Netanyahu torna a governare con l’appoggio di Sionismo religioso

Il partito dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, Likud, vince le elezioni politiche di Israele del 1° novembre. La sua maggioranza di 65 seggi alla Knesset su 120 si regge sull’appoggio del partito Sionismo religioso, che diventa terza forza politica del Paese, e di Shas e Giudaismo della Torah unita. Ci si aspetta l’incarico di governo dopo la presentazione ufficiale dei risultati mercoledì prossimo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il partito Likud di Netanyahu ottiene 32 seggi, seguito dal partito Yesh Atid del premier uscente Yair Lapid, che ne ottiene 24, e dal partito Sionismo religioso, definito di estrema destra, che ne registra 15, diventando la terza forza politica del Paese. Si tratta dei risultati definitivi ma non ufficiali: saranno presentati pubblicamente solo mercoledì. Non più tardi della fine della settimana prossima Netanyahu dovrebbe avere l’incarico formale da parte dello stesso presidente Herzog al termine del giro di consultazioni del capo dello Stato con i partiti. Già ieri pomeriggio il premier israeliano Yair Lapid ha ammesso la sconfitta  e si è congratulato con l’ex primo ministro Netanyahu per la vittoria, dando istruzioni al suo ufficio per preparare la transizione di potere.

La prospettiva di governo

La coalizione in grado di governare, dopo cinque elezioni in poco più di tre anni, sarà dunque formata dal partito di Netanyahu, Likud, con il Sionismo religioso e i due partiti Shas e Giudaismo della Torah unita, che ottengono rispettivamente undici e sette seggi. La coalizione si presenta con quattro seggi in più rispetto alla quota minima di maggioranza. L’elemento nuovo, che potrebbe portare incognite, risiede nel peso che ottiene il partito Sionismo religioso guidato da Itamar Ben Gvir che secondo la stampa locale si è pronunciato finora contro la soluzione a due Stati, a favore dell’annessione della Cisgiordania e per l’autorizzazione alle preghiere ebraiche sul Monte del Tempio a Gerusalemme (la Spianata delle Moschee per i musulmani), in violazione dello Status quo.

Le altre formazioni

Per la prima volta dalla sua nascita nel 1992, il partito della sinistra israeliana, Meretz, – secondo le proiezioni dei media – non entra alla Knesset non avendo passato per circa 3800 voti la soglia di sbarramento del 3,25 per cento.  Al momento, secondo i dati diffusi dalla Commissione elettorale, il ‘Campo istituzionale’ di Benny Gantz  centrista è il quarto partito in ordine di grandezza con 12 seggi.  Israel Beitenu, il partito che si definisce laico di Avigdor Lieberman,  ottiene sei seggi, mentre due liste arabe – gli islamici di Raam e il partito di sinistra Hadash-Taal – conquistano entrambe cinque seggi. Ultima percentuale da riferire è quella dell’affluenza pari al 70,6 per cento.

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Si fermano le armi in Tigray: verso la pace in Etiopia

L’Unione Africana commenta l’annuncio dell’accordo per il “cessate il fuoco” tra il governo dell’Etiopia e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) parlando di “una nuova alba”. È un primo passo fondamentale ma dopo lo stop ai combattimenti si deve proseguire il negoziato di pace, sottolinea il professore emerito GianLuigi Rossi, mettendo in luce che manca ancora anche la definizione dei tempi di attuazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Firmato a Pretoria, in Sudafrica, l’Accordo di pace tra il governo dell’Etiopia e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) per porre fine a due anni di conflitto nel territorio a nord del Paese africano. Nel comunicato congiunto diffuso ieri pomeriggio si legge che, oltre alla cessazione delle ostilità, il governo etiope e i ribelli hanno concordato di “rafforzare” la cooperazione con le agenzie umanitarie e un programma di “disarmo, smobilitazione e reintegrazione per i combattenti del Tplf”. “L’Unione europea è pronta a sostenere i prossimi passi”, ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel.

L’impegno sui due fronti

Un’intesa per la quale il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha espresso “forte” impegno nella sua attuazione. “La nostra determinazione a fare la pace rimane incrollabile e il nostro impegno a collaborare all’attuazione dell’accordo è altrettanto forte”, ha dichiarato Abiy in un “messaggio di gratitudine” ai mediatori dell’Unione Africana (Ua), pubblicato su il suo account Twitter. Da parte sua, il capo della delegazione del Tigray, Getachew Reda, ha sottolineato: “Solo la nostra determinazione collettiva impedirà ai eventuali perturbatori, anche nelle nostre stesse fila, di distruggere la pace”.

Si tratta di un ‘cessate il fuoco’ e non di un vero accordo di pace, sottolinea il professore emerito Gian Luigi Rossi, esperto di Storia dei Trattati internazionali e di Storia delle Istituzioni afro-asiatiche:

Secondo Rossi, l’indubbio successo raggiunto non può rappresentare la fine del processo di pace, ma il suo inizio. Spiega che indubbiamente si deve accogliere con favore l’accordo sulla cessazione delle ostilità in Etiopia ricordando l’importanza di questo grande Paese  e anche sottolineando il peso  all’interno di una regione strategica come il Tigray, una delle dieci regioni.

L’importante ruolo dell’Unione Africana

Rossi mette in luce in particolare il ruolo importante dell’Unione Africana nel processo di mediazione in questione e anche quello del Sudafrica che ha ospitato i colloqui. Aggiunge poi che troppo spesso si dimentica il potenziale dell’Unione Africana in termini di prevenzione delle guerre o appunto di operato per la risoluzione di conflitti. Tra l’altro – ricorda Rossi – in Tigray accanto all’esercito del governo centrale hanno operato le truppe della vicina Eritrea. Il negoziato dunque è stato complesso.

L’essenziale fase dell’attuazione

Dopo le felicitazioni per lo stop delle armi – chiarisce Rossi –  bisogna assicurare la decisiva fase di attuazione. È importante, dice, consolidare il primo passo verso una pace e una riconciliazione durature ed è anche prioritario garantire l’assistenza umanitaria e ripristinare i servizi di base. Ma soprattutto mette in luce l’assenza al momento di una indicazione di tempi per l’attuazione dell’accordo. Si tratta, afferma, di “un aspetto fondamentale”. Sarà determinante anche la pacificazione a livello sociale e per questo il professore auspica un intervento preciso sul terreno delle Nazioni Unite.

La prospettiva di pace

Il testo si accompagna ad una “Dichiarazione congiunta” che configura una sorta di road map politica. In otto pagine si parla, infatti, di salvaguardia della sovranità e di integrità territoriale dell’Etiopia, di rispetto della sua Costituzione e dell’unità del suo esercito nazionale. Si sottoscrive “un programma di disarmo e smobilitazione” delle forze tigriane che tenga conto della situazione della sicurezza sul terreno”Si evocano misure transitorie per “il ritorno all’ordine costituzionale” nel Tigray che quindi tornerebbe ad essere una regione/Stato dell’Etiopia federale.  È evidente che occorrerà ripristinare i servizi pubblici e riparare le infrastrutture e per questo si chiede “il sostegno della popolazione per un’attuazione flessibile di questo nuovo capitolo nella storia del Paese”.

L’appoggio dell’Onu

In una dichiarazione ufficiale, Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’Onu António Guterres, ha sottolineato che “l’accordo è un primo passo fondamentale verso la fine del devastante conflitto di due anni in cui sono andate perdute vite e mezzi di sussistenza di così tanti etiopi. Il segretario generale esorta tutti gli etiopi e la comunità internazionale a sostenere il passo coraggioso compiuto dal governo federale dell’Etiopia e dalla leadership tigrina. Il Segretario generale si impegna a sostenere le parti nell’attuazione delle disposizioni dell’accordo e le esorta a continuare i negoziati sulle questioni in sospeso in uno spirito di riconciliazione, al fine di raggiungere una soluzione politica duratura, mettere a tacere le armi e a portare il Paese di nuovo sulla via della pace e della stabilità. Il segretario generale elogia l’Unione Africana e il suo Gruppo di Alto Livello per la facilitazione dei colloqui di pace e la Repubblica del Sudafrica per aver ospitato i colloqui di pace. Le Nazioni Unite sono pronte ad assistere le prossime fasi del processo guidato dall’Unione Africana e continueranno a mobilitare l’assistenza tanto necessaria per alleviare le sofferenze nelle aree colpite”.

L’allarme dell’Oms

Poche ore prima dell’annuncio dell’intesa, il capo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva rivelato che “un gran numero di sfollati sta arrivando o si sta spostando verso la capitale regionale del Tigray, con bisogni in aumento di giorno in giorno” e che “migliaia di persone sono state uccise, con accuse di gravi violazioni dei diritti umani, compresi possibili crimini di guerra, commesse da entrambe le parti”.

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L’appello dell’Ue per il Libano: no al vuoto istituzionale

In Libano il parlamento trovi l’accordo per eleggere un presidente: è l’appello dell’Alto rappresentante della politica estera Ue, Borrell, che ricorda la scadenza del mandato di Aoun e le emergenze socioeconomiche che vive il Paese dei cedri al terzo anno di grave crisi. Intanto si aggrava la preoccupazione per il diffondersi del colera

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’Alto rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell in una nota, ricorda che il 31 ottobre è scaduto il mandato del presidente del Libano Aoun e che dalle ultime elezioni generali di maggio non è nato alcun governo. Dopo quattro turni inconcludenti di votazioni parlamentari, non è stato eletto alcun candidato e la presidenza del Paese dei cedri è ora vacante. Borrell chiede, dunque, che si colmi il vuoto istituzionale eleggendo un capo di Stato. L’Ue mantiene l’impegno di continuare ad assistere il Libano e la sua popolazione affinché si possano avviare verso la ripresa e la stabilità che meritano. Allo stesso tempo, l’Ue esorta la leadership libanese ad assumersi le proprie responsabilità e ad agire”.

Crisi sociale ed economica

Questo vuoto politico si verifica mentre il Libano sta affrontando un deterioramento della situazione socio-economica. La volatilità istituzionale, unita all’instabilità economica, comporterebbe gravi rischi per il Libano e la sua popolazione. L’Ue invita ancora una volta la leadership libanese a organizzare le elezioni presidenziali e a formare un governo con la massima urgenza”.

Tra finanziamenti e sanzioni

“Nel luglio 2022, l’Ue ha rinnovato un quadro di sanzioni che consente di imporre misure restrittive a persone o entità che bloccano l’uscita dalla crisi libanese”, ricorda Borrell. “Per facilitare l’erogazione dei finanziamenti internazionali aggiuntivi e invertire la tendenza al deterioramento dell’economia libanese, è necessario raggiungere un accordo di erogazione con il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e intraprendere, senza ulteriori ritardi, le riforme fondamentali attese da tempo.

Allarme colera

In Libano si aggrava l’epidemia di colera con 17 decessi e quasi 400 contagi nell’arco di tre settimane. Lo riferisce il ministero della sanità di Beirut, che ha oggi annunciato la donazione da parte della Francia di 13.000 dosi del vaccino per contrastare la malattia scomparsa in Libano nel 1993. L’Onu afferma che nella vicina Siria, Paese martoriato da più di 11 anni di guerra, l’epidemia manifestatasi a settembre ha ucciso finora almeno 75 persone con oltre 20.000 casi sospetti. I contagi in Libano si sono registrati dal 5 ottobre nei campi profughi siriani, luoghi dove le condizioni igienico-sanitarie sono particolarmente precarie. Nella conferenza stampa odierna a Beirut, il ministro della sanità Firas Abyad ha messo in guardia dai rischi che il colera possa diventare una malattia endemica nel Paese, afflitto da tre anni dalla peggiore crisi finanziaria della sua storia.

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Il pensiero del Papa al viaggio in Bahrein e l’appello alla pace

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Un Viaggio all’insegna del dialogo”: così il Papa, dopo la preghiera mariana dell’Angelus, ha parlato dell’impegno apostolico nel Regno del Bahrein, dove si recherà tra due giorni e dove si tratterrà fino a domenica 6 novembre. E ha espresso ringraziamenti:

Già da ora desidero salutare e ringraziare di cuore il Re, le Autorità, i fratelli e le sorelle nella fede, e tutta la popolazione del Paese, specialmente quanti da tempo stanno lavorando alla preparazione di questa visita.

L’auspicato abbraccio tra Oriente e Occidente

Papa Francesco ha spiegato che parteciperà a un Forum che rappresenta “un’occasione proficua”:

Parteciperò infatti a un Forum che tematizza l’imprescindibile necessità che Oriente e Occidente si vengano maggiormente incontro per il bene della convivenza umana; avrò l’opportunità di intrattenermi con rappresentanti religiosi, in particolare islamici. Chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera, perché ogni incontro e avvenimento sia un’occasione proficua per sostenere, in nome di Dio, la causa della fraternità e della pace, di cui i nostri tempi hanno estremo e urgente bisogno.

L’appello alla pace per l’Ucraina

Parlando di fraternità e di pace, Papa Francesco ha rinnovato per l’ennesima volta il suo invito a pregare per la martoriata Ucraina:

E cari fratelli e sorelle, per favore, non dimentichiamoci della martoriata Ucraina: preghiamo per la pace, preghiamo perché in Ucraina ci sia la pace.

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Ancora naufragi nel Mare Nostrum di decine di migranti

Si ripete la tragedia nel Mar Mediterraneo: una imbarcazione salpata dalla Turchia si è inabissata nello stretto di Kafireas, poche ore dopo che le guardie costiere greche erano intervenute per cercare di salvare le persone su un’altra imbarcazione alla deriva. Si parla di decine e decine di migranti irregolari dispersi mentre altrettanti chiedono da giorni di poter salpare in porto sicuro dalle navi che li hanno soccorsi nella traversata

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Una barca a vela su cui stavano viaggiando circa 68 migranti, salpata dalla Turchia, è naufragata nelle prime ore di questa mattina nello stretto di Kafireas, tra le isole di Andros e Evia. Lo riferisce la Guardia costiera greca, impegnata nelle operazioni di ricerca e salvataggio dei migranti. Nove uomini, che si erano inizialmente messi in salvo su un isolotto, sono stati soccorsi dalle autorità greche, ma, in base ai racconti dei sopravvissuti, sull’imbarcazione avrebbero viaggiato almeno 68 persone. L’operazione di soccorso è iniziata dopo che i passeggeri del natante avevano lanciato una richiesta di soccorso alla linea di emergenza greca del 112, ostacolata, però, dalle condizioni meteorologiche avverse, in particolare da venti di oltre 30-40 nodi di velocità.

Nazionalità e lidi diversi per un solo dramma

Secondo quanto riferito dalla televisione greca Ert, l’imbarcazione sarebbe salpata dalla città costiera turca di Izmir e la maggior parte dei passeggeri sarebbe originaria dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Egitto. Intanto proseguono le ricerche di almeno otto persone dopo un altro naufragio avvenuto ieri pomeriggio, al largo dell’isola greca di Samos. Per ora la Guardia costiera ha soccorso quattro sopravvissuti che hanno raccontato di avere viaggiato in dodici sulla barca naufragata. Nei primi otto mesi dell’anno, la Guardia costiera greca ha dichiarato di avere soccorso circa 1.500 persone: un numero in evidente aumento rispetto a quello dell’anno scorso, quando meno di 600 persone sono state messe in salvo dalle autorità greche. Mentre a inizio mese due distinti naufragi a largo delle isole greche di Lesbo e di Citera hanno portato alla morte di almeno 27 persone.

Dalla Spagna giunge notizia del recupero dei corpi senza vita di due migranti la scorsa notte in acque di Almeria, città del sud: lo riportano l’agenzia di stampa Efe e il giornale locale Diario de Almeria. Secondo fonti di polizia, le due persone sarebbero annegate dopo aver viaggiato su un’imbarcazione di fortuna insieme con altri migranti. A detta di testimoni consultati dagli inquirenti, uno scafista li avrebbe costretti a sbarcare rapidamente, e in condizioni insicure, dopo essersi accorto che le forze dell’ordine lo stavano inseguendo.

Navi in attesa

Tre navi umanitarie sono da giorni in acque internazionali con 985 migranti soccorsi complessivamente, in attesa di un porto. La Humanity 1 (179 soccorsi), la Ocean Viking (234) e la Geo Barents (572). I portavoce di Medici senza frontiere, che gestisce la Geo Barents, spiegano che dalla nave sono state inviate quattro richieste per un ‘place of safety’ a Malta ed una all’Italia senza ottenere risposta.

A Lampedusa si rinnova l’emergenza

Sono 1.221 i migranti alloggiati all’hotspot di Lampedusa. Nonostante i quotidiani sforzi della Prefettura di Agrigento per trasferire gli ospiti della struttura di prima accoglienza a Porto Empedocle, i padiglioni di contrada Imbriacola – che possono ospitare 350 persone – restano nel caos. Si attende di trasferire, con il traghetto di linea, 110 migranti.

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Lula da Silva torna alla presidenza del Brasile

Dopo il ballottaggio che gli riconosce la vittoria sul presidente uscente Bolsonaro, con un margine di 2 milioni di voti, Lula nel primo discorso ha dichiarato che la missione principale del suo mandato è combattere la fame in Brasile. Il professor Morlino, docente alla Luiss ed esperto di America Latina: “Nel Paese così profonde le diseguaglianze economiche, paragonabili al Sudafrica, che rendono comprensibile la polarizzazione palesatasi nel voto”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dal ballottaggio presidenziale che si è svolto ieri, esce vincitore il leader della sinistra, Luiz Inacio Lula da Silva che diventerà, dal 1° gennaio 2023, capo dello Stato brasiliano per la terza volta. Lula ha battuto l’attuale presidente Jair Bolsonaro (Pl, destra).  Il Tribunale superiore elettorale ha ufficializzato la vittoria: col 98,86 per cento del totale delle sezioni scrutinate, Lula ha ottenuto il 50,83 per cento dei voti (59.596.247), contro il 49,17 per cento di Bolsonaro (57.675.427).

Il primo discorso programmatico di Lula

“Se siamo il terzo produttore di cibo al mondo e il primo di carne, abbiamo il dovere di garantire che ogni brasiliano possa fare tre pasti e non dormire per strada”. Così Lula, nel suo primo discorso dopo il voto, parla di ruota dell’economia che tornerà a girare, di “salario giusto” e di “democrazia reale, concreta, con crescita economica ripartita in tutta la popolazione perché – dice – così la democrazia deve funzionare, non per perpetuare le diseguaglianze”. Critica “razzismo e pregiudizio”, annuncia libertà per tutte le religioni e politiche per l’inclusione delle donne, promette di governare per 215 milioni di brasiliani, affermando che “non ci sono due Paesi ma una sola grande nazione”. Di fatto si è trattato dell’elezione, con il voto il 2 ottobre e il ballottaggio domenica 30 ottobre, più polarizzata nella storia del Brasile.

Un ministero per i popoli originari

E poi lancia un messaggio all’esterno: si impegna con la comunità internazionale a promuovere partenariati ma – sottolinea – per un commercio globale “più equo”. Critica “gli accordi commerciali che a suo dire condannano il Paese ad essere “un eterno esportatore di merci e materie prime”. C’è anche l’impegno per l’Amazzonia: “Monitoreremo e sorveglieremo l’Amazzonia, dove combatteremo ogni attività illegale. Allo stesso tempo promuoveremo lo sviluppo sostenibile delle comunità dell’Amazzonia”, dice il neo presidente nel suo discorso di accettazione, impegnandosi a istituire un ministero per i popoli originari del Brasile, che sarà gestito da un indigeno.

Per Lula è il terzo mandato, dopo i due tra il 2003 e il 2011

Per Luiz Inacio Lula da Silva è il terzo mandato dopo i primi due dal 2003 al 2011, anno in cui ha passato il testimone alla compagna dello stesso Partito dei lavoratori Dilma Rousseff. Entrambi sono stati poi travolti dall’inchiesta per corruzione costata a Lula 580 giorni di prigione, prima dell’annullamento di tutte le sentenze a suo carico.

Un Paese sempre più segnato da diseguaglianze

Intanto il Paese è cambiato, come spiega il professor Leonardo Morlino, docente di Scienza della Politica all’Università Luiss ed esperto di America Latina:

Il Brasile – spiega il professor Morlino – vive una situazione di così profonde diseguaglianze economiche, paragonabili al Sudafrica, che giustificano in qualche modo la polarizzazione che si è palesata nel voto presidenziale. L’immagine è di un Paese spaccato a metà. Morlino sottolinea che Lula è stato presidente dal 2002 al 2010 e che rispetto a quel periodo oggi il gigante sudamericano si trova in una condizione di maggiore debolezza internazionale. Il Brasile esporta prevalentemente materie prime alimentari o energetiche (soia, ferro, petrolio), i cui prezzi sono estremamente volatili. Il suo principale cliente è la Cina, destinataria di una quota di export brasiliani ben superiore a quella del secondo maggior cliente, che sono gli Stati Uniti. Proprio Pechino e Washington, dunque, sono i due punti di riferimento tra i quali oscillano le relazioni internazionali del Brasile da anni. La Russia è il primo esportatore di fertilizzanti al mondo e a inizio millennio il presidente Putin poteva rappresentare una sponda per il Brasile ma dopo l’invasione dell’Ucraina tutto è cambiato, afferma l’esperto.

Il sogno dell’integrazione dell’America Latina

Secondo il professor Morlino, il contesto internazionale non lascia intravedere sviluppi in tema di auspicata integrazione dell’America Latina. Nessun Paese latinoamericano ha le potenzialità o la stabilità per esercitare una leadership regionale, per non parlare delle conseguenze economiche del Covid-19, della guerra d’Ucraina e del rialzo dei tassi negli Stati Uniti, che sono tutti fattori negativi per tutti. Dagli elettorati, più del sostegno convinto alle proposte di alcuni partiti, sembra emergere l’insoddisfazione per i leader in carica.

L’estremizzazione lontana dalla cultura locale

Il professor Morlino mette in luce quanto l’evidente processo di continua polarizzazione del discorso politico in Brasile, legato alle profonde spaccature all’interno del Paese, segni un allontanamento dalla secolare e tradizionale cultura brasiliana riassunta anche dal termine jeitinho. Si tratta in realtà di un concetto complesso che può avere sfumature anche negative sotto l’aspetto dell’arte di arrangiarsi, ma che incarna senza dubbio l’idea di un carattere improntato alla morbidezza del linguaggio, al rifiuto dell’estremismo, all’attitudine all’accordo. Tutto questo – afferma Morlino – ha aiutato finora il livello di coesione raggiunto da decenni nel vasto Paese. E la perdita, a vantaggio dell’esasperazione generale della popolazione, potrebbe significare il rischio di un’escalation di tensioni.

Silenzio stampa di Bolsonaro

Sconfitto al ballottaggio, il presidente uscente del Brasile Jair Messias Bolsonaro sta finora mantenendo il silenzio senza pronunciarsi sul risultato delle elezioni. Il leader di destra “non risponde alle telefonate di nessun alleato politico”, hanno riferito ai media alcuni suoi collaboratori. Nessuna dichiarazione neanche da parte dei suoi figli, in particolare di Eduardo Bolsonaro, che cura la sua comunicazione sui social, sottolinea la stampa locale. Entrato in politica nel Partito Cristiano-Democratico di posizioni fortemente conservatici, poi approdato in diverse formazioni della destra brasiliana, Bolsonaro è stato eletto per la prima volta in Parlamento nel 1991 a Rio de Janeiro, occupando un seggio che da allora ha continuato a detenere.

Il primo capo di Stato della sesta Repubblica non rieletto

Nel corso della sua carriera parlamentare a Brasilia, Bolsonaro si è distinto per i suoi interventi in difesa del potere militare, per le proposte per la reintroduzione della pena di morte abolita nel 1988, per proposte choc come quella del 2008 per la risoluzione del problema della povertà attraverso la sterilizzazione degli indigenti. Bolsonaro ha visto trasformate in leggi dello Stato solo due delle 173 proposte presentate in Parlamento nei suoi 27 anni di attività parlamentare. Nel 2014 è stato rieletto come deputato più votato di Rio de Janeiro con 464 mila voti per poi diventare una figura centrale nella politica brasiliana fino alla presidenza del Paese dal 2018. è il primo presidente della recente fase storia del paese definita della sesta Repubblica, a presentarsi per un secondo mandato e a non essere rieletto.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/brasile-presidente-lula-bolsonaro-fame-materie-prime.html

 

Tra i finalisti del Premio europeo Caruana Galizia

Il video reportage “La discarica della vergogna”, firmato da Fausta Speranza con la regia di Stefano Gabriele e pubblicato sul sito www.MeridianoItalia.tv il 22 febbraio 2022,  e’ tra i 10 finalisti del Premio Daphne Caruana Galizia 2022 del Parlamento europeo.  Il 19 ottobre prossimo a Strasburgo si svolge la cerimonia di premiazione, in ricordo della giornalista maltese uccisa nel 2017 per le sue denunce di delitti ambientali e corruzione.
Questo il link per rivedere il reportage “La discarica della vergogna”:
https://www.meridianoitalia.tv/index.php/ambiente/460-la-discarica-della-vergogna

Tante e vive le testimonianze del carisma scalabriniano

In vista della canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini il 9 ottobre a Piazza San Pietro, da tutto il mondo emergono storie di straordinario impegno nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti. I frutti dell’esempio del vescovo fondatore delle congregazioni di san Carlo Borromeo emerge nelle parole della Superiora, Suor Neusa de Fatima Mariano, e nei racconti di suor Lina Guzzo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Attualità ed essenzialità del carisma delle Congregazioni dei Missionari di San Carlo Borromeo e delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane sono emerse questa mattina nella conferenza stampa tenutasi all’Istituto Maria Bambina di Roma. Tra i partecipanti, il postulatore padre Graziano Battistella ha chiarito che il miracolo riconosciuto a Scalabrini riguarda la guarigione di una suora che soffriva di cancro. Il Papa – ha ricordato – è stato d’accordo nel riconoscere la santità anche in presenza di un solo miracolo, indicando la via della dispensa per il secondo miracolo di solito previsto e consultando tutti i cardinali. Monsignor Benoni Ambarus, Segretario della Commissione Episcopale per le migrazioni della Cei, ha messo in luce tutto l’apprezzamento dei vescovi italiani per l’impegno missionario sulla scia del carisma scalibriniano e l’importanza della felice collaborazione in atto.  E’ poi intervenuto monsignor Pierpaolo Felicolo, Direttore generale della Fondazione Migrantes. Accanto a Padre Leonir Chiarello, Superiore Generale dei Missionari di San Carlo Borromeo Scalabriniani, ha spiegato come la presenza degli scalabriniani sia focalizzata in particolare sulla seconda fase di accoglienza: dopo l’emergenza dell’arrivo, è importante un impegno di più ampio respiro. La missionaria Giulia Civitelli ha ricordato l’esperienza dei missionari secolari.

Un carisma più attuale che mai

Giovanni Battista Scalabrini, vescovo fondatore delle congregazioni dei missionari e delle suore di san Carlo Borromeo, è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 9 novembre 1997 e domenica 9 ottobre prossima sarà canonizzato con una cerimonia a San Pietro. Profondamente colpito dal dramma di tanti italiani costretti ad emigrare negli Stati Uniti e nell’America del Sud alla fine dell’‘800, non resta indifferente: sensibilizza la società e manda i suoi missionari e le sue missionarie per aiutare e sostenere gli emigranti nei porti, sulle navi e all’arrivo nei nuovi Paesi. La sua canonizzazione  aiuta a comprendere come la comunità cristiana debba ancora oggi essere impegnata nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti in vista di una società più fraterna.

Un faro per chi guarda all’umanità sofferente

È considerato dunque un padre per tutti i migranti e i rifugiati. Così lo ricorda suor Neusa de Fatima Mariano, Superiora della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane: “ad oltre un secolo dalla morte di Giovanni Battista Scalabrini – sottolinea  suor Neusa – la sua vita è ancora un faro per chi nel mondo è al servizio dell’umanità più sofferente: quella migrante. Dopo aver fondato nel 1887 i Missionari di San Carlo Borromeo – spiega –  il Vescovo di Piacenza sapeva che la loro opera era incompleta, specialmente nel Sud America, senza l’aiuto delle Suore”. Sostenuto dalla Beata Assunta Marchetti e dal Servo di Dio padre Giuseppe Marchetti, nel 1895 dà vita alla Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo, riconoscendo il grande valore che le donne consacrate potevano portare al suo progetto missionario nel mondo.

Il volto femminile della missione

Siamo l’espressione del volto femminile del carisma scalabriniano rivolto ai migranti, afferma suor Neusa. “Abbiamo una sensibilità particolare, sentiamo e capiamo tutti i disagi che una donna può vivere nel viaggio migratorio, viaggio che rende le donne e i bambini più fragili e vulnerabili”. “Sono nata in Brasile – racconta – e ho lavorato per molti anni con i bambini e i ragazzi, nella formazione cristiana; ero catechista nella mia parrocchia e appartenevo ai gruppi giovanili, ma c’era nel mio cuore il desiderio di fare qualcosa di più grande e di consegnare tutta la mia vita al servizio di Dio. Ho fatto delle ricerche sulle congregazioni presenti nella zona di San Paolo e mi hanno colpito molto le suore scalabriniane. Le ho incontrate ed erano veramente felici e accoglienti. Ho sentito che quello era il luogo dove il Signore mi chiamava. In seguito, ho conosciuto la spiritualità di Scalabrini, la sua capacità di vedere nei migranti il Signore e di lavorare per il loro bene. Sono diventata così una suora scalabriniana a 21 anni. Una delle mie prime missioni è stata nelle periferie di San Paolo, nelle favelas. Incontravamo i migranti e mi sorprendeva la loro speranza, il loro coraggio e la fiducia che avevano nel Signore, in vista di una vita migliore. Aprivano le loro case e nella semplicità offrivano quello che avevano, nonostante la loro situazione di povertà. Ci raccontavano – prosegue suor Neusa – la loro storia, le sofferenze vissute nel percorso della migrazione. Nel mio essere suora scalabriniana è sempre stato importante fare il primo passo verso l’altro, ascoltarlo, entrare in comunione profonda con la loro realtà; gioivo quando vedevo che le persone uscivano dal loro isolamento, dalla loro tristezza”.

Un impegno mondiale

“Siamo presenti in 27 Paesi con oltre 100 missioni animate dalla spiritualità di Scalabrini”,  ricorda la Superiora sottolineando: “In ogni persona vediamo un figlio di Dio e cerchiamo di vivere il mistero dell’Incarnazione nelle varie realtà della migrazione. La nostra scelta è quella di rivolgerci in modo particolare alle donne e ai bambini rifugiati, essere migranti con i migranti, compagne nel loro cammino”.

Una casa di accoglienza a Roma

Si chiama Chaire Gynai, che in greco significa ‘Benvenuta, donna’, la casa aperta a Roma. La Superiora suor Neusa racconta che nell’abbraccio di una mamma che la ringraziava ha sentito lo scopo della missione: “offriamo loro la possibilità di una vita che riconosca la loro dignità e apra strade verso nuove opportunità”. Il carisma scalabriniano nel mondo è testimoniato attraverso le azioni socio- pastorali, si manifesta nella solidarietà con chi vive il dramma della migrazione, tutto mira a creare comunione, essere sorelle con, per e tra i migranti e i rifugiati. In questi ultimi anni è nato il progetto specifico del ‘Servizio Itinerante’, presente nei luoghi di frontiera, dove c’è più sofferenza: a Roraima in Brasile, nel confine settentrionale e meridionale del Messico, a Ventimiglia in Italia e a Pemba in Mozambico”.

Saper ascoltare e cambiare

“La migrazione arriva – mette in luce suor Neusa – e porta con sé dei cambiamenti strutturali: accogliere i migranti è avere questa capacità di ascolto. Aprirsi all’altro implica di condividere il nostro spazio, le nostre città, ma anche saper valorizzare la bellezza che ognuno porta in sé. Entrare in relazione con i migranti significa anche sapersi commuovere davanti al dolore, così come ha fatto Scalabrini vedendo gli emigranti italiani partire verso l’America. Noi donne – aggiunge – siamo molto più sensibili alla sofferenza degli altri. A partire dal nostro modo di essere donna, cerchiamo di far rifiorire la creatività scalabriniana con i migranti e i rifugiati che non trovano risposte alle loro problematiche, alle loro ferite e cerchiamo di accompagnarli nel loro cammino come fa Gesù, il buon samaritano. Il dolore dei migranti diventa anche il nostro dolore, così pure anche la loro speranza è la nostra speranza. Questo ci ha insegnato Scalabrini”.

Il valore della canonizzazione

“Scalabrini era innamorato del mistero dell’Incarnazione di Dio – chiarisce suor Neusa – e contemplava continuamente il Figlio di Dio che si fa uomo per rivelare l’amore del Padre e per riconsegnare a Lui l’umanità rinnovata. Era un uomo tutto di Dio e per Dio. Ha fatto tesoro della cultura dei migranti, della ricchezza che portavano con sé, al punto di dire: ‘Nel migrante io vedo il Signore’. Abbiamo ricevuto questa eredità, un carisma per il tempo di oggi. Quando leggiamo i suoi scritti, ci accorgiamo che sono ancora attuali. Era anche un uomo d’azione: ha saputo coinvolgere la Chiesa, lo Stato, i laici, i missionari, noi suore scalabriniane affinché tutti potessero fare la loro parte. È bello che la sua canonizzazione arrivi in questo tempo forte di migrazioni. È un segno importante che il Papa vuole dare a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità, una chiesa che accoglie e cammina con i migranti e i rifugiati”.

Suor Lina Guzzo,  missionaria scalabriniana di 57 anni, oggi vive a Messina aiutando la comunità dello Sri Lanka e delle Filippine ad integrarsi, Il suo racconto comincia ribadendo che “ogni migrante è figlio di Dio”: “È il 2016 – riferisce suor Lina – quando due fratelli, Ahmed e Fadil (nomi di fantasia), arrivano al porto di Reggio Calabria, dopo essere stati soccorsi in mare dalla Guardia Costiera. Fadil ha solo 15 anni, è stato picchiato, ha ferite e lividi in tutto il corpo e deve essere portato in ospedale, ma lui non vuole. Sa che se lascia ora suo fratello maggiore, verrà trasferito chissà dove e non lo rivedrà più. È in questo momento di disperazione che Fadil incontra suor Lina Guzzo, missionaria scalabriniana. “Non ti preoccupare, vengo in ospedale con te”, dice suor Lina. Per tutta la notte, Fadil piange disperato, mentre suor Lina chiama ripetutamente la Guardia Costiera per essere sicura che Ahmed non venga trasferito in qualche struttura. “Le mie braccia erano segnate dalle sue unghie, mi stringeva e mi ripeteva di non allontanarmi”, ricorda suor Lina.   Al mattino Fadil viene dimesso e suor Lina lo accompagna al porto. Ahmed non si è mosso da lì per tutta la notte. I due fratelli si abbracciano, si baciano, piangono di gioia. “Tutti avrebbero dovuto essere testimoni di quel momento, anche qualche politico. Questi ragazzi avevano affrontato l’abbandono della loro famiglia, il viaggio lungo il deserto, il carcere in Libia, la violenza, la morte in mare dei loro compagni e poi, una volta che sembrava che ce l’avessero fatta, la paura di non rivedersi più. In quell’abbraccio c’era tutta l’umanità, c’era tutta la speranza di una nuova vita. A volte basterebbe avere il rispetto del dolore altrui. Sotto quella pelle di altro colore, c’è il grande dono di una vita ricevuta, ci sono dei figli di Dio”, racconta suor Lina, che da missionaria ha trascorso 57 anni a fianco di chi emigra: dagli italiani in Svizzera, ai profughi del Kosovo in Albania e ai migranti africani in Portogallo e in Italia”.

Senza nessuna barriera

“Non importa se sono cattolici o musulmani o indù – ribadisce suor Lina – hanno una fede, credono in qualcuno al di sopra di loro che è presente nella loro vita. Noi abbiamo ricevuto dal vescovo e santo Giovanni Battista Scalabrini il carisma di servire i migranti, dobbiamo conoscere l’umanità per poterla accompagnare e conoscere noi stesse per essere davvero missionarie con queste persone”.

L’esperienza in Calabria

Per anni suor Lina è stata “l’animatrice del porto di Reggio Calabria”. Così la chiamavano i volontari che insieme a lei e alle altre sorelle accoglievano i migranti. Di questa esperienza racconta: “Sbarcavano anche 900 persone in un giorno, molti erano minori non accompagnati. La sera prima ci avvisavano del loro arrivo e noi ci facevamo trovare all’alba cariche di ciabatte, vestiti, brioches, succhi di frutta. Davamo loro la mano e chiedevamo della loro famiglia. Con i gesti ci si capiva e provavamo a togliere loro di dosso la paura. Spesso non sapevano neanche dove si trovavano. Trascorrevo il giorno e la notte con loro nelle tende o in ospedale”. Suor Lina ricorda un giorno in cui passava tra i ragazzi appena sbarcati distribuendo dei viveri. “Uno di loro mi guardava con gli occhi sbarrati e ripeteva: “Ho fame”. Erano assetati e affamati, ma io avevo appena terminato le brioches. Ero molto dispiaciuta e un suo compagno di viaggio allora mi disse in portoghese: “Mamma, non ti preoccupare perché da oggi noi mangiamo la libertà”. Questa frase è rimasta come pietra scolpita nel mio cuore e mi ha fatto capire quanto è importante per loro arrivare qui, in Paesi democratici, e costruire una vita dignitosa”.

La guerra in Kosovo

Gli anni più difficili sono stati quelli della guerra in Kosovo. Le suore missionarie scalabriniane hanno accolto i profughi nella loro casa in Albania, a Scutari: “Ospitavamo 50 persone, 36 erano minori. Ho dovuto riconoscere persone uccise con la testa piena di pallottole. Ho assistito alla morte di donna, madre di un bambino piccolo, a cui hanno sparato alla schiena. Quando è arrivato il marito, ho pensato: “Adesso cosa faccio, mio Dio?”. Ma dopo lo sconforto  e anche la paura – assicura suor Lina – arriva la fede, la consapevolezza che non finisce tutto così: “C’è un Dio che ti dà la forza di andare avanti nella tua vocazione”.

Un pensiero personale: “Sono vicepostulatrice della canonizzazione e sono riconoscente a Papa Francesco che ha scelto di dare alla Chiesa un modello come Scalabrini. È un regalo grande che Dio fa ai migranti, agli scartati, ai rifiutati dal mondo che hanno bisogno di essere accolti e di ricevere il confronto della fede”.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-10/canonizzazione-scalabrini-carisma-missione-migranti-rifugiati.html

Il dramma delle morti silenziose nel Mediterraneo nel report delle Nazioni Unite

Nel nono anniversario del naufragio di Lampedusa, rimasto simbolo delle disperate traversate per mare di migranti e rifugiati, il bilancio di quanti hanno perso la vita sulla rotta del Mediterraneo somiglia a un bollettino di guerra. Si parla di 25 mila vittime dopo i fatti del 3 ottobre 2013 che, con 368 morti accertati, sembravano aver scosso le coscienze. Tante le iniziative degli organismi Onu

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Quasi 25 mila migranti e rifugiati hanno perso la vita in soli nove anni nel Mediterraneo. L’84 % delle vittime si registrano precisamente sulla rotta del Mediterraneo centrale, che si conferma come una delle più attive e pericolose a livello globale. Nel 2022 si contano già 1.400 persone morte o disperse. I bilanci emergono in un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato alla vigilia del 3 ottobre, Giornata Nazionale della Memoria e dell’Accoglienza, anniversario del naufragio del 2013 al largo di Lampedusa costato la vita di 368 persone, tra cui 83 donne e nove bambini.

Da Lampedusa il grido delle Nazioni Unite

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), l’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR), e il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) sono presenti oggi a Lampedusa con il Comitato 3 Ottobre, le organizzazioni della società civile, i rappresentanti delle istituzioni governative locali, nazionali ed europee per ricordare tutti coloro che hanno perso la vita nel tentativo disperato di trovare sicurezza e protezione in Europa. Le organizzazioni hanno inoltre aderito alle attività organizzate dal Comitato 3 Ottobre nell’ambito del progetto Welcome Europe.

L’appello ai governi

“È inaccettabile che bambini, donne e uomini, persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, continuino a perdere la vita nel Mediterraneo”, denuncia Chiara Cardoletti, rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “L’Europa deve dotarsi di un meccanismo più prevedibile e efficiente guidato dagli Stati per la ricerca e il salvataggio in mare e fare in modo che chi arriva in cerca di protezione possa trovarla e ricostruire la propria vita in dignità”.

In attesa che un tale meccanismo sia creato e implementato, OIM, UNHCR e UNICEF ribadiscono come sia prezioso il lavoro di soccorso in mare effettuato dalla Guardia Costiera Italiana, dalle Ong e dai comandanti delle navi commerciali. Le Organizzazioni delle Nazioni Unite tornano a sottolineare l’importanza di ampliare i canali sicuri e regolari di asilo e migrazione per garantire alternative sicure all’attraversamento in mare.

“Alla luce del continuo numero di tragedie alle quali ancora assistiamo,  in questa giornata è importante ribadire come la salvaguardia della vita umana sia prioritaria rispetto a tutte le altre considerazioni afferenti la gestione del fenomeno migratorio e che il soccorso di persone in difficoltà è un principio fondamentale di umanità e solidarietà, e che deve essere supportato e promosso a tal fine sia il lavoro degli Stati sia il prezioso contributo delle Ong presenti nel Mediterraneo”, afferma Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento OIM per il Mediterraneo.

L’emergenza nell’emergenza dei minori

Secondo Sarah Martelli, coordinatrice Unicef per la risposta in Italia ad interim, “resta inoltre necessario continuare ad assicurare un sistema in grado di identificare tempestivamente le categorie più vulnerabili che arrivano in Italia, tra cui minori stranieri non accompagnati, sopravvissute/i alla violenza di genere e vittime di tratta, e garantire che chi ha subito maltrattamenti e abusi venga indirizzato verso un’assistenza specializzata”. “Ancora oggi – aggiunge Martelli – tra rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo Centrale contiamo molti minorenni, tra cui tante ragazze, spesso tra i soggetti più esposti al rischio di sfruttamento e violenza. Un’accoglienza adeguata, la presa in carico dei casi più vulnerabili, il reinserimento scolastico e l’inclusione sociale, compreso il contrasto alla discriminazione, restano la chiave per consentire loro un nuovo percorso nella società d’accoglienza”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/migranti-rifugiati-onu-lampedusa-naufragio-morti-mediterraneo.html

Indonesia, tragedia ad una partita di calcio

I tifosi provocano una rissa al termine di una competizione calcistica a Malang, nella provincia di Giava orientale: nella calca perdono la vita quasi 200 persone. Il presidente parla di misure di sicurezza da rivalutare in modo approfondito

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sono almeno 182 i morti nello stadio di Malang, nella provincia di giava orientale, in Indonesia. Secondo quanto riportano i media locali, i tifosi dell’Arema FC hanno preso d’assalto il campo dopo che la loro squadra aveva perso 3-2 contro il Persebaya Surabaya. Gli agenti della polizia hanno cercato di convincere i tifosi a tornare sugli spalti sparando gas lacrimogeni. Si è scatenata una fuga generale e una calca impressionante.

L’intervento del presidente

Il capo dello Stato indonesiano, Joko Widodo, ha ordinato una revisione del piano di sicurezza per le partite di calcio. Il ministro dello Sport e della Gioventù, il capo della polizia nazionale e il capo dell’associazione calcistica indonesiana hanno ricevuto l’ordine di “condurre una valutazione approfondita”, ha assicurato Widodo in una dichiarazione televisiva.

Precedenti drammatici

Sono tanti gli episodi in divrsi stadi nel mondo finiti in tragedia. Alcuni si distinguono per l’alto numero di vittime. Tra questi: in Perù, 24 maggio 1964, 320 persone sono rimaste uccise e più di mille ferite nella calca durante le qualificazioni olimpiche di Perù-Argentina allo Stadio Nazionale di Lima. I tifosi che non sono riusciti a sfuggire sono stati calpestati o asfissiati.

In Scozia, il 2 gennaio 1971, 66 persone sono morte travolte nella calca all’Ibrox Stadium durante un derby tra Rangers e Celtic. È stato  il secondo disastro dello stadio, dopo il crollo di una tribuna nel 1902, che aveva causato 26 vittime. In Egitto la prima tragedia il 17 febbraio 1974: 48 persone sono morte e 47 sono rimaste ferite quando 80.000 persone si sono stipate in uno stadio con una capacità di 40 mila.

In Russia, il 20 ottobre 1982, al termine di una partita di Coppa Uefa, tra lo Spartak Mosca e gli olandesi dell’Haarlem, allo Stadio Luzniki, a causa di una calca nella tromba delle scale. ufficialmente sono rimaste uccise 66 persone, di cui 45 adolescenti. Secondo il quotidiano Sovietski Sport, il numero di vittime è stato di 340 morti. In Inghilterra, l’11 maggio 1985, 56 persone sono rimaste uccise a causa di un incendio divampato sugli spalti in legno durante una partita tra Bradford e Lincoln City.

In Belgio, il 29 maggio 1985, 39 morti allo stadio Heysel di Bruxelles quando i tifosi della Juventus hanno tentato di fuggire dai tifosi del Liverpool. Ancora in Inghilterra, il 15 aprile 1989, una calca sugli spalti dell’Hillsborough Stadium di Sheffield Wednesday ha provocato la morte di 97 tifosi durante la semifinale di FA Cup tra la squadra del Liverpool e il Nottingham Forest.  In Guatemala, il 16 ottobre 1996, circa 80 spettatori hanno perso la vita dopo essere stati schiacciati dai tifosi che si erano ammassati in una tribuna dello Stadio Nazionale Mateo Flores per la qualificazione alla Coppa del Mondo che si sarebbe disputata nel 1998 tra Guatemala e Costa Rica.

In Sudafrica Il 13 gennaio 1991, 40 morti in una mischia durante la partita Orlando Pirates-Kaizer Chiefs. In Francia, il 5 maggio 1992: 18 morti e oltre 2.300 feriti per il crollo di una terrazza dello stadio Furiani in Corsica. Ancora il Sud Africa vive un secondo dramma l’11 aprile 2001: 43 persone hanno perso la vita nella calca allo stadio Ellis Park di Johannesburg durante una partita tra gli Orlando Pirates e i Kaizer Chiefs. In Ghana, il 9 maggio 2001, 126 persone sono morte ad Accra al termine di una partita tra Hearts of Oaks e Kumasi, quando i tifosi del Kumasi, infuriati per la sconfitta della loro squadra, hanno lanciato proiettili e rotto sedie. La polizia ha lanciato granate lacrimogene. Si è scatenato un fuggi fuggi letale.

Seconda tragedia in Egitto il 1° febbraio 2012, questa volta nello stadio di Port Said: 74 morti dopo gli scontri tra le tifoserie rivali del club locale Al-Masry e dell’Al-Ahly del Cairo. In Camerun, il 24 gennaio 2022: otto persone sono state uccise e decine di altre ferite in una calca prima della partita di Coppa d’Africa tra i padroni di casa del Camerun e le Comore, a Yaoundé.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/giava-orientale-stadio-morti-calca-calcio-tifosi.html