Nuovo slancio al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

Il cardinale prefetto Michael Czerny e il segretario suor Alessandra Smerilli hanno incontrato i giornalisti per illustrare i nuovi assetti della struttura alla luce della “Praedicate evangelium”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Servire lo sviluppo umano significa anche lavorare raggiungendo tutti. Così il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha sottolineato questa mattina in sala Stampa vaticana come sia stato importante riorganizzare il Dicastero, nato nel 2017, alla luce della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, promulgata il 19 marzo scorso da Papa Francesco. Si tratta di riflettere il “volto” di una Curia romana sempre più missionaria, a servizio delle Chiese particolari in un’ottica di rafforzata collegialità e nello spirito della sinodalità ecclesiale. E, ha spiegato il cardinale Czerny, l’obiettivo è che chiunque e ovunque possa sentire che “la Chiesa cammina con chi è in difficoltà”. Una riorganizzazione di cui suor Alessandra Smerilli, segretario del Dicastero stesso, sottolinea innanzitutto la fase iniziale di riflessione. “Ore e ore – dice – a pensare in che modo rispondere alle sfide”.

“Il punto di partenza è l’ascolto, per comprendere le sfide e i bisogni dell’ampio spettro che la nuova Costituzione voluta da Papa Francesco ci assegna: tutte le questioni sociali, compresa la questione della nostra casa comune”. Per questo, spiega, è stato dedicato tanto tempo alla riflessione. C’è stato anche bisogno di consulenze esterne – afferma la religiosa – per una buona valutazione degli strumenti e delle competenze necessari.

Il sussidio di tre sezioni

Dopo le indicazioni della Praedicate evangelium, sottolinea suor Smerilli, il Dicastero è ora organizzato in tre sezioni principali: ascolto e dialogo, ricerca e riflessione,  comunicazione e restituzione. La prima sezione, ascolto e dialogo, “è un ponte con le Chiese locali e con i vari ministri che all’interno di essere promuovono lo sviluppo”. Tutto ciò che passa in questa sezione,  spiega la religiosa, confluisce nella seconda sezione, ricerca e riflessione, “che cerca risposte alle sfide facendo ricorso alle discipline scientifiche correlate ad esse e alla dottrina sociale della Chiesa”.

Infine, c’è la terza sezione, denominata comunicazione e restituzione, che si propone come obiettivo quello di “far diventare la ricerca e la riflessione proposte concrete, documenti da restituire alle comunità e da condividere attraverso una comunicazione fatta di ascolto”. A supporto delle tre sezioni, c’è un’area amministrativa e una segreteria, cui si affianca un gruppo di valutazione e di progettazione, “per dare dinamicità al flusso continuo che emerge dal lavoro delle tre sezioni, affinché non rimangano solo parole”. Ci sono,  inoltre,  questioni specifiche  o urgenze come è accaduto  – ricorda –  per la Commissione Covid-19. Questioni che richiedono una risposta pronta anche se “non rientrano in caselline precise”.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-09/dicastero-sviluppo-umano-servizio-czerny-suor-smerilli.html

Istruzione e conoscenza in tema di migranti

Scambi di esperienze concrete, dall’Ucraina all’Iraq degli yazidi, hanno caratterizzato i workshop dell’incontro “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Gregoriana. E’ fondamentale ricordare di far parte di un’unica famiglia umana, raccomanda padre Thomas Smolich, direttore del Refugee Jesuit Service. Il 29 settembre l’udienza dei partecipanti con il Papa

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Con l’intervento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, si concludono oggi i tre giorni di lavori dell’incontro internazionale intitolato “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Pontificia Università Gregoriana. Il 29 settembre, a conclusione, l’udienza dei partecipanti dal Papa.

Dei significati del termine istruzione abbiamo parlato con il Direttore Internazionale del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, padre Thomas Smolich:

L’istruzione è fondamentale per costruire il proprio futuro di autonomia, ma anche per imparare a riconoscersi parte di un’unica famiglia umana. Così il direttore del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (Refugee Jesuit Service), padre Smolich, chiarisce l’importanza di non lasciare che migranti e rifugiati rimangano fuori da percorsi formativi, ma sottolinea anche come tutti abbiamo da imparare dalle situazioni di coloro che devono abbandonare le proprie case.

Il caso ucraino

Padre Thomas mette in luce come in Europa ci sia stata grande disponibilità da parte di tutti nei confronti dei profughi ucraini, sottolineando che la vicinanza e il relativo coinvolgimento hanno favorito la comprensione. “Conoscere le situazioni e incontrare le persone – spiega – spinge a porgere la mano”. Dunque, padre Thomas auspica che questa drammatica situazione della guerra in Ucraina possa aiutare tutti a ricordare che altre guerre e conflitti lacerano il vissuto di altre persone, costrette alla fuga. In definitiva, aggiunge, si tratta di comprendere che tutti facciamo parte della stessa famiglia umana.

Gli yazidi da non dimenticare

Padre Thomas ricorda come il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati sia presente in diverse zone del mondo, tra cui Ucraina, Iraq e Afghanistan. Guardando oltre la drammatica emergenza nell’Europa dell’est, padre Thomas ricorda la situazione della minoranza yazida, vittima di atroci persecuzioni da parte del sedicente Stato islamico. Testimonia di come ci sia ancora molto bisogno di assistenza per tante persone dopo eccidi e violenze, ribadendo ancora una volta l’importanza di assicurare l’integrazione a scuola o comunque l’insegnamento.

Tra Repubblica Democratica del Congo e Zambia

L’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) ha reso noto che a partire dal dicembre 2021, con la collaborazione dei governi dello Zambia e della Repubblica Democratica del Congo, circa 6.000 rifugiati congolesi sono stati aiutati  a ritornare a casa. I rifugiati erano fuggiti dagli scontri politici e interetnici nella regione sudorientale della RDC nel 2017 e avevano trovato accoglienza nello Zambia. E per i bambini nati nello Zambia, che rappresentano circa il 60 per cento dei rifugiati, è stato spiegato, il ministero dell’Istruzione ha emesso il nullaosta al trasferimento degli scolari,  permettendo loro di proseguire i loro studi nel Congo.

La riconferma di Grandi all’UNHCR

L’Assemblea Generale dell’Onu, su raccomandazione del Segretario generale Antònio Guterres, ha confermato Filippo Grandi per un secondo mandato come Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Grandi rimarrà alla guida dell’Unhcr per altri due anni e mezzo, dal 1 luglio 2023 sino al 31 dicembre 2025. Guterres voleva chiedere all’Assemblea Generale di eleggere Grandi per un secondo mandato di cinque anni, ma l’Alto Commissario ha preferito dare il suo consenso, per motivi personali, al termine più breve.  Prima di essere a capo dell’Unhcr, Grandi è stato impegnato nella cooperazione internazionale per oltre 30 anni, concentrandosi sui rifugiati e sul lavoro umanitario. Ha servito come Commissario generale dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, Unrwa, dal 2010 al 2014, e prima è stato vice commissario generale dell’organizzazione dal 2005. Prima ancora, ha servito come vice rappresentante speciale del Segretario generale in Afghanistan.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-09/rifugiati-migranti-unhcr-gesuiti-famiglia-umana.html

Czerny: no a una narrativa negativa sui migranti

La responsabilità di agire per assicurare l’istruzione a rifugiati e sfollati e favorire la comprensione del fenomeno delle migrazioni al centro dell’intervento del cardinale prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano all’incontro “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Gregoriana. Tra i partecipanti, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

I governi, gli operatori, le comunità, la Chiesa hanno responsabilità complementari nell’obiettivo di assicurare un’istruzione di qualità a coloro che sono stati sradicati dalle proprie case: così il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano, all’incontro internazionale intitolato “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti”, che si è aperto oggi alla Pontificia Università Gregoriana e che si concluderà giovedì 29 settembre con l’udienza dei partecipanti dal Papa. Nel sottotitolo, l’invito ad andare “in profondità” e “insieme”. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, interverrà al termine dei lavori il 28 pomeriggio. Tra gli interventi previsti nel pomeriggio della prima giornata, anche quello del  Direttore Internazionale del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, padre Thomas Smolich.

Si tratta di un dialogo tra rappresentanti del mondo accademico, di Ong, di agenzie internazionali che si occupano di migranti, rifugiati, sfollati, in particolare in relazione al tema scelto dell’istruzione e alla visione generale ispirata dai sottotitoli: “In movimento – Immersi – Insieme”. Nei vari workshop previsti intervengono anche rappresentanti di studenti e tra i temi affrontati c’è anche quello concreto dei contesti familiari.

Che significa dire “insieme”

Il cardinale Czerny ha iniziato e concluso il suo intervento soffermandosi sulla parola “insieme”, sottolineando che “solo attraverso sforzi congiunti possiamo realizzare e sostenere opere fondamentali di giustizia, compassione e dignità umana: restituire ai migranti e ai rifugiati ciò che hanno perso lasciando – fuggendo o dislocati con la forza – i loro luoghi di origine”. Serve, ricorda il prefetto, “una chiara missione e generosità di spirito” .

Ci sono “molte buone pratiche sviluppate da organizzazioni cattoliche che potrebbero e dovrebbero essere replicate”. Così il cardinale  ne ricorda alcune: fornendo istruzione attraverso le tecnologie e l’apprendimento a distanza;  le borse di studio per rifugiati e migranti che consentiranno loro di prosperare e crescere.

L’obiettivo comune

La finalità deve essere chiara: “Offrire a coloro che sono stati sradicati dalle loro case, l’opportunità di un’istruzione di qualità per diventare uomini e donne per gli altri, fratelli tutti, custodi della nostra casa comune”. Nel concreto, per “promuovere percorsi formativi che portino all’autosostentamento delle persone migranti”.

Lo scandalo di una narrativa negativa

Dalle parole del cardinale Czerny emerge l’importanza del contributo che proprio il mondo delle Università possono dare per una narrativa   intorno alle migrazioni diversa da quella negativa che troppo spesso si impone. E l’avvertimento è per tutti: “Non trascuriamo lo scandalo dell’ostilità nei confronti di rifugiati e migranti, può sorgere ovunque, anche nelle comunità cattoliche e accademiche di tutto il mondo”. Precisamente, citando l’Enciclica del Papa, il cardinale raccomanda “una valutazione sana e onesta delle cause profonde della migrazione forzata contemporanea, evidenziando le responsabilità dei paesi leader, controbilanciando una comprensione ristretta del bene comune e della giustizia distributiva, con nuove valutazioni etiche: il bene di tutta l’umanità, come in Fratelli tutti”.

Questione di risorse

Il quadro richiamato dal prefetto è essenziale: alcuni Paesi non hanno le risorse per fornire istruzione ai propri cittadini, tanto meno ai nuovi arrivati poveri. Altri Paesi, sebbene dotati di risorse migliori, adottano politiche che impediscono o ritardano l’accesso all’istruzione da parte dei nuovi arrivati. Altri erigono barriere finanziarie. Inoltre, i rifugiati di solito non hanno la libera circolazione necessaria per sfruttare le opportunità di formazione e istruzione. Il punto è che l’istruzione deve essere offerta in molti luoghi e circostanze: idealmente in istituzioni preposte, ma anche nei campi e in contesti urbani marginali, dove attualmente vive metà della popolazione rifugiata.

Strumenti utili già collaudati

Ci sono “molte buone pratiche sviluppate da organizzazioni cattoliche che potrebbero e dovrebbero essere replicate”. Così il cardinale  ne ricorda alcune: fornendo istruzione attraverso le tecnologie e l’apprendimento a distanza;  le borse di studio per rifugiati e migranti che consentiranno loro di prosperare e crescere.

Tra analisi e comprensione

Secondo il prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, è importante “affrontare i problemi non in un quadro deduttivo derivato da fonti dottrinali, ma attraverso un’analisi induttiva degli eventi”. Significa – chiarisce – “affidarsi veramente all’aiuto dello Spirito per individuare nuove strade e scelte coraggiose”. “L’educazione ridotta a mera istruzione tecnica, o mera trasmissione di informazioni, diventa un’educazione alienata e frammentata. Credere di poter trasmettere la conoscenza senza preoccuparsi della sua dimensione etica è essenzialmente abbandonare il compito di insegnare”.

La responsabilità di risposte adeguate

“Non esiste una soluzione univoca e universale alle difficoltà poste dalle realtà sociali odierne”: così il cardinale Czerny mette in luce tutto il valore dello studio e della ricerca continui che servono per trovare risposte adeguate alle complessità. E questo vale per “ogni comunità cristiana nel proprio specifico contesto”. Da qui, l’importanza di porsi alcuni interrogativi che il porporato presenta: “In che modo la tua ricerca contribuisce a vedere più profondamente e ampiamente? In che modo il tuo insegnamento incarna il giudicare ciò che vale la pena di trasmettere e come forma le coscienze ad affinare la loro capacità di giudicare? E qual è l’azione non solo di ricercatori e insegnanti, ma anche, ad esempio, di datori di lavoro e di difensori della società civile?”.

La fase chiave dell’istruzione secondaria

Le opportunità di lavorare, guadagnarsi da vivere ed essere autosufficienti sono i modi più efficaci per i rifugiati di ricostruire le proprie vite, sottolinea il capo Dicastero, citando il terzo slogan dell’incontro internazionale: ‘Scavando più a fondo’. Il punto essenziale è che “l’istruzione post-secondaria incoraggia lo sviluppo di un sostentamento sostenibile che non dipenda dagli aiuti umanitari”. Se il divario educativo tra i rifugiati e i loro coetanei della comunità ospitante mina l’integrazione dei bambini nella comunità locale, la situazione è particolarmente grave ai livelli di istruzione superiori. Oggi – ricorda il prefetto vaticano – solo il cinque per cento dei rifugiati ha accesso all’istruzione e alla formazione post-secondaria, nonostante che queste opportunità di apprendimento e istruzione siano essenziali per il loro successo.

Passi concreti tra titoli di studio e curricula

Un altro contributo importante può essere il riconoscimento reciproco delle qualifiche accademiche (non solo lo scambio dei titoli di studio) tra le università cattoliche come “modo concreto per responsabilizzare rifugiati e migranti”. Dunque, raccomanda il cardinale Czerny, “occorre riconoscere le competenze accademiche e professionali dei rifugiati e dei migranti, e ciò richiede un’adeguata valutazione nonché corsi di aggiornamento e riqualificazione”. Inoltre, è anche importante offrire corsi di formazione per agenti pastorali impegnati in diversi programmi rivolti a rifugiati e migranti;  altri programmi per preparare futuri decisori politici e dirigenti di governo, introducendo moduli su migrazione e asilo in vari curricula.

I fondamenti dell’insegnamento sociale cattolico

Preciso il richiamo all’insegnamento sociale cattolico che – dice il porporato – offre un quadro che può aiutare a esplorare, condividere idee e iniziare a lavorare insieme”. E cita le parole di Papa Francesco alla Conferenza Internazionale dei Dirigenti delle Università Cattoliche, il 4 novembre 2019: “Con la vostra apertura universale (proprio come universitas), potete fare in modo che l’Università Cattolica diventi un luogo dove soluzioni per il progresso civile e culturale per le singole persone e per l’umanità, improntate alla solidarietà, sono perseguite con perseveranza e professionalità. Puoi anche esaminare ciò che è contingente senza perdere di vista ciò che ha un valore più generale. Vecchi e nuovi problemi devono essere studiati nella loro specificità e immediatezza, ma sempre nella prospettiva della centralità della persona e in un’ottica globale”.

Un’ottica davvero internazionale

Il cardinale Czerny cita ancora espressioni di Papa Francesco alla Conferenza del 4 novembre di tre anni fa per ribadire che “l’approccio interdisciplinare, la cooperazione internazionale e la condivisione delle risorse sono elementi importanti che possono permettere all’universalità di tradursi in progetti condivisi e fruttuosi a favore dell’umanità, di tutti gli uomini e dell’ambiente in cui vivono e crescono”. L’obiettivo è fondamentale: “I frutti dello studio non siano acquisiti in modo autoreferenziale, concernente solo la formazione professionale, ma abbiano una finalità relazionale e sociale”.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-09/istruzione-migranti-rifugiati-chiesa-governi-universita-czerny.html

Il Papa ai Premostratensi: le scelte economiche siano a servizio della giustizia sociale

Nel ricordare il nono centenario della fondazione dell’Abbazia di Prémontré, avvenuta nel giorno di Natale del 1121, Francesco parla ai Canonici Regolari dell’importanza di prendere decisioni all’interno delle comunità religiose secondo criteri che sostengano la missione e il servizio dei poveri: l’idolatria dei soldi ci allontana dalla vera vocazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Prémontré, piccolo paesino nel nord della Francia divenne  la fucina in cui prese forma la proto-comunità dell’Ordine dei Premostratensi, dopo la prima professione di San Norberto e dei suoi primi compagni nel giorno di Natale del 1121. Lo ricorda il Papa, nell’incontro, questa mattina, con i Canonici Regolari Premostratensi, un anno dopo quell’anniversario, aggiungendo che molte abbazie e monasteri dell’Ordine, sorti in seguito, celebreranno il loro nono centenario di fondazione nei prossimi anni.

Il tempo della riflessione

La storia degli Ordini religiosi – spiega il Papa – evidenzia spesso una certa tensione tra il fondatore e la sua fondazione. E questo è buono – aggiunge a braccio – perché quando non c’è la tensione, il fondatore prende tutto con sé e l’istituto muore con il fondatore. Dunque, “la tensione fa crescere la comunità, l’ordine religioso”. San Norberto  fu un missionario, predicatore itinerante e, da arcivescovo di Magdeburgo, pianificò l’evangelizzazione dei confini dell’allora impero germanico. Poi furono fondate altre abbazie e monasteri dell’Ordine che si apprestano a celebrare il loro nono centenario di fondazione. E dunque il Papa invita a riflettere su come “il carisma missionario di San Norberto potesse attuarsi in comunità stabili e legate a un determinato luogo”. L’organizzazione dell’Ordine ha favorito una grande stabilità nei secoli, dice il Papa. Molti dei monasteri e abbazie sono profondamente legati agli eventi felici e alle prove, all’intera storia di una particolare regione. E sottolinea:

Questa simbiosi ci fa già intuire come stabilità e missione, vita in un luogo ed evangelizzazione possano camminare di pari passo.

Tra buoni propositi e errori senza vergogna

Una consapevolezza: “La presenza di una comunità di sorelle o fratelli è come un faro luminoso nell’ambiente circostante. Eppure, la gente sa anche che le comunità religiose non sempre rispondono pienamente alla vita a cui sono chiamate”. Dunque l’incoraggiamento del Papa:

L’esperienza cristiana concreta è fatta di buoni propositi e di errori, consiste nel ricominciare ancora e ancora e ancora. Non avere vergogna di questo! È la strada.

Il valore della conversione

“Non per nulla – mette in luce il Papa – nella vostra professione canonicale, voi promettete di condurre una vita di conversione e di comunione”, perché “senza conversione non c’è comunione e proprio questo ricominciare e convertirsi alla fraternità è una chiara testimonianza del Vangelo, più di tante prediche”.

Il pregio di una missione ospitale

Francesco mette in evidenza il carattere pubblico e accessibile delle celebrazioni nelle chiese dell’Ordine dei Premostratensi,  affermando che “fedeli e passanti sono i benvenuti e sono coinvolti nella comunità orante” e ribadendo:

La cultura della convivenza fraterna, della preghiera comunitaria, che fa posto anche alla preghiera personale, è il fondamento di una vera ‘ospitalità missionaria’, che mira a far sì che gli ‘estranei’ diventino fratelli e sorelle.

La comune e fedele celebrazione della Liturgia delle Ore e dell’Eucaristia riporta continuamente alla fonte della comunione, ricorda il Papa sottolineando che “la preghiera della Chiesa non conosce confini”.

Tra ispirazione fondamentale e nuove circostanze

In riferimento alla storia, il Papa ricorda che molti Premostratensi sono stati missionari, parla di “una storia di coraggio e di abnegazione” e della consapevolezza sopraggiunta nel tempo che che la missione, nel vostro Ordine, poteva comportare la costituzione di nuove comunità stabili in terra di missione. Da qui nuovi monasteri e abbazie che sorsero in contesti molto diversi da quello europeo. La sfida era “puntare sull’essenziale e sottoporre le forme tradizionali a una giusta critica, per distinguere ciò che è necessario e universale e ciò che può e deve essere adattato alle circostanze”. L’incoraggiamento del Papa:

Nella misura in cui rivivrete, per così dire, i vostri inizi, potrete capire qual è la vostra ispirazione fondamentale.

Con una precisazione: “Nessuna comunità può pretendere di imporre la propria identità alle altre. Piuttosto si tratta di riconoscere quanto si condivide come espressione del carisma comune”.

Adesione alla realtà nello spirito del carisma

I Canonici Regolari – dice il Papa – sono missionari perché, in virtù del loro carisma, cercano sempre di partire dal Vangelo e dai bisogni concreti della gente. Il popolo non è un’astrazione: “è fatto di persone che conosciamo”, comunità, famiglie, individui con un volto concreto legate all’abbazia o al monastero perché vivono e lavorano nella stessa regione”. Dunque l’invito a un dialogo profondo: “Avere capacità di inserirsi culturalmente nel popolo e dialogare con il popolo e non rinnegare il popolo dal quale noi siamo venuti, questo è un carisma che ci fa atterrare continuamente nella realtà”.

Lo slancio missionario di una casa premostratense si traduce – fa notare il Papa – in scelte concrete in campo sociale, economico e culturale. In molti casi si tratta di occuparsi della manutenzione e conservazione di un patrimonio culturale e architettonico. Ribadendo che “l’attività economica serve alla missione e alla realizzazione del carisma, non è mai fine a sé stessa”, Papa Francesco avverte:

Quando in un ordine religioso, anche in una diocesi può darsi, prende il sopravvento l’attività economica e tutto va avanti, si dimentica la gente subito e si dimentica quello che ha detto Gesù: che non si può servire a due signori. ‘O tu servi a Dio – io mi aspettato che dicesse ‘ o al diavolo’, no? Non dice al diavolo – o ai soldi’. L’idolatria dei soldi. Questo ci allontana dalla vera vocazione.

Non dimenticare le conseguenze

“Le scelte economiche e sociali non sono separate dalla missione”, spiega il Papa che para di “saggia apertura nella condivisione dei beni culturali, giardini e aree naturali” che “può contribuire al dinamismo di un’area più ampia”. E il Papa parla delle responsabilità di essere “datori di lavoro” o di avere contatti con gli enti pubblici e varie società, di fare  investimenti:  “possono contribuire a sviluppare buone iniziative”. Una domanda è sempre necessaria:

“Quali saranno le conseguenze per i poveri, per i nostri ospiti, per i visitatori che vedono la nostra attività economica? Le nostre scelte economiche sono espressione della semplicità evangelica o siamo degli imprenditori già, no? Favoriscono l’accoglienza e la vita fraterna? E non si possono servire due signori. Stati attenti. Il diavolo, di solito, entra dalle tasche.

Il Papa parla di premura per la buona gestione e sottolinea che “occorre esercitarla per quanti sono al di fuori della rete sociale, per coloro che sono emarginati a causa dell’estrema povertà o fragilità e, per questo, difficili da raggiungere”. Alcune necessità possono essere alleviate solo attraverso la carità, primo passo verso una migliore integrazione nella società.

Attenzione alla sostenibilità

A proposito degli interrogativi sulle conseguenze bisogna pensare all’ambiente:

La sostenibilità è un criterio-chiave, come pure la giustizia sociale.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-09/papa-premostratensi-missione-fraternita-economia-poveri.html

Onu, Parolin: l’istruzione sia “integrale” per servire la pace

Nessuna paura di rinnovare i percorsi formativi se l’obiettivo è un “villaggio educativo” che promuova i valori del rispetto, del dialogo e della solidarietà. Questo il messaggio centrale dell’intervento del segretario di Stato al vertice delle Nazioni Unite “Transforming Education Summit. Il richiamo alle parole di Papa Francesco: “L’istruzione è uno dei modi più efficaci di rendere più umani il nostro mondo e la nostra storia”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’istruzione ci aiuterà a superare le numerose fratture esistenti nelle nostre società, costruendo comunità più forti e resilienti, basate sui valori della fraternità umana e della solidarietà reciproca. E’ la convinzione espressa dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nell’intervento ieri a New York al “Transforming Education Summit”, appuntamento voluto all’inizio della settimana dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il cardinale ha sottolineato che Papa Francesco ha parlato chiaramente dell’imoprtanza di avviare senza paura un processo di trasformazione e di guardare al futuro con speranza, invitando tutti – giovani, insegnanti, responsabili politici e società civile – a essere protagonisti di questa alleanza impegnandosi a livello personale e sociale a coltivare insieme il sogno di un umanesimo solidale, rispondente alle attese umane e al progetto di Dio.

L’urgenza di un patto globale

“Lo scoppio della pandemia di Covid-19 e ora la guerra in Ucraina per non dimenticare i tanti altri conflitti in corso in diverse regioni del mondo, – ha sottolineato il cardinale Parolin – rendono sempre più urgente la necessità di un patto educativo globale”. E il Segretario di Stato ha parlato della necessità di creare un “villaggio educativo”, in cui tutte le persone, secondo i rispettivi ruoli, condividano il compito di formare una rete di relazioni aperte e umane. Ha ricordato il proverbio africano che avverte: ci vuole un intero villaggio per educare un bambino. Per poi ribadire che dobbiamo creare un villaggio del genere prima di poter educare” e spiegare che in primo luogo, occorre sgombrare il terreno dalle discriminazioni e lasciare che la fraternità fiorisca.

Il richiamo al primo Global Compact on Education

Mosso dalla forte convinzione che attraverso l’istruzione si possa lottare per un mondo migliore, a pochi mesi dallo scoppio della pandemia di Covid-19 Papa Francesco – ha ricordato il porporato – ha lanciato il “Global Compact on Education”, sottolineando, nel suo messaggio del 15 ottobre 2020 che l’istruzione è “uno dei modi più efficaci di rendere più umani il nostro mondo e la nostra storia”. Da qui l’idea di coinvolgere molteplici attori e stakeholders internazionali, con il segretario di Stato che ha sottolineato come il processo per l’attuazione di questo Global Compact sull’istruzione abbia dato vita a molte nuove iniziative in ambito continentale e locale.

Un tema vitale

La Santa Sede, nelle parole del cardinale Parolin, ha ringraziato il segretario generale dell’Onu per aver convocato questo incontro su “un tema così vitale”. E il porporato si è soffermato sull’importanza del “ricostruire la fragile alleanza educativa introducendo le nuove generazioni ai valori del rispetto, del dialogo e della solidarietà attraverso l’investimento delle migliori risorse disponibili nell’istruzione di qualità”.

Quattro pilastri

Con il pensiero al messaggio inviato da Papa al lancio del Global Compact on Education 2022, il 12 settembre scorso, il cardinale Parolin ha invitato tutti coloro che operano nel campo dell’istruzione a farsi guidare da quelli che ha definito quattro pilastri: il primo, il principio classico del conosci te stesso, seguito da vicino da conosci il prossimo, “che ci incoraggia a tenere l’’altro’ in mente, specialmente quelli in situazioni vulnerabili”. Il terzo principio è conoscere la creazione, “che ci ispira a prenderci cura della nostra casa comune”. Ultimo “ma non meno importante”, il principio di conoscere il Trascendente, “che afferma la naturale inclinazione della persona umana verso l’infinito, ampliando il nostro orizzonte e la capacità di scoprire i grandi misteri della vita”. “È questa tensione verso il destino e la vocazione dell’umanità – ha precisato il segretario di Stato – che dà alla formazione il suo significato più profondo e convince i giovani del suo valore”.

Sette percorsi per un’istruzione integrale

Si tratta di una “visione olistica dell’istruzione” che richiede impegni precisi. E il cardinale Parolin ha ricordato l’invito del Papa alle organizzazioni educative di tutto il mondo a rivedere i loro progetti e curricula, intraprendendo sette percorsi precisi.  Innanzitutto, fare della persona umana nel suo valore e nella sua dignità il centro di ogni sforzo educativo, sia formale che informale; ascoltare le voci dei bambini e dei giovani ai quali trasmettiamo valori e conoscenze, per costruire insieme un futuro di giustizia, pace e vita dignitosa per ogni persona; incoraggiare la piena partecipazione delle ragazze e delle giovani donne all’istruzione; vedere nella famiglia il primo ed essenziale luogo della formazione; educare ed essere educati alla necessità di accoglienza e in particolare di apertura verso le situazioni più vulnerabili; trovare nuove modalità di comprensione dell’economia, della politica, della crescita e del progresso che siano al servizio della persona umana e della famiglia umana, nell’ambito di un’ecologia integrale; salvaguardare e coltivare la nostra casa comune, proteggendola dallo sfruttamento delle sue risorse, secondo i principi di sussidiarietà, solidarietà ed economia circolare.

L’obiettivo finale: rendere l’istruzione “veramente integrale, superando le dicotomie tra i suoi aspetti cognitivo, emotivo ed etico”.

Chiesa e saperi

Il cardinale Parolin ha ricordato che la Chiesa Cattolica, che dalle sue origini ha sempre accompagnato l’evangelizzazione con la trasmissione di saperi, cultura e scienza – attraverso i monasteri come centri di cultura, attraverso innumerevoli scuole legate alle Chiese locali e con la fondazione delle prime università del mondo occidentale – continua impegnarsi in prima linea nell’istruzione con quasi 220 mila scuole e 1.365 università sparse in tutti i continenti, dove oltre 70 milioni di studenti, molti dei quali non cattolici e non cristiani, ricevono un’istruzione di qualità.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-09/onu-cardinale-parolin-summit-education-etica-istruzione.html

Assemblea ONU: tante le sfide in tema di pace

A New York un Forum sull’Africa e un summit dedicato all’istruzione danno avvio alla settimana della 77esima Assemblea generale delle Nazioni Unite. I leader tornano a confrontarsi in presenza ma gli incontri slittano per i funerali della regina Elisabetta II. Intanto, si parla delle potenzialità del continente africano nell’ambito delle energie rinnovabili e dell’importanza di formare cittadini e cittadine all’altezza del contesto storico, come sottolinea la professoressa Gioia Di Cristofaro

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Ha preso il via, per la prima volta dall’inizio della pandemia in modalità non virtuale, la settimana dell’Assemblea Generale dell’Onu. I leader del mondo tornano a New York dopo la versione ibrida dell’anno scorso per confrontarsi su alcune delle maggiori crisi globali. Solo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky potrebbe inviare un messaggio pre-registrato, dopo il via libera delle Nazioni Unite ad un suo intervento virtuale, anche se fonti diplomatiche del Palazzo di Vetro non escludono che alla fine decida di partecipare di persona. Il suo intervento è in calendario mercoledì, salvo cambiamenti dell’ultima ora. A New York sono attesi la first lady, Olena Zelenska, e il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba.

La crisi ucraina

La guerra in Ucraina è al centro dei lavori questa settimana a New York. L’Ucraina sarà protagonista in molte sessioni a margine, nei discorsi dallo scranno dell’Assemblea, così come negli incontri bilaterali e in una riunione a livello ministeriale del Consiglio di Sicurezza, in calendario giovedì. Il segretario generale Antonio Guterres ha dichiarato che le possibilità di un accordo di pace ora sono “minime”, ma sul tavolo ci sono anche altre questioni, dall’energia alla sicurezza alimentare, inclusa l’iniziativa sui cereali del Mar Nero. E poi c’è il tema del prezzo sul gas. A rappresentare Mosca all’Onu sarà il ministero degli Esteri Serghei Lavrov. “Al momento”, come fa sapere Washington, non c’è in programma un incontro con il segretario di Stato Antony Blinken.

La 77/esima Assemblea Generale sarà l’ultimo evento sul palcoscenico internazionale per il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, in arrivo questa sera a New York. Il suo discorso al dibattito generale è previsto per martedì sera, mentre ancora incerto è un eventuale bilaterale con Biden. Accompagnano Draghi la viceministra degli Esteri Marina Sereni, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e quello della Transizione ecologica Roberto Cingolani.

Altri orizzonti tematici

Oltre alla guerra in Ucraina, fra i temi caldi ci sono pure l’accordo sul nucleare con l’Iran – il presidente Ebrahim Raisi dovrebbe parlare all’Assemblea mercoledì, salvo aggiornamenti – e i cambiamenti climatici, con Guterres che tenta di fare pressione sui leader mondiali per adottare azioni più ambiziose.  Tra i leader in arrivo al Palazzo di Vetro ci sono il presidente del Brasile Jair Bolsonaro (in apertura della prima giornata), il francese Emmanuel Macron, il turco Recep Tayyip Erdogan e il venezuelano Nicolas Maduro. Prima volta al consesso di New York per la premier britannica Liz Truss – che avrà un bilaterale con Biden mercoledì – e per il cancelliere tedesco Olaf Sholz, accompagnato dalla ministro degli Esteri Annalena Baerbock. Presenti anche i vertici dell’Ue – il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri Josep Borrell – e il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.

Omaggio a Elisabetta II

Il presidente statunitense Joe Biden non interverrà, come di consueto, nella giornata di apertura dei dibattiti, domani martedì, ma apparirà mercoledì poiché prima sarà a Londra per i funerali della Regina Elisabetta II. E sarà Blinken a co-presiedere assieme ad Ue, Onu e Spagna il summit sull’insicurezza alimentare.

Sguardo all’Africa

L’Africa potrebbe diventare leader nelle energie rinnovabili. Dispone di importanti fonti di energia solare, eolica, idroelettrica e geotermica e la transizione verso l’energia pulita potrebbe creare più di 6 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2050 nel continente. A sottolinearlo è stato Guterres aprendo a New York l’incontro intitolato ‘Global African Business Initiative’. Ha detto che l’Africa è un continente con un potenziale enorme nonostante le crisi e le sfide che lo riguardano, sottolineando che “non possiamo fermare l’Africa”. “L’Africa è una parte vitale del commercio globale e una destinazione importante per gli investimenti – ha aggiunto – e include alcune delle economie in più rapida crescita al mondo”. Dunque un appello: “l’Africa ha di più, molto di più, da offrire”. Guterres ha osservato che tutti i settori dell’economia africana sono in crescita, dall’industria all’agricoltura, dai servizi alla finanza; la popolazione giovanile qui rappresenta una forza lavoro dinamica e un enorme mercato dei consumatori e delle imprese; e l’Accordo sull’area di libero scambio continentale africana accelererà ulteriormente le opportunità di investimento e commercio. Dunque, secondo Guterres è giunto il momento di agire per sostenere l’Africa. Infine, il Segretario Generale dell’Onu ha chiesto l’impegno per una ”piena inclusione delle donne: non è possibile costruire un continente africano prospero, sostenibile e stabile senza il pieno contributo di metà della popolazione”.

In apertura il Focus sull’istruzione

In apertura della 77.ma sessione dell’Assemblea generale dell’Onu, si deve parlare di istruzione. L’Unesco ha previsto oggi un vertice dal titolo Trasformare l’istruzione, che fa seguito al summit tra esperti e giovani della società civile che si è svolto a Parigi dal 28 al 30 giugno scorso. L’obiettivo dichiarato è coinvolgere i grandi leader mondiali per assicurare la scolarizzazione a tutti i bambini e soprattutto alle bambine nel mondo, ma anche cambiare l’approccio ai sistemi educativi dopo il Covid, in particolare per gli studenti più emarginati che stanno affrontando gravi perdite di apprendimento.

L’appello dell’Ue contro i tagli alla spesa per la scuola

L’incontro arriva in un momento critico in cui la spesa pubblica per l’istruzione ovunque non sta al passo con la crescente crisi dell’apprendimento. Si stima che circa il 40 per cento dei Paesi a reddito basso e medio-basso abbia ridotto la spesa per l’istruzione con l’inizio della pandemia nel 2020, con un calo medio della spesa reale del 13,5 per cento. Inoltre, nel 2020, 43 donatori bilaterali hanno ridotto i loro aiuti all’istruzione, mentre le famiglie dei Paesi più poveri stanno assumendo il 39 per cento del costo totale dell’istruzione rispetto a solo il 16 per cento nei Paesi ad alto reddito. E’ il momento di invertire il processo al ribasso risultante dalla pandemia, dal clima e dalle interruzioni dei conflitti e cercare cambiamenti in materia di istruzione, apprendimento, insegnamento, tecnologia e finanziamento dell’istruzione.

La Commissaria UE per i Partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, è intervenuta al vertice sull’istruzione chiedendo di portarla in cima all’agenda internazionale. Ha invitato la comunità internazionale a unire le forze per aumentare gli investimenti e per avviare azioni volte ad affrontare le profonde disuguaglianze nell’accesso alla scuola, all’apprendimento di qualità e alla connettività digitale. Sottolineando che investire nell’istruzione è fondamentale per perseguire la pace, la prosperità e il benessere delle persone e del pianeta, al fine di conseguire tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile, la Commissaria ha ricordato che per l’Ue si tratta di un pilastro fondamentale della strategia Global Gateway da 300 miliardi di euro e che l’UE e i suoi Stati membri sono il principale investitore mondiale nel settore dell’istruzione, con il 55 per cento delle borse di istruzione nell’ambito dell’aiuto pubblico allo sviluppo.

Si deve assicurare l’accesso all’istruzione per tutti i bambini e soprattutto le bambine,  e si deve promuovere un apprendimento permanente di qualità che vada oltre le logiche del nozionismo, sottolinea la professoressa Gioia Di Cristofaro Longo, presidente della Libera Università dei Diritti Umani (Lunid) e già ordinario di Antropologia culturale presso La Sapienza:

E’ il momento giusto per fare il punto sull’educazione sostenibile, nonché per agire, sottolinea la presidente Di Cristofaro raccomandando di non fare solo discorsi astratti ma di scendere nel concreto di situazioni e sfide. Innanzitutto mette in luce l’importanza di interventi per proteggere e dare priorità all’istruzione in situazioni di crisi, tantissime nel mondo. Precisa l’importanza di discutere, così come previsto al summit, di crisi globale dell’apprendimento difendendo o assicurando un livello di apprendimento di base che non sia solo sul piano delle nozioni. E’ fondamentale – afferma – pensare la formazione in termini di obiettivi e il primo obiettivo è quello di formare cittadini e cittadine – e per le donne è più difficile in troppi casi – all’altezza del difficile contesto storico che stiamo vivendo.

Se digitale fa rima con neutrale

Il dibattito sulla digitalizzazione – spiega Di Cristofaro – non si esaurisce solo pensando alla tecnologia necessaria per seguire la didattica a distanza, che in Italia è stata definita con la sigla ‘dad’, ma si tratta di formare i ragazzi all’universo digitale e si tratta di garantire l’accesso per studenti, insegnanti e famiglie a contenuti educativi digitali di alta qualità anche attraverso piattaforme nazionali di apprendimento aperte e gratuite. Per tutto, Di Cristofaro raccomanda un serio livello di riflessione ma anche approcci concreti. Sottolinea le potenzialità dell’universo digitale ma anche i rischi. Ricorda che Papa Francesco ha parlato nei giorni scorsi di persone “connesse ma distanti” spiegando che con la connessione digitale c’è il rischio che si affermi una sorta di alibi di neutralità: è come se le nostre azioni non avessero le stesse conseguenze che hanno nella vita reale. Suggerisce, dunque, una sorta di road map per il mondo della scuola in cui non manchino alcuni passaggi chiave: bisogna insegnare cosa siano i diritti umani; cosa significhino valori come l’empatia, la solidarietà, il bene comune; educare alla pace.

Una scuola per l’ecologia

C’è poi il tema dell’educazione ecologica: preparare ogni studente alle sfide dei cambiamenti climatici. Stabilire obiettivi per rendere le scuole più ecologiche, integrando l’educazione al clima nei programmi scolastici, formando gli insegnanti nell’educazione al clima e fornendo opportunità di apprendimento per gli adulti su questi temi.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-09/onu-ucraina-africa-leader-guterres-istruzione-digitalizzazione.html

Stati Uniti al voto sulla questione ambientale

Attesa per il via libera definitivo sul pacchetto di misure per il clima e la sanità promosso da Biden. Dovrebbe contribuire a colmare la lacuna di una legislazione federale in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Al momento manca un coordinamento tra gli Stati che applicano normative o strategie molto differenti tra loro, come ricorda Marco Capellini esperto di sostenibilità

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Negli Stati Uniti è in discussione in questi giorni alla Camera dei Rappresentanti il pacchetto di misure per il clima e la sanità che ha ottenuto il via libera del Senato, pochi giorni fa, con 51 voti a favore e 50 contrari. Frutto di oltre 18 mesi di duri negoziati, il piano promosso da Joe Biden dovrebbe passare senza problemi il voto finale per poi essere firmato dallo stesso presidente. Le spese previste saranno finanziate con una minimum tax del 15 per cento sulle aziende che realizzano utili annuali superiori al miliardo di dollari, una tassa dell’1 per cento sulle società che riacquistano azioni proprie e con un rafforzamento dell’Internal Revenue Service, l’agenzia delle entrate statunitense.

Salute e clima

Anche se decisamente inferiore ai 3.500 miliardi inizialmente proposti da Biden, il provvedimento da 740 miliardi di dollari è un passo significativo. Ha l’obiettivo di ridurre il deficit e i costi per le famiglie, tagliando i prezzi dei medicinali e prevedendo l’investimento di 369 miliardi di dollari in programmi per l’energia.  E’ previsto uno stanziamento da circa 370 miliardi di dollari per combattere il cambiamento climatico.

Dell’importanza di agire di fronte alle conseguenze sempre più gravi dei cambiamenti climatici, parla Marco Capellini, esperto di innovazione sostenibile del network Alleanza per l’economia circolare:

Capellini ci tiene a sottolineare che la questione ambientale va affrontata da subito e in modo costante e progressivo, con la consapevolezza che siamo già in ritardo nel raggiungere gli obiettivi. Della volontà di Biden di riprendere il cammino che a suo tempo aveva iniziato Obama, ma che era stato interrotto da Trump, Capellini rimarca l’importanza perché è davvero urgente intraprendere azioni finalizzate a migliorare la qualità ambientale e a ridurre le emissioni CO2. Si tratta – spiega – di tutelare l’ecosistema con urgenza. Dunque, l’auspicio che il programma di Biden sia efficace fin da subito con azioni dirette e mirate, un po’ come – sottolinea – sta facendo l’Europa.

Stati pilota ma isolati

Secondo Capellini non si può parlare degli Stati Uniti come di un Paese che non è sensibile sulla questione ambientale. Si registra – nota – molta sensibilità da parte dei consumatori ed è indubbio che  l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa) abbia prodotto finora regolamenti sempre più stringenti. Manca – mette in luce Capellini – un forte coordinamento nazionale che può arrivare nel momento in cui è il presidente ad esprimere con convinzione la volontà di intraprendere iniziative forti e che siano trasversali per tutti gli Stati. Altrimenti, resta proprio questo scollamento tra diverse scelte di Stati o diverse strategie portate avanti. Esemplare il caso della California – dice –  che è stata la prima a livello mondiale a votare stanziamenti e normative su questi temi, ma – precisa Capellini – sono circa dieci gli Stati che hanno norme ad hoc.

Tra California e Texas

In California, l’ultimo progetto di legge al voto prevede di soddisfare la domanda elettrica nello Stato esclusivamente grazie alle rinnovabili: entro il 2045, infatti le utility elettriche dovranno rifornirsi solo da eolico, fotovoltaico e idroelettrico. Ma c’è anche il caso del Texas dove le aziende per il gas naturale liquefatto (Gnl) spiegano di contribuire a migliorare la qualità dell’aria locale nelle comunità di tutto il mondo, perché il combustibile più pulito che trasportano sostituisce il carbone nelle centrali elettriche. Ma nella regione di Corpus Christi, in Texas, dove il carburante viene preparato per la spedizione, sta peggiorando la qualità dell’aria, con il consenso delle autorità di regolamentazione statali che hanno progressivamente allentato le restrizioni. Dal 2018 la Texas Commission on Environmental Quality (TCEQ) ha concesso aumenti dei limiti di inquinamento degli impianti autorizzati a emettere circa 353 tonnellate all’anno di COV, il doppio del limite stabilito nel permesso originale di otto anni fa. Lo Stato ha aumentato i limiti di altri quattro inquinanti di oltre il 40 per cento. I residenti hanno presentato una petizione allo Stato per ridurre l’inquinamento.  La capacità di esportazione di GNL negli Stati Uniti è destinata ad aumentare del 40 per cento nei prossimi due anni, secondo il Dipartimento dell’Energia, e le aziende del settore stanno studiando nuovi progetti. Il coordinamento a livello federale è necessario anche perché – sottolinea Capellini – bisogna definire una strategia a lungo termine, coinvolgendo necessariamente il sistema imprese. Quello che è accaduto finora negli Stati Uniti si può definire – afferma Capellini – a ‘corrente alternata’ e non può portare  a nessun risultato.

A luglio la sentenza sull’Epa

La Corte Suprema a Washington, con una sentenza annunciata a metà luglio scorso, ha tolto all’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) la prerogativa di fissare limiti alle emissioni industriali, smontando quel Clean Air Act su cui si è basata dai tempi di Obama gran parte della politica climatica statunitense. La sentenza della Corte Suprema ha stabilito che le agenzie federali non possano estendere troppo le loro competenze senza una apposita legge del Congresso. L’EPA potrà ancora regolare alcune delle attività delle centrali, ma in modo molto più limitato di prima. Togliere all’EPA l’autorità di imporre standard di emissioni vincolanti per tutte le centrali elettriche degli Stati Uniti senza che ci siano altre normative federali vincolanti significherebbe rinunciare agli obiettivi 2030 sulle emissioni di gas serra. La sentenza dunque è stata una vittoria per l’industria fossile e una sconfitta per l’amministrazione Biden, che puntava sulla capacità regolatoria dell’EPA per implementare le proprie politiche di transizione energetica e lotta al cambiamento climatico.

Gli Stati Uniti sono il secondo maggior produttore al mondo di gas serra, dopo la Cina. Le emissioni statunitensi sono calate del 5 per cento dal 1990, ma sempre molto meno di quanto sia riuscita a fare l’Unione europea che ha registrato -27 per cento. E il 25 per cento circa di tutte le emissioni di gas serra statunitensi provengono dalla produzione di elettricità, che adesso non potrà più essere facilmente regolata dall’EPA. Dunque, si capisce ancora di più l’importanza di una regolamentazione federale.

Dalla parte del consumatore in Usa e Ue

Capellini ricorda che circa una decina di Stati Usa hanno già introdotto regolamenti ad hoc sul diritto del consumatore alla riparazione, soprattutto di quelli che sono i prodotti elettronici, nel senso che si obbligano le aziende a scrivere sulle etichette le modalità di produzione e i tempi di obsolescenza previsti, per evitare il fenomeno della cosiddetta “obsolescenza programmata”, cioè la produzione di prodotti fatti per rompersi presto.  Capellini ricorda che senza dubbio è estremamente interessante questo tipo di approccio che – ricorda – è già emerso in Europa, in particolare dopo che la Francia – diciamo così – ha fatto strada con una legge del 2020. In sostanza, il consumatore ha la possibilità, andando ad acquistare un personal computer, una lavatrice, un cellulare, di vedere quanto sia riparabile. E Capellini spiega che, dopo la legge in Francia, la Commissione Europea (Ce) stessa si è attivata su questo fronte elaborando testi che rivendicano massima trasparenza. In particolare, si punta al Digital Product Passport – chiarisce Capellini – praticamente un passaporto digitale che accompagnerà tutto il ciclo di vita del prodotto e quindi porterà con sé tutte le informazioni sui materiali che vengono impiegati e spiegando quanto sia riparabile. Chiarirà qualcosa di più sul rapporto qualità prezzo e anche per quanto riguarda l’impatto ambientale.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-08/stati-uniti-epa-agenzia-ambiente-biden-california-gas-serra.html

Ucraina, minaccia nucleare: attesa per la riunione dell’Onu

Si continua a morire nell’est dell’Ucraina sotto le bombe. Diversi i fronti di combattimenti, mentre Mosca smentisce gli attacchi in Crimea rivendicati da Kiev. Intanto, alle Nazioni Unite si lavora per la missione di esperti alla centrale nucleare di Zaporizhzhia

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Kiev sostiene di aver distrutto nove aerei nell’attacco di martedì alla base russa in Crimea, Mosca nega. Secondo i media ucraini, in un’intervista in Tv il presidente della Commissione per gli affari internazionali della Duma russa ha dichiarato che “l’operazione speciale militare in Ucraina continuerà” e che “è stato superato il punto di non ritorno”.

Nell’est dell’Ucraina

Nella notte si è registrato un nuovo attacco russo alla città di Dnipro, la terza del Paese per popolazione dopo la capitale Kiev e Kharkiv, che si trova nella parte orientale dell’Ucraina a nord di Zaporizhzhia. Due persone sono state uccise a Nikopol, sette i feriti, secondo il capo dell’amministrazione militare regionale Valentyn Reznichenko che afferma che l’esercito russo ha attaccato quattro distretti della regione e che la linea elettrica è stata interrotta: più di 6.000 persone sono senza elettricità. Ieri nel distretto erano morti 13 civili.

Rischio catastrofe nucleare per l’Europa

Intanto, per la centrale nucleare più grande d’Europa si moltiplicano gli allarmi degli esperti. L’Europa rischia la catastrofe nucleare. Venerdì 12 agosto prevista la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite convocato dalla Russia. Il capo dell’Aiea, Rafael Grossi, conferma che parteciperà, anche se in video collegamento, per discutere della situazione alla centrale nucleare occupata dai russi e della preparazione della missione di esperti internazionali che deve guidare.

Drammatici tutti i bilanci di morte

Nel consueto discorso serale alla nazione, il presidente ucraino Zelensky ha affermato che “se quasi 43.000 soldati russi morti non convincono Mosca a trovare una via d’uscita dalla guerra, allora sono necessari più combattimenti”. E secondo quanto riporta l’emittente statunitense CNN, per far fronte alla carenza di militari da mandare sul campo in Ucraina, in Russia si stanno reclutando detenuti nelle carceri. Lo scrive Cnn online, precisando di aver condotto sull’argomento un’indagine durata un mese e di aver parlato con i detenuti coinvolti nel nuovo programma e con loro parenti e amici. Gli attivisti ritengono che centinaia di persone siano state avvicinate in decine di carceri in tutta la Russia,  scrive ancora Cnn aggiungendo che si tratta detenuti per quasi ogni tipo di reato, dall’omicidio al traffico di droga. Sempre secondo quanto riporta CNN online “la versione russa sull’attacco del 29 luglio alla prigione di Olenivka in cui sono morti oltre 50 prigionieri di guerra ucraini, per la maggior parte del battaglione Azov, è molto probabilmente un’invenzione”. E’ la conclusione di un’inchiesta della Cnn basata sull’analisi di video e fotografie, immagini satellitari, e sul lavoro di esperti forensi e di armi. Secondo gli specialisti la mancanza di accesso rende impossibili conclusioni definitive, ma la maggior parte dei segnali indica che nel centro di detenzione c’è stato un incendio intenso e, secondo diversi testimoni, non si è sentito il rumore di un razzo in arrivo.

Pensando alla ricostruzione

L’Ucraina avrà bisogno di almeno 188 miliardi di dollari per la ricostruzione. È la stima fatta dal Kse Institute, l’unità analitica della Kyiv School of Economics, secondo cui l’invasione della Russia ha già portato a una perdita diretta di 110 miliardi di dollari legata alla distruzione di edifici e infrastrutture, di cui 2,1 miliardi di dollari solo della scorsa settimana. Tra i siti presi in considerazione figurano oltre 300 ponti, 15.000 appartamenti, 116.000 case private, 388 imprese, 18 aeroporti civili, 764 asili nido, 43.000 macchine agricole, quasi 2000 negozi, 27 centri commerciali, 511 edifici amministrativi, 28 depositi di petrolio, 106.140 auto private, 634 strutture culturali, 764 asili nido, 934 strutture sanitarie, 119 strutture dei servizi sociali.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-08/ucraina-russia-crimea-vittime-guerra-centrale-nucleare-europa.html

Yemen: dopo la tregua è tempo del negoziato di pace

Trasformare la tregua in veri e propri colloqui di pace: è la speranza per lo Yemen, Paese che, dilaniato da otto anni di combattimenti, vive una delle peggiori situazioni umanitarie al mondo. La tregua, decisa ad aprile, è stata rinnovata nei giorni scorsi fino al 2 ottobre prossimo. Un’occasione preziosa per arrivare ad un nuovo dialogo tra le parti, come sottolinea Mario Boffo, già ambasciatore d’Italia in Yemen

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si moltiplicano gli appelli, affinché in Yemen si approfitti della tregua – in vigore da quattro mesi e prorogata fino al prossimo 2 ottobre – per avviare un vero e proprio negoziato di pace. Dopo quasi otto anni di guerra, nello Stato all’estremità meridionale della Penisola araba, il cessate il fuoco mediato ad aprile dalle Nazioni Unite fra tutte le parti e rilanciato il 2 agosto sta reggendo, ad eccezione di alcuni disordini nell’area centrale di Marib, e il numero di vittime e feriti civili si è dimezzato dal suo inizio. La tregua prevede l’interruzione di tutte le offensive militari di terra, aeree e marittime “dentro e fuori dallo Yemen” inclusi, dunque, gli attacchi degli houthi contro l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (Eau), nonché gli obiettivi economico-commerciali nel Mar Rosso. Più concretamente, comprende l’ingresso di diciotto navi trasportanti carburante nei porti del governatorato di Hodeida; due voli aerei civili a settimana da e per l’aeroporto internazionale di Sanaa, in collegamento con Egitto e Giordania; nuove discussioni per la riapertura delle strade intorno alla città di Taiz. Intanto, nel quadrante del Mar Rosso-Bab el Mandeb-Golfo di Aden è entrata in funzione la Combined Maritime Forces-153: la nuova task force multinazionale, a guida statunitense, per contrastare il contrabbando di armi nell’area.

L’appello dell’Unicef

Resta la preoccupazione dell’Unicef che sollecita a fare di più per proteggere i minori che continuano a morire soprattutto per via delle mine di cui è disseminato il Paese: in quattro mesi 113 bambini sono rimasti uccisi o mutilati secondo i numeri verificati dalle Nazioni Unite, che potrebbero essere sottostimati. L’Unicef invita tutte le parti coinvolte a non risparmiare gli sforzi per rimuovere le mine terrestri e gli ordigni inesplosi.

La speranza di un vero negoziato di pace

L’obiettivo dell’Onu è costruire, in questa fase, un negoziato politico che trasformi la tregua in un cessate-il-fuoco. Ne parliamo con Mario Boffo, già Ambasciatore d’Italia in Yemen:

Boffo innanzitutto sottolinea che sembra ci sia la volontà almeno dei Paesi coinvolti dall’esterno, a partire dall’Arabia Saudita, a far cessare il conflitto, o anche di Paesi relativamente vicini come la Turchia. Secondo l’ambasciatore, la tregua è stata impostata e  rinnovata proprio perché l’Arabia Saudita sta cercando soluzioni di uscita e ha incoraggiato il governo internazionalmente riconosciuto a istituire un comitato esecutivo che dovrebbe negoziare con gli houthi una soluzione politica. Naturalmente – dice Boffo – questo non sarà né breve ne facile perché sono diverse le visioni generali e le agende di ogni parte. Inoltre c’è sempre il ruolo di Paesi stranieri da considerare.  Ma – sottolinea – è proprio il momento di sperare che piano piano si inneschi un negoziato politico credibile, serio, riconosciuto da tutte le parti.

Dalla primavera araba  alla guerra

Il Paese cerca stabilità dal 2011, dal momento in cui nell’ondata delle cosiddette primavere arabe ci sono state proteste e manifestazioni che hanno portato ad un passo indietro del presidente Ali Abdullah Saleh, che a febbraio 2011 annunciò che, alla fine del suo mandato presidenziale, cioè nel 2013, non si sarebbe candidato alle elezioni e avrebbe ceduto il potere al suo vice, Abdrabbuh Mansour Hadi. La transizione politica avrebbe dovuto portare stabilità nel Paese, che è inoltre uno dei più poveri in tutto il Medio Oriente, ma così non è stato. Da allora la situazione in Yemen è precipitata. Il presidente Hadi ha dovuto affrontare vari attacchi da parte delle forze militari fedeli a Saleh, una crescente insicurezza alimentare e una crisi economica dilagante. Nel 2014 sono iniziati i combattimenti quando il movimento ribelle sciita Houthi ha preso il controllo della provincia settentrionale di Saada e delle aree limitrofe. Gli Houthi hanno continuato ad attaccare arrivando a prendere la capitale Sanaa, costringendo Hadi all’esilio all’estero. Il conflitto si è intensificato drammaticamente nel marzo 2015, quando l’Arabia Saudita e altri otto stati- per lo più arabi sunniti – sostenuti dalla comunità internazionale – hanno lanciato attacchi aerei contro gli Houthi, con l’obiettivo dichiarato di ripristinare il governo di Hadi. L’Arabia Saudita ha giustificato il proprio intervento in Yemen, affermando che l’Iran sostiene gli Houthi con armi e supporto logistico: un’accusa che Teheran nega. Il conflitto è entrato così a far parte di una serie di tensioni regionali e culturali nel Medio Oriente tra sciiti e sunniti.

Un’occasione persa

L’ambasciatore Boffo precisa che, dopo i primi tafferugli anche sanguinosi in Yemen, si è avuto un dialogo nazionale con la partecipazione di tutte le parti che al momento è stato proficuo, sostenuto dalla comunità internazionale riunita sotto la sigla Friends of Yemen, con un ruolo importante dell’Italia. Purtroppo l’esito del dialogo è stato l’elaborazione di una Costituzione – ricorda Boffo – che prevedeva una federazione, ma che non è stata riconosciuta dagli Houthi che si sono ritenuti emarginati.

Divisioni a tanti livelli

Al momento dell’intesa per la tregua ad aprile scorso, il presidente ad interim Hadi – il suo mandato iniziato nel 2012 è formalmente scaduto dal 2014 – ha accettato di trasferire i suoi poteri, sotto la spinta di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (Eau), a un Consiglio presidenziale di otto membri. Il nuovo Consiglio è anche incaricato di negoziare il cessate-il-fuoco con gli Houthi. Nella composizione del Consiglio presidenziale, si evidenziano l’assenza di leader politici nazionali e la proliferazione di leader locali, che governano su specifiche porzioni di territorio. Il fronte che si oppone agli Houthi rimane molto diviso ed esprime agende politiche diverse nonché leadership rivali, mentre dalla leadership degli Houthi nel nord arrivano segnali politici contrastanti. E secondo Boffo è rilevante considerare che i ribelli sciiti filoiraniani hanno appoggi stranieri, ma non sono solo orientati dall’esterno: hanno una loro particolare visione del Paese, che conserva aspetti di un retaggio antico e che presenta anche contraddizioni, perché fa capo a temi irrisolti della società yemenita e in qualche modo della società regionale.

Uno dei luoghi culla della civiltà umana

Boffo ricorda che lo Yemen è uno dei territori dove si è sviluppata la civiltà umana, pur essendo un territorio impervio. I suoi grandi regni antichi trovarono i metodi, con la costruzione di dighe e cisterne, per sfruttare le grandi piene. Grazie a questo apporto idrico la regione ha prosperato anche attraverso i commerci delle grandi carovane che trasportavano principalmente incenso e mirra e più tardi il caffè anche attraverso i traffici marittimi. Questi commerci hanno fatto – ricorda Boffo – la fortuna di regni come quello, quasi mitico della regina di Saba. Poi iniziò la decadenza e il succedersi delle diverse culture. Con l’avvento dell’Islam e lo spostamento del potere verso oriente, lo Yemen – ricorda – ha perso la sua centralità, ma ha mantenuto, tra alterne vicende,  un ruolo fondamentale nel mondo arabo, come ad esempio nella conquista dell’Andalusia.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-08/yemen-tregua-guerra-negoziato-pace-pensiola-araba-regno-saba.html

L’attualità del messaggio di Edith Stein uccisa il 9 agosto 1942

A 80 anni dalla morte ad Auschwitz, la filosofa e mistica rappresenta un simbolo delle radici culturali che salvano dalle derive ideologiche disumane. La santa Patrona d’Europa, che ha attraversato il confronto tra la cultura liberal democratica europea e i totalitarismi offrendo elementi di sutura spirituale della comunità, propone – sottolinea lo storico Eugenio Capozzi – spunti di riflessione importanti al pensiero contemporaneo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il 9 agosto 1942 veniva uccisa ad Auschwitz Edith Stein, filosofa in Germania, divenuta monaca dell’Ordine delle Carmelitane Scalze con il nome di Teresa Benedetta della Croce. Era nata nella città polacca di Breslavia il 12 ottobre 1891 da una famiglia ebraica.

Una donna di pensiero che si distingue

Laureatasi all’Università di Breslavia, sceglie di continuare il percorso accademico in Germania, prima a Gottinga e poi a Friburgo. Si distingue nonostante che a quel tempo fosse insolito confrontarsi con una filosofa donna e nonostante gli impedimenti della prima guerra mondiale. Divenuta membro della Facoltà a Friburgo si dedica anche all’attività politico-sociale, impegnandosi nel Partito Democratico Tedesco (DDP) a favore del diritto di voto alle donne e al ruolo nella società della donna che lavora. Intorno al 1921 abbandona l’ateismo e si converte. Battezzata il primo gennaio 1922 a Bad Bergzabern, va ad insegnare presso due scuole domenicane per ragazze a Spira e si avvicina alla vita di clausura.

La disumanità del nazismo

Nel 1931 diventa lettrice all’Istituto di pedagogia scientifica a Munster ma per via delle leggi razziali deve dimettersi due anni dopo. Il 12 aprile 1933, alcune settimane dopo l’insediamento di Hitler al cancellierato, Edith Stein scrive a Roma per chiedere a Papa Pio XI e al suo segretario di Stato cardinale Pacelli, già nunzio apostolico in Germania e futuro Papa Pio XII di denunciare le persecuzioni contro gli ebrei. Realizzando un desiderio che da tempo portava nel cuore, Edith Stein entra nel monastero carmelitano a Colonia nel 1934. Per proteggerla dalla minaccia nazista, il suo Ordine la trasferisce al convento carmelitano di Echt nei Paesi Bassi. Il 20 luglio 1942 in tutte le chiese del Paese viene letta la lettera della conferenza dei vescovi olandesi contro il razzismo nazista. Il 26 luglio Adolf Hitler ordina l’arresto di tutti gli ebrei anche convertiti al cristianesimo, che fino a quel momento erano stati risparmiati. Edith e sua sorella Rosa, anche lei convertita e dedicata alla vita del Carmelo vengono catturate e internate nel campo di transito di Westerbork prima di essere trasportate al campo di concentramento di Auschwitz, dove verranno uccise nelle camere a gas il 9 agosto 1942. I corpi di entrambe verranno poi bruciati nei forni crematori del campo.

Figlia d’Israele, martire per fede

“Una figlia d’Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea”. Sono parole di Giovanni Paolo II, in occasione della beatificazione di Edith Stein nel Duomo di Colonia il primo maggio del 1987, seguita dalla canonizzazione  l’11 ottobre 1998 in Piazza San Pietro. Santa in virtù della dichiarazione del martirio per la fede, con l’affermazione che la persecuzione subita nel campo di sterminio è stata patita per la sua testimonianza della fede. Più volte Papa Francesco l’ha indicata come esempio di vita contro “ogni forma di intolleranza e perversione ideologica”.

Compatrona d’Europa

Il primo ottobre 1999 Giovanni Paolo II la nomina anche “compatrona” d’Europa, assieme alle sante Caterina da Siena e Brigida di Svezia, ricordando che “non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d’Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l’adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell’uomo nell’immane vergogna della shoah”. E sottolineando: “Ella è divenuta così l’espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del continente europeo”.A riflettere sul contesto storico in cui è vissuta Edith Stein e sul potente messaggio che lascia a 80 anni dalla morte, è Eugenio Capozzi, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Napoli  Suor Orsola Benincasa:

A proposito del contesto storico in cui è maturata l’esperienza di Edith Stein, Capozzi parla di un’Europa dei primi decenni del Novecento che viveva una profonda crisi della cultura scientifica di origine positivistica e registrava la rinascita di varie forme di spiritualismo, con una rivalutazione dell’esperienza religiosa.

Crisi epistemologica e crisi della cultura democratica

Lo storico mette in luce la disgregazione della cultura liberal democratica e l’avanzare delle dittature e del totalitarismo. Ricorda che la conversione della Stein matura in un ambiente filosofico animato da preoccupazioni in relazione al patrimonio della conoscenza scientifica europea – suoi maestri sono stati Husserl e Scheler – che si avvertiva in crisi. In quegli anni, quella conversione non è un fatto isolato: molti intellettuali di formazione laica si convertono al cattolicesimo, al cristianesimo. Capozzi fa l’esempio di Giovanni Papini, scrittore, poeta, saggista e terziario francescano; dello scrittore britannico G.K. Chesterton; di Thomas S. Eliot, poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo premiato con il Nobel per la letteratura, che si fa battezzare con rito anglicano nel 1927. E poi Capozzi cita Clive Staples Lewis che in età adulta, grazie anche all’influenza dell’amico e collega Tolkien, ritrova la fede abbandonata nell’adolescenza. Lewis – afferma Capozzi – sicuramente porta in dote alla rinascita religiosa di quei decenni la sua profonda riflessione. Una riflessione che parte proprio dalla filosofia della scienza, che affronta la questione della crisi della conoscenza, della necessità di integrare la cultura liberale e democratica europea con quelli che Capozzi definisce elementi di sutura spirituale della comunità.

Antisemitismo e anticristianesimo

Con il pensiero allo sterminio nazista di cui sono state vittime anche Edith e Rosa Stein, Capozzi afferma che si deve riflettere, tra l’altro, anche sul fatto che l’antisemitismo nazista e in generale l’antisemitismo dei regimi totalitari del Novecento è strettamente legato a un profondo anticristianesimo. Ricorda che la Stein è vittima di un giro di vite della persecuzione antisemita da parte dei nazisti che si applicava anche agli ebrei convertiti al cattolicesimo, anche per le forme di resistenza al nazismo che la chiesa cattolica esprimeva, in particolare quella olandese nella vicenda Stein. Ma Capozzi sottolinea che, al di là di questo, bisogna comprendere quanto il nazismo e i totalitarismi fossero incompatibili con il messaggio cristiano. Secondo lo storico Capozzi, si può dire che, se il nazismo avesse vinto, la persecuzione avrebbe colpito presto anche i cristiani. Probabilmente – dice – sarebbe arrivata a livelli paragonabili a quella attuata nei confronti degli ebrei. Capozzi cita un episodio narrato nell’autobiografia di Papa Benedetto XVI, e cioè il racconto di quando il diciassettenne seminarista Joseph Ratzinger viene chiamato alle armi come riservista e un ufficiale dell’esercito tedesco gli domanda che lavoro volesse fare. Una domanda retorica visto che il seminarista evidentemente vuole fare il sacerdote. Il giovane risponde di voler intraprendere il sacerdozio e l’ufficiale risponde: “Non avremo bisogno di sacerdoti nella nuova Germania”. Un episodio che – sottolinea Capozzi – aiuta a chiarire come l’ideologia nazista è fondamentalmente un’ideologia incompatibile con tutte le forme di valorizzazione profonda dell’umanesimo, che ha radici ebraico-cristiane. Secondo Capozzi quando il filosofo Benedetto Croce ripeteva “non possiamo non dirci cristiani” sottolineava così in particolare che la base della formazione per la filosofia politica, per la filosofia del diritto è cristiana. E questo – afferma Capozzi – rappresentava, e rappresenta, un argine solido contro la degenerazione disumana di ideologie e regimi totalitari.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-08/edith-stein-auschwitz-nazismo-democrazia-filosofia-cristianesimo.html