritta ad oggi da 164 Stati, tra cui l’Ucraina ma non la Russia. E c’è poi la convenzione ONU sulle bombe a grappolo (cluster bomb), che proibisce – precisa Schiavello – l’uso di tali armi esplosive il cui effetto è la dispersione su una certa area di submunizioni (bomblets). Questa convenzione è entrata in vigore il 1º agosto 2010 ed è stata ratificata ad oggi da circa 100 Stati, ma tra questi non ci sono né l’Ucraina né la Russia.

Civili “cittadini del mondo”

Secondo il direttore della Campagna italiana contro le mine, se si considera il dramma di questo tipo di ordigni in particolare, bisognerebbe guardare ai civili senza definizioni di nazionalità. Schiavello suggerisce di parlare dei civili in tempo di guerra come di “cittadini del mondo”, di fronte alla priorità assoluta di salvare vite umane innocenti. A proposito di difesa del valore della vita umana e di contrasto a ogni logica di guerra e in particolare all’uso di ordigni che colpiscono innanzitutto i civili, Schiavello ricorda l’importanza degli appelli del Papa, che risvegliano le coscienze, e il ruolo che la Santa Sede ha svolto affinché a livello internazionale si arrivasse alle intese che ne prevedono la messa al bando.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-12/guerra-mine-cluster-bom-trattati-ucraina-russia.html

Amnistia in Myanmar, su migliaia solo pochi prigionieri politici

In occasione della festa nazionale – che ricorda il giorno in cui nel 1920 gli studenti avviarono la campagna contro i colonizzatori britannici – la giunta al potere in Myanmar ha scarcerato oltre 5.700 detenuti. Si tratta di un gesto positivo che però riguarda in realtà solo 53 prigionieri politici tra altri condannati per reati comuni, come sottolinea Cecilia Brighi, segretario generale di Italia-Birmania Insieme

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La giunta militare al potere in Myanmar, ex Birmania, ha annunciato oggi il rilascio di 5700 prigionieri, dopo i primi 700 di ieri, tra cui un’ex ambasciatrice britannica, un videoreporter giapponese e un economista australiano, consigliere di Aung San Suu Kyi. Gli arresti di questi stranieri avevano scatenato veementi proteste diplomatiche contro i generali che hanno preso il potere nel febbraio 2021. Della decisione abbiamo parlato con Cecilia Brighi, Segretario generale di Italia-Birmania Insieme:

Cecilia Brighi spiega innanzitutto che tra le migliaia di persone rilasciate, soltanto 53 sono prigionieri politici – dalle carceri di Yangon, Bago e Mandalay – e che inoltre non si tratta di personaggi con un ruolo nelle formazioni dell’opposizione. Sottolinea che usciranno dal carcere, ma che resteranno in quello che definisce un carcere a cielo aperto, cioè una condizione di vigilanza assoluta, nell’impossibilità di contatti o azioni politiche. Brighi ritiene che l’amnistia sia stata concessa in occasione della giornata di festa nazionale in un contesto che però rimane di dura repressione delle aspirazioni democratiche della popolazione. Se è tradizione che in occasione di ricorrenze significative si attuino provvedimenti di amnistia, quello di ieri – afferma – è giunto in un tempo in cui la giunta al potere dal primo febbraio 2021 si trova sottoposta a forti pressioni. A confermarlo è anche il segretario aggiunto dell’Associazione per l’assistenza dei prigionieri politici in Birmania (Aapp), che ha parlato di “un vecchio espediente”. Secondo i dati citati da Brighi, si registrano finora 16.232 arrestati dal golpe di 21 mesi fa guidato dal generale Min Aung Hlain, di cui almeno 12.000 resterebbero in cella.

I rilasciati

Tra i prigionieri politici, va citato il portavoce Myo Nyunt e un ministro della Lega nazionale per la democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, messo al bando. Molti dei suoi esponenti sono agli arresti o  hanno aderito in clandestinità al Governo di unità nazionale che si oppone al regime militare. Scarcerati anche Ko Mya Aye, tra i leader del movimento studentesco del 1988, la cui repressione convinse Aung San Suu Kyi a prendere la guida del movimento democratico non violento, lo scrittore satirico e accademico Maung Tha Cho e il monaco buddhista Shwe Nyawa Sayadaw, oppositore dichiarato del regime.

Gli stranieri

Rimessi in libertà ed espulsi anche autorevoli “ospiti” stranieri delle celle del carcere di Insein, noto per la detenzione dei prigionieri politici: l’economista australiano Sean Turnell, consigliere di Aung San Suu Kyi; l’ex ambasciatrice britannica Vicky Bowman, con il marito, l’artista birmano Ko Htein Lin; il regista giapponese Toru Kubota, che aveva filmato le proteste di piazza contro il regime. Scarcerato anche il cittadino statunitense di origine birmana Kyaw Htay Oo. I tre stranieri liberati saranno espulsi dal Paese, spiega Brighi.  L’ex ambasciatrice britannica (tra il 2002 e il 2006) Vicky Bowman, era stata arrestata lo scorso agosto assieme al marito birmano con l’accusa di non aver dichiarato l’indirizzo di residenza, e condannata per violazione delle leggi sull’immigrazione. Turnell, sposato con una birmana, era il consigliere economico di Suu Kyi, ed era in cella – come la stessa leader – fin dal giorno del golpe. Kubota invece era in carcere da quattro mesi assieme a due collaboratori birmani che l’aiutavano nelle riprese di una manifestazione anti-regime a Yangon. La giunta ha spiegato che l’amnistia è stata concessa “per motivi umanitari”, aggiungendo che la liberazione di Bownan, Turnell e Kubota costituisce “un’espressione di buona volontà tra Paesi”. Amici australiani di Turnell avevano già rivelato che l’economista è malato di cancro.

Pressione non solo dall’Occidente

Il recente vertice Asean (Paesi del Sud-est asiatico) in Cambogia – mette in luce Brighi – ha probabilmente contribuito a creare un clima adatto per il gesto di distensione. Da qualche tempo non sono più soltanto le democrazie occidentali o le organizzazioni internazionali per i diritti umani a tenere sotto osservazione il Myanmar, il Paese  è sottoposto in modo crescente alle critiche  dei partner regionali che chiedono che si metta fine alle violenze e si ripristini un percorso democratico. Tra l’altro – ricorda Brighi – ci sono tanti profughi fuggiti in Paesi come India, Malesia, Thailandia e che rappresentano una sfida per questi Paesi.

Un fatto positivo in un contesto di buio

Il segretario di Stato americano Antony Blinken, ieri da Bangkok a margine del vertice dell’Apec, aveva accolto con favore il rilascio dei prigionieri, avvertendo però che il periodo rimane “particolarmente buio” per il Paese. Brighi cita le sue parole per ribadire che, per quanto sia una buona notizia, l’amnistia non cambia di molto la reale situazione in Birmania. Brighi sottolinea che la giunta del generale Min Aun Hlaing fa vaghe promesse di elezioni, ma nel frattempo ha eliminato dalla scena politica la 77enne Suu Kyi, condannandola ad almeno 26 anni di carcere per presunti reati con altri processi ancora non conclusi.

Ancora vittime

L’esercito usa il pugno di ferro, anche con bombardamenti aerei che fanno strage di civili. I morti nella repressione sarebbero 2.400, inclusi i 16 civili uccisi mercoledì da colpi di artiglieria sparati contro villaggi negli Stati Rakhine e Kayah. Colpito anche un asilo, dove sono morti tre bambini.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-11/myanmar-birmania-festa-amnistia-prigionieri-politici-stranieri.html

L’evangelizzazione: sfida del passato e del presente

Il Dicastero per l’evangelizzazione è impegnato a rendere più accessibili i documenti dei suoi archivi che raccontano il processo storico dalla prima Congregazione de Propaganda fide al Dicastero stesso: è quanto emerso al convegno dedicato ai 400 anni della fondazione della Congregazione, al quale partecipano studiosi, missionari e studenti di cinque continenti. L’obiettivo è capire passato e presente attraverso testimonianze di prima mano, come sottolinea il cardinale Tagle

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Un’impostazione di lavoro originale – temi trasversalmente affrontati rispetto ai dati cronologici o culturali – caratterizza il convegno intitolato Euntes in mundum universum, che ha preso il via oggi pomeriggio, dopo la presentazione alla stampa ieri.

Si ricorda la data del 6 gennaio 1622, quando Papa Gregorio creò la sacra Congregazione de propaganda fide. La scelta della solennità dell’Epifania, antica memoria della chiamata dei pagani nel regno di Cristo e ai suoi insegnamenti, è indicativa di quello che era considerato il principale compito della congregazione. Al tempo stesso fa riferimento al mandato missionario di Cristo (Mt 28, 18-20) e alla responsabilità pastorale del Papa verso tutti i popoli.  vedi anche:

Tra storia e storie

Il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana, ha sottolineato che le buone storie si basano sull’esperienza e su un racconto veritiero. Per questo, ha sottolineato  l’importanza degli archivi storici della Congregazione che – ha assicurato – sta attivando per rendere più accessibili, in parte anche in modalità digitale, i preziosi documenti ivi contenuti. Questo – ha spiegato –  aiuterà i ricercatori di tutto il mondo ad offrire studi scientifici sulla missione del Propaganda Fide e racconti di missione di testimoni oculari.

Le storie – ha affermato il cardinale –  rivelano chi siamo, il senso della nostra vita e dove stiamo andando: “Mentre racconto le mie piccole storie, la storia fondamentale della mia vita viene rivelata non solo all’ascoltatore ma anche a me”. La storia di ognuno – ha ricordato – non si sviluppa nel vuoto ma è immersa nelle storie degli altri e nelle storie del proprio tempo.

Il valore della memoria

Un aspetto importante: l’identità personale è modellata dall’interazione con il mondo messo in memoria. Il ricordo – ha suggerito il cardinale Tagle- è vitale per la conoscenza di sé. Ricordando le nostre storie, ci rendiamo conto che il passato non è statico. Continua a modellarci.  Attraverso le storie vediamo quanto siamo cambiati e quanto ancora dobbiamo cambiare. E proprio queste parole hanno spiegato l’importanza di un convegno che guardi al passato ma anche al presente.

Tra valori e norme

Le storie – ha aggiunto il prefetto –  sono il terreno per comprendere i simboli spirituali, dottrinali ed etici. Le storie rivelano i valori, le norme morali e le priorità di una persona o di una comunità. I simboli etici, spirituali e dottrinali preziosi per una persona sono derivati e compresi solo quando la storia è conosciuta e ascoltata.  Ma le storie – ha avvertito – possono essere soppresse, da dittatori ad esempio, ma non si può dimenticare che “dove le comunità rivendicano la loro vera storia, rivendicano il loro potere per il cambiamento sociale”.

La sfida delle traduzioni

Il professor Claude Prudhomme, dell’Università Lumière-Lyon2, ha illustrato, con interessanti richiami alla documentazione storica di diversi momenti di questi quattro secoli di evangelizzazione, la grande sfida rappresentata dall’esigenza delle traduzioni, di testi sacri o della Liturgia. Ha chiarito come sia stato sempre importante trovare il termine giusto per esprimere in una lingua diversa lo stesso concetto o la stessa verità e ha raccontato qualcosa della cura prestata in tutti i diversi periodi.

Tra fede e cultura

Padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche e coordinatore del convegno, ha ricordato che la costituzione apostolica ‘Inscrutabili Divinis’ del 22 giugno 1622 sottolineava il dovere e il diritto del Papa di diffondere la fede quale principale compito del ruolo papale di pastore di anime. Dall’autorità centrale romana tutti i missionari dovevano dipendere nella maniera più diretta possibile per essere inviati in missione. I metodi dovevano essere regolamentati e l’ufficio doveva assegnare i campi di missione. Il rapporto tra fede e cultura resta un elemento essenziale, ha spiegato padre Ardura, ricordando che al momento della fondazione della Congregazione nel 1622 c’era grande attenzione alle diverse culture. Di fatto – è stato ribadito al convegno – si voleva un impegno di evangelizzazione che non fosse condizionato dalle grandi potenze del momento o da particolarismi religiosi.

L’imperativo dell’unità

Dopo il concilio di Trento (1545-1563) si comprese che la riforma era urgentemente necessaria per creare un’azione più unita e concertata. Il numero crescente di missionari provenienti da diversi istituti religiosi e di clero secolare impegnati nella diffusione della fede esigeva un tale approccio unificato. Emerse la necessità di una nuova istituzione a Roma quale strumento nelle mani del Papa per promuovere la riforma interna della Chiesa nei Paesi europei, alcuni dei quali erano passati al protestantesimo, e per riconquistare i territori persi, ovunque fosse possibile, per favorire rapporti stretti con la chiesa ortodossa. Inoltre, avrebbe avuto la responsabilità della diffusione della fede cattolica in America, Africa e Asia.

Nel 1967, la riforma della Curia Romana effettuata da san Paolo VI con la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae fa sentire un’eco degli insegnamenti del Concilio Vaticano II nella competenza del dicastero. Ancora una volta la riforma conferma la competenza generale del dicastero missionario come l’organo centrale della Chiesa, responsabile di organizzare e coordinare l’attività missionaria nel mondo.

Papa Francesco, con la costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19 marzo 2022, ha istituito il Dicastero per l’Evangelizzazione, il quale è presieduto direttamente dal Papa ed è composto dalla sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo e dalla sezione per la prima evangelizzazione e le nuove chiese particolari. La sezione per la prima evangelizzazione e le chiese particolari raccoglie l’eredità della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide). Dalla sezione per la prima evangelizzazione e le nuove chiese dipendono alcune circoscrizioni ecclesiasti delle Americhe, e quelle di quasi tutta l’Africa, dell’Asia (ad eccezione delle Filippine) e dell’Oceania (ad eccezione dell’Australia). Attualmente ci sono 1,117 circoscrizioni ecclesiastiche (arcidiocesi, diocesi, vicariati apostolici, prefetture apostolici, ecc.) sotto la competenza del dicastero missionario, che hanno lo stesso obiettivo di ritrovarsi nell’unità degli obiettivi.

Padre Ardura ha sottolineato che la Praedicate Evangelium mette chiaramente un luce anche un aspetto preciso: l’impegno ad una nuova evangelizzazione nei territori dove è arrivato storicamente l’annuncio ma dove non ci sono più nelle nuove generazioni evidenze di cristianizzazione.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-11/convegno-urbaniana-evangelizzazione-secoli-cardinale-tagle.html

Un convegno per ripercorrere quattro secoli di evangelizzazione

400 anni di servizio alla missione evangelizzatrice della Chiesa: se ne parla al Convegno “Euntes in mundum universum” all’Urbaniana. L’anniversario della fondazione della Congregazione de Propaganda Fide nel 1622 è l’occasione per rileggere il rapporto tra missione e colonizzazione e guardare alle necessità della nuova evangelizzazione, come spiega il presidente del Comitato di Scienze Storiche padre Bernard Ardura

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il 22 giugno 1622 veniva promulgata la Bolla Inscrutabili Divinae e veniva istituita la Sacra Congregatio de Propaganda Fide. A 400 anni di distanza, la Pontificia Università Urbaniana ospita da  mercoledì 16 a venerdì 18 novembre, il Convegno Internazionale di Studi “Euntes in mundum universum”, frutto della collaborazione tra il Dicastero per l’Evangelizzazione, la Pontificia Università Urbaniana e le Pontificie Opere Missionarie. Questa mattina, nella sala stampa vaticana, si è svolta la conferenza stampa di presentazione del simposio di studi, alla quale sono intervenuti monsignor Camillus Johnpillai, capo ufficio del Dicastero per l’Evangelizzazione; padre Leonardo Sileo, rettore magnifico della stessa Pontificia Università Urbaniana; padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.

Un evento storico di grande rilievo

Monsignor Johnpillai ha parlato di “evento storico di grande importanza”, sottolineando che Gregorio XV volle la Congregazione de Propaganda Fide per coordinare e guidare l’attività missionaria della Chiesa, fino ad allora controllata dai sovrani cattolici di Spagna e Portogallo. Ha anche sottolineato che il pontificato di Gregorio XV (1621-1623) fu breve ma molto importante per la rinascita cattolica: primo Papa di formazione gesuita – ha spiegato –  cercò di proseguire il rinnovamento interno della Chiesa.

Sede naturale del convegno l’Urbaniana

Padre Leonardo Sileo ha messo in luce il significato della scelta della  Pontificia Università Urbaniana quale sede del convegno, ricordando che l’Università stessa è il frutto dell’evoluzione storica del Collegio Urbano fondato a Roma il 1° agosto 1627 da  Papa Urbano VIII (1623-1644), successore di Gregorio. Proprio Papa Urbano – ha ricordato padre Sileo – diede un forte appoggio al progresso delle missioni attraverso la formazione dei missionari da inviare in particolare nel lontano Oriente e attraverso l’istituzione della Stampa Poliglotta (1626), che ha pubblicato testi di grammatica utili allo studio delle lingue locali o preziose mappe o carte geografiche. Padre Sileo ha anche ricordato l’attività formativa pluriforme della Pontificia Università, che si avvale di una rete interuniversitaria. L’Urbaniana, infatti, è la “casa madre” di 108 istituti universitari presenti e operanti nei cinque continenti, in particolare in Africa e in Asia.

Dal passato al presente

Di preziose testimonianze e insegnamenti per la vita e la missione odierna della Chiesa, del grande laboratorio interculturale che hanno rappresentato le missioni abbiamo parlato con padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche:

Padre Ardura parla di delicato rapporto tra l’intento missionario della Chiesa e gli opportunismi di Stati che hanno visto nella missionarietà un supporto alle loro mire colonizzatrici. Ci sono stati esempi di mancato equilibrio – ammette Padre Ardura – ma si deve andare alle fonti storiche e alla documentazione dell’epoca – aggiunge – per comprendere che fin da subito era evidente il rischio e che dalla Congregazione per la fede si è cercato di evitare tali commistioni. Racconta che dai documenti emerge il divieto di confessare o predicare nella lingua originaria dei missionari e al contrario l’obbligo di imparare la lingua degli indigeni.  Cita poi un esempio relativo al secolo scorso: il richiamo di Benedetto XV nella sua Lettera apostolica Maximum illud del 30 novembre 1919, per il superamento di ogni chiusura nazionalista ed etnocentrica, di ogni compromesso nell’annuncio del Vangelo con le potenze coloniali, con i loro interessi economici e militari. E ribadisce che il richiamo è sempre attuale. Benedetto XV ricordava allora – nota padre Ardura – che l’apertura della cultura e della comunità alla novità salvifica di Gesù Cristo esige il superamento di ogni indebita intrusione etnica ed ecclesiale.

L’obiettivo dell’unità

Tra l’altro – spiega ancora il religioso – un obiettivo della Congregazione del 1622 era anche quello di superare l’amministrazione delle missioni sulla base del sistema di patronato con un altro sistema in grado di assicurare meglio la promozione delle attività di evangelizzazione e consentire ai missionari di conquistare i cuori e le menti delle popolazioni locali. La riforma – aggiunge padre Ardura – era urgentemente necessaria proprio per creare un’azione più unita e concertata, visto il numero crescente di missionari provenienti da diversi istituti religiosi e di clero secolare impegnati nella diffusione della fede. La congregazione doveva coordinare e guidare l’attività missionaria della Chiesa, fino ad allora controllata dai sovrani cattolici di Spagna e Portogallo. Padre Ardura, nell’intervista, spiega anche che l’istituzione della Congregazione era il frutto del lento processo che era stato iniziato durante il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585), preoccupato dell’unione degli Orientali con Roma e in modo speciale di Slavi,  Greci,  Siri,  Egizi ed Etiopi, e che era stato poi ripreso da Clemente VIII (1592-1605). Un processo – aggiunge – che avveniva in una Curia romana profondamente riorganizzata da Sisto V, in cui le competenze prima riservate al concistoro erano passate a un sistema di Congregazioni specializzate. Così, – sottolinea padre Ardura – la difesa e la propagazione del cattolicesimo suggerirono a Gregorio XV (1621-1623) l’istituzione di una Congregazione esclusivamente dedicata alla propagazione della fede, sia nelle terre dove erano presenti i cristiani Orientali separati da Roma, sia nelle regioni ancora in via di esplorazione, tanto più che l’Olanda e l’Inghilterra, pur aspirando al commercio e all’espansione coloniale, erano anche pronte a diffondere ovunque le dottrine del protestantesimo.

Due tappe particolari

Padre Ardura ricorda che la denominazione della Congregazione è stata cambiata da Paolo VI – con la Costituzione apostolica Regimini Ecclesiæ universæ del 15 agosto 1967 – in Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, a causa – sottolinea – del rischio di connotazione negativa che assume oggi il termine ‘propaganda’. E c’è poi un’altra tappa fondamentale da ricordare: con l’entrata in vigore della Costituzione apostolica Praedicate evangelium di Papa Francesco, il 5 giugno 2022, la Congregazione come tale di fatto è scomparsa perché forma, con il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, il nuovo Dicastero per l’Evangelizzazione. Con il nuovo assetto del Dicastero per l’Evangelizzazione – mette in luce padre Ardura – si intende pure sottolineare che l’annuncio del Vangelo concerne non soltanto i territori non ancora evangelizzati, ma anche quelli che hanno ricevuto l’annuncio nel corso dei secoli, e nei quali si avverte la necessità di una nuova evangelizzazione degli uomini e delle donne, che vivono oggi nelle nuove culture spesso formatesi fuori dai valori cristiani. Così, la Chiesa intende adempiere al mandato di Gesù di portare a tutti il messaggio della Salvezza.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-11/missione-congregazione-per-la-fede-propaganda-fide-paolo-sesto.html

Bartolomeo I: con il Papa per una data comune della Pasqua tra cattolici e ortodossi

Il Patriarca ortodosso ecumenico parla dell’obiettivo condiviso con Francesco da raggiungere a 17 secoli di distanza dal Concilio di Nicea del 325. Sulla guerra in Ucraina ribadisce: non può esserci pace senza giustizia

Fausta Speranza – Istanbul

Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha ricevuto ieri, nella sede del Patriarcato a Istanbul, il gruppo di sacerdoti e giornalisti che per iniziativa dell’Opera Romana pellegrinaggi si trovano da alcuni giorni in Turchia in visita ai luoghi santi sulle orme di San Paolo, per rilanciare l’esperienza dei pellegrinaggi dopo le chiusure per la pandemia. Nell’intervento di benvenuto, il Patriarca ha rivolto anzitutto un caro pensiero al Papa, “fratello” nella fede, incontrato pochi giorni fa in Bahrein, inviando al contempo un affettuoso saluto al presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e parole di augurio al nuovo governo italiano e al mondo politico, accompagnandole da un incoraggiamento a lavorare per il bene comune.

A Cipro per i funerali dell’arcivescovo Chrysostomos

Bartolomeo I ha annunciato poi di volersi recare domani a Cipro per partecipare alle esequie dell’arcivescovo ortodosso Chrysostomos II, scomparso dopo lunga malattia il 7 novembre scorso, un viaggio particolarmente significativo durante il quale, ha detto, incontrerà il rappresentante del Papa, il cardinale Kurt Koch,  presidente del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani.

Una sola data per la Pasqua cattolica e ortodossa

Il Patriarca ecumenico si è poi soffermato sull’impegno portato avanti con Papa Francesco in vista dell’anniversario del Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino nel 325.

Sua Santità, cosa può dirci di questo impegno comune?

Il Concilio ecumenico (di Nicea – ndr) è stato molto importante per fissare il contenuto della nostra fede cristiana, ma anche per fissare la data della Pasqua, come e quando debba essere celebrata. Purtroppo non la celebriamo insieme da molti anni, da molti secoli. Allora, nel quadro di questo anniversario, oggetto degli sforzi condivisi con il Papa è quello di trovare una soluzione a ciò. Forse non è ora il momento di dare i particolari, ma voglio sottolineare che da parte ortodossa e da parte cattolica c’è questa buona intenzione di fissare finalmente una data comune per la celebrazione della Risurrezione di Cristo. Speriamo di ottenere questa volta un buon risultato.

Come vede le speranze di pace di fronte alla guerra devastante che ha colpito in Ucraina?

Non si può giustificare questa guerra in nessuna maniera. Ne ho parlato ultimamente anche mentre ero in Inghilterra. Ho parlato in maniera dura, ma dovevo farlo in nome della nostra fede cristiana e non solo. Mi pare che tutti gli uomini che abbiano una visione giusta delle cose non possano non condannare questa guerra. Il Papa stesso vuole sensibilizzare tutto il mondo alla pace. In un suo messaggio, il primo gennaio di alcuni anni fa, il Papa ha detto che non si può avere la pace senza la giustizia. E una parola molto giusta, questa: non possiamo avere pace senza giustizia. Questo è sempre valido e nelle mie omelie ripeto questi messaggi del Papa, di tutti i Papi, riguardanti il primo gennaio che è il giorno di preghiera per la pace. Sono messaggi molto importanti e molto saggio è il loro contenuto.

Da parte mia, vi auguro un buon ritorno e di non dimenticare la Turchia, l’Anatolia, dove ci sono tante memorie del nostro passato cristiano, soprattutto dei primi secoli del cristianesimo, dei Concili ecumenici…  Io mi trovavo con la gerarchia cattolica del nostro Paese poche settimane fa a Efeso, dove il nunzio apostolico ad Ankara e i vescovi cattolici hanno concelebrato la Messa nella cattedrale del terzo Concilio ecumenico, occasione in cui mi hanno chiesto di tenere l’omelia. A quel tempo risalgono non solo il Concilio di Calcedonia, i luoghi dei Concili ecumenici, Costantinopoli, ma il monachesimo, l’arte sacra, la teologia, i padri della Cappadocia… Abbiamo tanti luoghi sacri che ogni tanto bisogna tornare a venerare, da cui prendere ispirazione riandando ai secoli passati, in cui pregare e conoscere meglio il popolo turco, che è molto ospitale. Tutti gli stranieri che vengono qui ricavano questa impressione.

Il Patriarcato ecumenico si è distinto da anni in tema di tutela dell’ambiente. Di fronte al processo di digitalizzazione, non c’è il rischio che si esternalizzi l’etica consegnandola in un certo senso alle macchine? Cosa ne pensa?

Noi rispettiamo la scienza, rispettiamo la tecnologia. Il Concilio panortodosso di Creta del 2016 ha detto che la scienza, la tecnologia, la ricerca scientifica sono un dono di Dio, ma d’altra parte riconosciamo che ci sono delle derive. Noi mettiamo al centro di tutto la persona umana, la dignità della persona umana. Naturalmente nelle scuole si usa molto la tecnologia moderna, digitale, ma questo nuovo metodo non può sostituire il metodo antico dell’insegnamento basato sui valori spirituali, sull’etica. Lo ripeto: al centro di tutto c’è la dignità della persona umana, attorno alla quale dobbiamo fare le nostre scelte, rispettando la libertà della persona umana.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-11/bartolomeo-data-comune-pasqua-cattolici-ortodossi.html

Turchia, il nome di un martire cristiano per una moschea

.
La memoria di Habib-I Niccar, ucciso nel primo secolo dopo Cristo, è incisa nel luogo di culto islamico ad Antiochia di Oronte. Un ricordo intatto e venerato a distanza di secoli, guerre e persecuzioni, un ponte che unisce due fedi

Fausta Speranza – Antiochia di Oronte

Habib-I Niccar è il nome di un uomo ucciso negli anni delle persecuzioni contro i gruppi che si riunivano, a sud della regione anatolica nell’attuale Turchia, intorno agli apostoli Barnaba e Paolo. Si tratta dei gruppi definiti per la prima volta con l’appellativo, che all’epoca suonava dispregiativo, di cristiani. Siamo nel primo secolo dopo Cristo e ne passerà dunque di tempo prima del 638, anno in cui sulla stessa località del martirio di Habibi-I Niccar sorge la moschea più particolare della città di Antiochia e non solo. La prima particolarità è che il luogo di culto islamico viene intitolato proprio a quel cristiano martire, il cui nome significa in sostanza “caro falegname”.

L’Imam Fetullah che giuda la moschea di Habib-I Niccar in Turchia

La memoria che unisce

La moschea di Habib-I Niccar si trova nel cuore dell’attuale Antiochia di Oronte, crocevia di diverse civiltà, terra di passaggio degli scambi commerciali e terra di conquista, dai tempi degli ittiti fino all’Impero ottomano. Nel 969 nel periodo bizantino la costruzione diventa una chiesa ma poi nel 1269 torna ad essere una moschea. L’imam Fetullah – che oggi guida il luogo di culto isalmico – ci spiega che mai ha cambiato nome e che Habib-I Niccar resta il primo santo vissuto prima di Maometto a essere considerato e riconosciuto. L’imam ci conduce all’interno della moschea e poi ci mostra altre preziose particolarità: una scritta in turco con i nomi di Paolo e Giovanni, che – assicura – sono citati in quanto apostoli di Gesù, con vicino due sarcofagi.

L’interno della moschea di Habib-I Niccar in Turchia

E c’è poi un’altra caratteristica, tipica più di una chiesa che di una moschea: si scendono dei gradini e si trova una cripta. Secondo l’imam Fetullah, si tratta di particolarità storiche che raccontano di un dialogo e di una vicinanza tra esponenti di diverse fedi che a livello popolare si è sempre vissuto e si vive ancora. Tra la gente che anima le strade dei negozi e tra gli stessi negozianti – dice l’imam Fetullah – è impossibile distinguere oggi musulmani o ebrei o cristiani. Se temi come la convivenza tra religioni e la libertà religiosa conservano tutta la loro complessità e delicatezza e richiedono considerazioni approfondite, la storia di questa moschea e il racconto appassionato dell’imam Fetullah rappresentano uno dei doni di questa terra da cui è partita con San Paolo l’evangelizzazione ai gentili e al mondo.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-11/chiesa-moschea-cristiani-martiri-san-paolo-antiochia-di-oronte.html

Opera Romana, nuovi pellegrinaggi sulle orme di San Paolo

Ritrovare lo slancio dei primi cristiani in Asia minore: è l’obiettivo dell’ente del Vicariato di Roma che accompagna i pellegrini sui luoghi dello Spirito nel mondo. Si tratta di riscoprire gli itinerari dell’apostolo delle genti a partire da Antiochia di Oronte, a sud della regione anatolica, dove padre Domenico Bertogli parla della piccola comunità cattolica in cui vive da 35 anni

Fausta Speranza – Antiochia di Oronte

Con Don Remo Chiavarini, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi, siamo da ieri in Turchia: 25 persone tra sacerdoti e giornalisti, per ridisegnare percorsi nuovi di pellegrinaggio. C’è il desiderio di rilanciare i percorsi su questa terra che, per lo straordinario valore dello slancio di evangelizzazione di San Paolo, rappresenta una seconda Terra Santa.

Antiochia crocevia di culture

Si parte da Antiochia di Oronte, uno di quei centri urbani che appartiene a quell’arco ideale di civiltà che ha segnato la storia dell’umanità dalla Mesopotamia all’Anatolia, al Levante. Oggi si chiama Atay Antachia. E’ la città in cui, secondo il capitolo 11 degli Atti degli Apostoli, per la prima volta si è usata l’espressione “cristiani”, cioè seguaci di Cristo. Ce lo ricorda Padre Domenico Bertogli, che ci ha accolto nella piccola chiesa intorno alla quale si raccoglie la comunità cattolica che oggi conta circa 100 fedeli su 1100 cristiani.

Luoghi di eccezione

Da visitare c’è la grotta di San Pietro che, anche se non corrisponde davvero al posto dove si riunivano Barnaba, Paolo e Pietro, racconta comunque la storia tramandata nei secoli delle riunioni e delle preghiere degli apostoli con le comunità sorte dalla predicazione ai gentili, a quelli che senza essere ebrei volevano abbracciare il credo di Gesù. Sembrava a qualcuno difficile poterli ammettere e ci fu un confronto serio, fino alla apertura incoraggiata proprio dall’apostolo delle genti, Paolo. Barnaba aveva richiamato Paolo da Tarso proprio per seguire gli sviluppi. Il resto è storia degli Atti degli Apostoli, a cominciare dai tre straordinari viaggi di San Paolo che partirono dalla seconda delle località da non mancare: il porto di Seleucia di Pieria. Merita una visita anche il museo della città che conserva una ricca collezione di mosaici provenienti da ville romane. In questo caso il richiamo non è alla fede ma a un momento di quel bagaglio storico e culturale che questa terra conserva. E’ storia di ittiti, persiani, macedoni, regni ellenistici, prima di arrivare ai romani e alle loro ville, e che prosegue con i Bizantini, i crociati, le Repubbliche marinare di Venezia e di Genova, le ondate migratorie che hanno portato i Selgiuchidi, i mongoli, e poi la dominazione degli Ottomani. Storie di guerre ma anche di compenetrazioni di civiltà. Fino alle vicende di circa 100 anni fa, della prima guerra mondiale, quando su queste stesse terre, l’Anatolia e la Tracia orientale, teatro di occupazioni e persecuzioni, sono stati cancellati gli ultimi segni più evidenti di presenze cristiane.

Tra le pietre vive

Non si può dire che sia rimasto molto delle pietre che hanno ospitato altri nomi illustri di Antiochia, come san Luca o San Giovanni Crisostomo che ne erano originari. Ma ci sono le pietre vive di cui ci parla Padre Bertogli, raccontandoci che qui si vive la liturgia delle fede proprio come accadeva ai primi cristiani, in una casa-chiesa. Si tratta, infatti, di un’abitazione di stampo tradizionale dove una stanza divenuta cappella è stata arricchita di dipinti, tra i quali spicca  la cartina della parabola geografica percorsa da Paolo. Non è solo questione di spazi. Padre Bertogli ci spiega la lunga avventura che ha portato alla possibilità di preservare la chiesa: non è stato facile – spiega – ottenere i titoli di proprietà. Dopo anni di richieste, l’obiettivo è stato raggiunto nel 2006. Si tratta di vicende che ci proiettano in una realtà di minoranza, che vive tutte le difficoltà del caso ma anche tanta grazia. Padre Bertogli con semplicità ci parla dei 26 battesimi che ha celebrato per persone provenienti da famiglie non cattoliche in 35 anni di presenza ad Antiochia. Le sue parole si fanno Comunione viva e la sua testimonianza trasforma quello che potrebbe sembrare un viaggio in un pellegrinaggio: la dimensione storica-aricheologica, infatti, è solo l’ausilio per ritrovare la dimensione spirituale e l’incontro con questi luoghi non è più solo una visita, ma un’esperienza di fede.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-11/san-paolo-turchia-antiochia-barnaba-atti-degli-apostoli.html