Il sogno di un’unica famiglia umana oltre i populismi: nelle parole del card. Tagle

Il rischio delle spinte alla polarizzazione e dei populismi in società già divise è stato messo in luce dal cardinale Tagle nell’intervento alla Lambeth Conference. Tanti i temi toccati, a partire dalla questione migratoria, con l’invito a riscoprire la risorsa della scoperta umile dell’altro

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“È triste notare come i cosiddetti demagoghi populisti usano – o abusano – della religione per i loro interessi, minando gli sforzi per sviluppare relazioni e formare una famiglia umana”. Sono parole del cardinale Luis Antonio G. Tagle, intervenuto oggi alla Conferenza di Lambeth a Londra. Ieri ha preso la parola il cardinale Koch.

La Prima Lettera di Pietro e le sfide attuali

“La Prima Lettera di Pietro e il decennio a venire” è il tema scelto quest’anno per la riunione assembleare di tutti i vescovi della Comunione anglicana. La Lambeth Conference si svolge, ogni dieci anni, a Londra nella sede dell’arcivescovo di Canterbury, dal quale viene ufficialmente convocata. Il cardinale Tagle ha spiegato di aver orientato la sua riflessione facendosi interpellare dal testo della Lettera di Pietro, immaginandola indirizzata alla Chiesa e al mondo di oggi. E dunque ha richiamato espressioni come: forestieri nella dispersione (1,1), forestieri e forestieri (2,11) un tempo non popolo ma ora popolo di Dio (2,10), stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di Dio (2:9), pietre vive costruite in una casa spirituale in Gesù la pietra viva (2:4-5).

Agire da cristiani

Il cardinale Tagle si è soffermato sull’invito ad agire da cristiani sottolineando che nella Lettera di Pietro si legge: “Non ricambieranno insulto per insulto (2,22) né male per male (3,8); saranno unanimi, comprensivi, amorevoli, compassionevoli, umili (3:8); saranno pronti a dare una spiegazione di una ragione della loro speranza in mezzo a persecuzioni e sofferenze (3,15), cioè la risurrezione di Gesù Cristo dai morti (1,3). E ancora: Osservando le loro buone opere, i loro persecutori possono sperare di glorificare Dio” (2:12).

Il sogno di una famiglia umana

“Sogno questa casa per la Chiesa, la famiglia umana e la creazione”, così il cardinale ha invitato a “lasciare che il sogno ci purifichi oggi”. In primo luogo, ha ricordato che la Lettera è indirizzata ai cristiani della diaspora dove si trovavano e sono stati fatti sentire estranei e persino esiliati, per poi affermare che “a volte diventiamo così consolidati nei nostri modi e progetti che iniziamo a pensare a noi stessi e a comportarci come proprietari di terre, popoli e idee”. Ha richiamato l’espressione di Papa Francesco che “parla sempre di una Chiesa in uscita”, spiegando di immaginare “una Chiesa che sia casa spirituale proprio nel suo continuo incontro con i popoli nelle loro diverse condizioni di vita”.

Gli sfollati di oggi

Il pensiero forte agli sfollati di oggi: Tagle ricorda i migranti forzati, i rifugiati, le vittime della tratta di esseri umani, la schiavitù, i pregiudizi, le persecuzioni sistematiche, le guerre e le catastrofi ambientali. “Persone che – ha detto – quando raggiungono un posto nuovo, non migliorano necessariamente la propria  condizione. In quanto estranei, vengono spesso evitati, emarginati e accusati dei mali della società”. Dunque la domanda che il porporato ha detto di porgere per tutti: “Come Chiesa e come umanità, in che modo stiamo affrontando milioni di ‘senzatetto’? Troveranno ospitalità e compassione?”. La domanda fondamentale – ha sottolineato – è come vediamo e ci relazioniamo con ‘l’altro’ o con chi è diverso da noi. E tutto ciò “ci porta ancora una volta alla questione della diversità nella costruzione della nostra casa comune”.

I rischi per “la casa spirituale”

Tagle ha spiegato che si deve riconoscere “con tristezza” che “anche all’interno della Chiesa le questioni etniche e culturali rovinano la casa spirituale”. E in generale ha ricordato che “sognare una famiglia umana comune sta diventando difficile anche per le generazioni future a causa di ricordi traumatici causati da anni di abbandono, violenze e guerre”.

La sfida contemporanea del populismo

Il cardinale ha messo in evidenza che “la costruzione di relazioni affronta una sfida contemporanea nel cosiddetto ‘populismo’. Ha ricordato che “Papa Francesco considera problematico l’uso del populismo come chiave di lettura della società perché disattende il significato legittimo della parola ‘popolo’ (Fratelli tutti 157)”.

Spinte alla polarizzazione in società già divise

Nel suo intervento, il porporato ha ricordato infine che i social media hanno influenzato il linguaggio quotidiano diffondendo questo uso problematico delle parole “populismo” e “populista”. Di conseguenza, ha spiegato, “hanno perso qualsiasi valore avrebbero potuto avere e sono diventati un’altra fonte di polarizzazione in una società già divisa”. Secondo Tagle, si cerca di classificare interi popoli, gruppi, società e governi come “populisti o meno”. Dunque l’invito forte alla riflessione: “È triste notare che i cosiddetti demagoghi populisti usano (o abusano) della religione per i loro interessi, minando gli sforzi per sviluppare relazioni e formare una famiglia umana”.

La tecnologia digitale e il salto generazionale

Non possiamo nemmeno ignorare l’“alterità” intergenerazionale vissuta all’interno della famiglia, ha affermato poi il cardinale, parlando della tecnologia digitale. In tempi di intelligenza artificiale, che tende a rimodellare o ridefinire l’identità umana, il lavoro umano e le relazioni umane – ha avvertito – la Lettera di Pietro ci dice “Vieni a Gesù, pietra viva” perché in Lui possiamo diventare pietre vive della casa spirituale di Dio. Dunque l’invito a imparare da Gesù quella che definisce “l’intelligenza culturale”.

La risorsa dell’umiltà

Una convinzione: “Invitare le persone a camminare e vivere insieme richiede umiltà”. Le persone – ha ricordato il cardinale Tagle –  sono diverse non solo per la libertà individuale, ma anche per la cultura, che per noi è come una seconda natura. Parliamo, ci comportiamo, ci relazioniamo, mangiamo, addoloriamo e celebriamo – ha chiarito  – secondo le nostre culture”. E dunque ha spiegato proprio cosa dovrebbe significare l “intelligenza culturale”: “Man mano che cresco nella conoscenza di come la mia cultura mi ha plasmato, cerco anche di capire come le altre persone esprimono la loro umanità nelle loro culture”. Con una raccomandazione precisa: “Nel processo devono essere ammesse e purificate tutte le tracce di superiorità e pregiudizio culturale”. “È necessaria umiltà per ammettere che, sebbene manchi di conoscenza di molte culture, potrei essere pronto a giudicare ciò che non mi è familiare”.

Il ruolo dei leader religiosi

Il cardinale ha inoltre suggerito “che i responsabili pastorali sviluppino la loro capacità di apprezzare le altre culture non solo attraverso studi sociologici ma anche attraverso la semplice osservazione”. E ha ribadito una convinzione: “Il cammino interculturale insieme riduce la paura dell’altro; permette alle culture di purificarsi e trarre il meglio l’una dall’altra”. Gesù, ha affermato, era una persona della sua cultura, ma ha anche portato la “cultura” di Dio nelle culture umane. “Fu crocifisso fuori le mura della città. Dal suo fianco ferito è nata una casa per forestieri ed esiliati. Vuole che il Suo Corpo, la Chiesa, sia quella casa. In Lui come pietra viva, i suoi discepoli trovano speranza e motivo di gioia”.

06/08/22

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Voto in Senegal, ridimensionato il partito del presidente

Lo schieramento del presidente Sall non ha più la maggioranza assoluta dopo il voto di domenica. Da mesi si registrano tensioni nel Paese dell’Africa occidentale simbolo di stabilità e democrazia. Si parla di violare il vincolo che esclude un terzo mandato presidenziale mentre anche la solida economia del Senegal risente fortemente della negativa congiuntura internazionale, spiega l’africanista Aldo Pigoli

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Lo schieramento presidenziale in Senegal ha perso la maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale, rimane in testa con un vantaggio molto ristretto dopo le elezioni legislative del 31 luglio. Lo hanno riferito giovedì sera i risultati ufficiali provvisori della Commissione nazionale per il censimento dei voti (Cnrv). La coalizione presidenziale risulta aver vinto 82 seggi parlamentari, mentre la principale alleanza di opposizione, formata dalle coalizioni Yewwi Askan Wi e Wallu Senegal, risulta aver ottenuto 80 seggi in totale, rispettivamente 56 e 24.  Altri tre deputati provengono dalle fila di tre piccole coalizioni di partiti.

Le contestazioni prima dei risultati ufficiali

Nei giorni scorsi, sia il partito al governo del presidente Macky Sall, Benno Bokk Yakaar (BBY), sia l’opposizione avevano rivendicato la vittoria, citando risultati parziali. Le legislative di domenica rappresentano l’ultima chiamata alle urne prima delle presidenziali del 2024 e seguono le amministrative di gennaio vinte dall’opposizione nelle grandi città del Senegal. Nei giorni scorsi, la coalizione di governo aveva affermato di aver vinto 30 dei 46 dipartimenti amministrativi del Senegal, ammettendo solo di aver perso Dakar.  L’opposizione aveva invitato i propri sostenitori a dichiararsi pronti a difendere i voti con ogni mezzo. Inoltre, secondo il rappresentante di YAW, Dethie Fall, ci sono state irregolarità di voto nei seggi elettorali nelle regioni settentrionali.

Tensione che dura da un anno

La decisione di Sall di superare la normativa che imponeva di non concorrere per un terzo mandato ha alimentato la tensione intorno al voto. Inoltre, proteste sono scoppiate nel Paese politicamente stabile dell’Africa occidentale con 17,5 milioni di persone da quando l’anno scorso, Sonko, arrivato terzo nelle ultime elezioni presidenziali del 2019, è stato arrestato con l’accusa di stupro. Sonko nega ogni accusa.

Delle crescenti tensioni sociali in Senegal, abbiamo parlato con Aldo Pigoli, docente di Storia dell’Africa contemporanea all’Università Cattolica di Milano:

Il professor Pigoli ricorda che il Senegal è Paese simbolo di stabilità nell’Africa occidentale perché – spiega – si è dotato di una solida struttura politico istituzionale con meccanismi propri di una democrazia. Inoltre, ha conosciuto negli ultimi decenni un’ottima crescita economica che dopo il  2010 ha registrato punte  del 6 per cento. Inoltre, – sottolinea Pigoli – è un Paese che ha saputo rispetto a tanti altri Paesi africani differenziare abbastanza l’economia. Purtroppo  – afferma – le ripercussioni della pandemia e della guerra in Ucraina si sono fatte sentire anche in Senegal: nel momento in cui il Paese si stava riprendendo, con fatica ma in modo promettente, per le perdite da Covid19 è arrivata la crisi del grano. In questo contesto non spaventa una dialettica politica che abbia anche momenti di contrapposizione tra partiti diversi ma – dice Pigoli – preoccupa se si aprono scenari di cambi istituzionali come quello ipotizzato dal presidente di non rispettare il vincolo di due mandati presidenziali: in vista del voto presidenziale del 2024 si ipotizza che Sall voglia far abolire il vincolo. Ci si augura – aggiunge – che le tensioni sociali dovute alle difficoltà economiche non si sommino alle tensioni politiche.

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A New York Conferenza Onu per rafforzare l’accordo contro le armi nucleari

Dopo oltre 50 anni, è in discussione il Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp). La Conferenza delle Nazioni Unite si svolge, dopo il ritardo di due anni per la pandemia, in un momento di forte criticità di rapporti internazionali, come sottolinea il direttore della Rivista Italiana Difesa, Pietro Batacchi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Da oggi al 26 agosto si tiene a New York la Conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp). Il Papa con un tweet ha ribadito il no alle armi atomiche. Nella sede delle Nazioni Unite, si ritrovano i delegati dei 190 Stati coinvolti, chiamati a elaborare un documento finale che stabilisca un programma di azione per il prossimo quinquennio. In particolare, in discussione c’è la questione della proibizione dell’uso e della minaccia dell’uso dell’arma nucleare o quanto meno l’interdizione del suo primo uso. A presiedere la Conferenza è l’ambasciatore argentino Gustavo Zlauvinen.

Un baluardo da oltre 50 anni

Il Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp), firmato il 1° luglio 1968, è da oltre cinquant’anni il principale baluardo contro la diffusione delle armi nucleari nel mondo. Rimane il principale accordo che disciplina l’intero settore nucleare sia esso civile (centrali nucleari) che militare (armi nucleari). Delle sfide abbiamo parlato con Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa:

Batacchi ricorda che il Trattato sancisce il “diritto inalienabile” all’energia nucleare, ma proibisce al tempo stesso la diffusione delle armi nucleari. La proibizione – spiega –  non è totale poiché a cinque Stati (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) viene concesso di detenere l’arma nucleare. La principale forza di questo Trattato consiste nel fatto che vi ha aderito la stragrande maggioranza degli Stati inclusi cinque Paesi nucleari. Tra i pochissimi che non vi aderiscono figurano, però, alcuni Paesi dotati dell’arma nucleare: India, Israele, Pakistan e Corea del Nord.

Puntelli mancanti

Batacchi sottolinea quanti anni sono passati spiegando che il Tnp si è andato progressivamente erodendo a causa dell’applicazione, ritenuta insoddisfacente, dell’articolo 6 che prevede l’impegno degli Stati a negoziare in un tempo ravvicinato “una cessazione della corsa agli armamenti nucleare e il disarmo nucleare”.

Il fattore Ucraina

Batacchi mette in luce pure come la Conferenza, rimandata per due anni per via della pandemia, si svolga in un momento particolarmente critico per le relazioni internazionali segnate dal conflitto in Ucraina. Tra i punti fermi del Trattato c’è quello della protezione fornita dalla deterrenza nucleare. Gli esperti spiegano che, in una crisi, la deterrenza può essere vulnerabile, non automatica e auto-applicante. C’è sempre la possibilità che possa fallire. È proprio su questi limiti alla deterrenza che sembra si voglia provare a intervenire per rafforzare la sicurezza. Secondo la stampa internazionale, l’invasione russa scattata a febbraio scorso potrebbe indurre alcuni Paesi a ripensare la rinuncia all’arma nucleare. Sarebbe la fine del Tnp. Sul piano procedurale non sarà facile costruire il consenso di 190 Stati su un documento finale che stabilisca un programma di azione per il prossimo quinquennio. Sul piano della sostanza la Conferenza non potrà ignorare gli accresciuti rischi di un conflitto nucleare derivanti dalla guerra in Ucraina.

Un Trattato “concorrente”

Nel 2017, è stata lanciata l’iniziativa di un Trattato sulla proibizione totale dell’arma nucleare (Tpnw) che è entrato in vigore nel gennaio 2021. Il principale punto debole del Tpnw è che nessuno degli attuali nove Paesi possessori dell’arma atomica vi ha aderito. Inoltre il Trattato Tpnw è solo in parte compatibile con il Tnp proprio poiché prevede una proibizione dell’arma nucleare senza eccezioni. Il possesso non ne è consentito neppure ai cinque Stati nucleari previsti dal Tnp ed è esplicitamente proibito lo stazionamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale. Queste disposizioni sono problematiche per i Paesi che attualmente hanno le armi atomiche e anche per i Paesi Nato perché incompatibili con la dottrina strategica dell’Alleanza che non esclude, in circostanze eccezionali, anche l’impiego dell’arma nucleare. Per la prima volta la Conferenza di questi giorni si dovrà confrontare anche con la realtà di un nuovo Trattato.

I numeri noti

Ad oggi esistono circa 13.000 testate nucleari e sebbene tale numero sia diminuito dal picco di circa 70 mila testate nel 1986, per la prima volta dopo decenni è ripartita la corsa agli armamenti. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, si prevede che l’arsenale nucleare aumenti nei prossimi anni.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-08/armi-nucleari-trattato-non-proliferazione-onu-conferenza.html

“Fermarsi e negoziare”: nuovo appello del Papa per l’Ucraina

Dopo la preghiera dell’Angelus, il Papa rivolge il pensiero all’Ucraina che, dice, non lo ha mai abbandonato durante il viaggio in Canada. Di fronte al “flagello della guerra”, Francesco prega che “la saggezza ispiri passi concreti di pace”. Del pellegrinaggio penitenziale in Canada annuncia che parlerà nella prossima udienza generale, non senza tornare a ringraziare tutti

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Anche durante il viaggio non ho mai smesso di pregare per il popolo ucraino, aggredito e martoriato, chiedendo a Dio di liberarlo dal flagello della guerra”. Così Papa Francesco, dopo la recita della preghiera mariana dell’Angelus, è tornato a chiedere “che la saggezza ispiri passi concreti di pace” nel Paese dove continuano i bombardamenti.  (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Se si guardasse la realtà obiettivamente, considerando i danni che ogni giorno di guerra porta a quella popolazione ma anche al mondo intero, l’unica cosa ragionevole da fare sarebbe fermarsi e negoziare. Che la saggezza ispiri passi concreti di pace.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-07/appello-ucraina-guerra-flagello-passi-pace-canada-viaggio.html

Intanto via libera ad esperti Onu nel carcere bombardato nel Donbass

Con l’accordo della Russia, esperti delle Nazioni Unite e della Croce Rossa si preparano a visitare il carcere di Olenivka, in Donbass, che è stato preso di mira nella notte del 29 luglio da un attacco missilistico in cui sono morti oltre 50 prigionieri di guerra ucraini. Ad annunciarlo è stato il ministero della Difesa russo, spiegando che in questo modo Mosca vuole facilitare una “indagine obiettiva” sull’attacco di cui le parti in conflitto si accusano a vicenda. Secondo Kiev, l’attacco è stato voluto per occultare torture sui prigionieri.

Zelensky chiede di evacuare il Donetsk

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribadito l’appello ad evacuare la regione del Donetsk nell’Est del Paese, le cui città sono colpite da bombardamenti continui, per fuggire dal “terrore russo”. “Il governo ha deciso l’obbligo dell’evacuazione della regione del Donetsk – ha detto in un video rivolto ai connazionali – Per favore evacuate! In questa fase della guerra, il terrore è l’arma principale della Russia”. La decisione era stata annunciata dalla vice primo ministro Irina Vereshchuk, motivandola con la distruzione delle reti di gas e l’assenza di riscaldamento prevista per la prossima stagione invernale.

Attacco in Crimea

Il governatore della Crimea, Mikhail Razvozhaiev, citato dalla Tass, ha scritto che il drone che ha ferito cinque persone questa mattina in un attacco alla sede del comando della Flotta russa del Mar Nero a Sebastopoli, ha iniziato a sparare una volta entrato nel cortile dell’edificio. Tutti i feriti, ha aggiunto, hanno ricevuto assistenza medica. Il governatore ha scritto che i servizi d’intelligence russi (Fsb) sono al lavoro per chiarire le circostanze dell’attacco che Mosca attribuisce agli ucraini. Razvozhaiev ha invitato la popolazione di Sebastopoli a restare calma e ha decretato la cancellazione degli eventi che erano previsti oggi per la Giornata della Flotta russa. Inoltre, nel sud dell’Ucraina, secondo il quotidiano The Kyiv Independent, il comando operativo “Sud” ha dichiarato di aver ucciso 33 soldati russi e distrutto due obici russi Msta-B, un lanciarazzi multiplo Grad, 2 depositi di munizioni e 3 veicoli corazzati e militari.

Bombe su Kharkiv

Il sindaco di Kharkiv Ihor Terekhov ha riferito di bombardamenti nella notte nel distretto Nemyshlianskyi. Secondo le informazioni preliminari, l’attacco avrebbe danneggiato alcuni edifici.

Carico di grano trattenuto in Libano

Intanto il Libano trattiene una nave con un carico di grano ucraino. Lo riporta sempre The Kyiv Independent. L’ambasciata ucraina in Libano fa sapere di aver ricevuto un’ordinanza che consente il sequestro della nave per 72 ore. Nei giorni scorsi, l’ambasciata aveva informato i funzionari che una nave siriana carica di grano rubato dai territori ucraini occupati era attraccata al porto di Tripoli.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-07/russia-ucraina-carcere-donbass-evacuazione-onu-croce-rossa.html

Diritto e dimensione umana planetaria delle sfide

“C’è bisogno di politiche creative e lungimiranti, che sappiano uscire dagli schemi delle parti per dare risposte alle sfide globali”. Tra le tante riflessioni proposte da Francesco nel corso del viaggio penitenziale in Canada, questa frase, in modo particolare, interpella la filosofia del diritto, spiega l’esperto in materia Mario Sirimarco, che parla di costituzionalismo mondiale in cui l’umanità sia soggetto di diritto

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Le grandi sfide di oggi – come la pace, i cambiamenti climatici, gli effetti pandemici e le migrazioni internazionali – sono accomunate da una costante: sono globali, riguardano tutti. E’ la riflessione proposta da Papa Francesco, tra tante, nell’incontro con le autorità civili nel capoluogo della provincia del Quebec, nella quarta giornata del viaggio penitenziale in Canada.

Non dividere il mondo in amici e nemici

“Non abbiamo bisogno di dividere il mondo in amici e nemici, di prendere le distanze e riarmarci fino ai denti” – ha detto il Papa – non saranno la corsa agli armamenti e le strategie di deterrenza a portare pace e sicurezza”.

Oltre la morsa dei conflitti e delle “guerre fredde”

Forte il richiamo: “Non c’è bisogno di chiedersi come proseguire le guerre, ma come fermarle”, ha detto il Papa. Preciso l’obiettivo: “Impedire che i popoli siano tenuti nuovamente in ostaggio dalla morsa di spaventose guerre fredde allargate”. Chiaro l’invito: “Di fronte all’insensata follia della guerra, abbiamo nuovamente bisogno di lenire gli estremismi della contrapposizione e di curare le ferite dell’odio”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-07/canada-guerre-sfide-globali-diritto-filosofia-politiche-creative.html

In Tunisia il cruciale voto sulla nuova Costituzione

Dopo giorni di forti tensioni tra manifestanti e polizia con diversi arresti, si vota in Tunisia per il referendum sulla nuova Costituzione, un testo voluto dal presidente Saied, che divide la popolazione. Diversi aspetti rendono la situazione complessa e preoccupante nel Paese strategico per il mondo arabo e l’Europa, spiega l’arcivescovo di Tunisi, monsignor Ilario Antoniazzi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Si sono aperti in Tunisia i seggi per il referendum popolare sulla nuova Costituzione voluta dal presidente Kais Saied. Gli oltre nove milioni di cittadini chiamati alle urne devono semplicemente esprimersi sull’approvazione o meno del testo proposto da Saied. Non è fissato un quorum, quindi la Carta passerà con la maggioranza di “sì” dei voti espressi, ha precisato la Commissione elettorale (Isie), aggiungendo che i risultati ufficiali saranno annunciati tra il 26 e il 27 luglio.

I timori

La nuova Costituzione, se approvata, concederà ampi poteri al presidente che eserciterà la funzione “esecutiva” con l’aiuto di un governo e avrà altresì una forte influenza sul piano legislativo e su quello giudiziario. Dall’opposizione e dalla società civile si sono levate voci di critica che esprimono il timore per una deriva autoritaria del Paese e che invitano a non recarsi alle urne o a votare no. A controllare le operazioni di voto ai seggi, che chiudono alle 22:00 (ora locale, le 23:00 in Italia), sono stati schierati 84.000 agenti. Poche invece le missioni degli osservatori internazionali: ci sono osservatori dell’Unione Africana, della Lega Araba,  del Carter Center.

Alla base delle proteste

Manifestazioni contro il carovita si registrano periodicamente dal 2018. In particolare negli ultimi mesi lo scontento per l’aumento dei prezzi alimentari e quello dei carburanti che investe molti Paesi si è esasperato. Di diversi aspetti che rendono la situazione complessa abbiamo parlato con l’arcivescovo di Tunisi, monsignor Ilario Antoniazzi:

Monsignor Antoniazzi ricorda che Saied è stato il presidente più votato nella storia della Tunisia, per sottolineare quante speranze la popolazione avesse riposto nella sua presidenza.

Il fattore economia

Ma – ricorda – l’economia è andata male e la gente da mesi e mesi non riesce a vedere la prospettiva di un futuro migliore. I prezzi sono aumentati e – ricorda l’arcivescovo – si fa sentire la crisi del grano perché anche la Tunisia è tra i Paesi che importano dall’Ucraina. C’è stato un momento – spiega – in cui è mancato il pane e questo non può lasciare la popolazione indifferente.

Diverse dinamiche politiche

Monsignor Antoniazzi parla della Costituzione soffermandosi sui timori di tanti, sull’ipotesi di una deriva dittatoriale e per il fatto che sono davvero tanti i poteri che si verrebbero ad assommare nella figura del presidente. A questo proposito, il presule ricorda che per molti anni i tunisini hanno vissuto democrazia e libertà di azione e di coscienza e dunque non intendono facilmente fare passi indietro. Oltre a questo individua però un altro motivo alla base di alcune manifestazioni: si tratta di proteste alimentate dai sostenitori dei partiti islamici che durante la presidenza di Saied hanno perso il potere che avevano acquisito. Sono diverse dunque le spinte – afferma l’arcivescovo – che fomentano le tensioni.

La Tunisia Paese pilota

A fine 2010 proprio dal Paese è partito il primo disperato gesto di  ribellione – l’ambulante che si è dato fuoco – che ha messo in moto i vari movimenti denominati primavera araba. In Tunisia – ricorda l’arcivescovo di Tunisi – viene ricordata come la rivoluzione dei gelsomini, ma – sottolinea – purtroppo l’evoluzione non è stata proprio quella sperata. Secondo monsignor Antoniazzi alla rivoluzione è poi mancata una direzione, una leadership che indicasse una strada. Fa l’esempio di un cavallo in corsa che fa cadere il peso che porta e che non trova nessuno che lo indirizzi. Dal punto di vista della popolazione i partiti che si sono succeduti in questi anni  sono stati deludenti. E – afferma – la situazione oggi secondo tante persone è senza speranza. Monsignor Antoniazzi parla di preoccupazione ricordando che la Tunisia è un Paese pilota per molti Paesi arabi e sotto certi punti di vista è una porta dell’Africa. La crisi fa paura – aggiunge – anche vista dall’Unione europea.

La risorsa giovani

L’arcivescovo di Tunisi ricorda che si tratta di una popolazione giovane e che moltissimi dei ragazzi sono laureati o comunque istruiti. Parla di un popolo che ama la libertà e la pace e che dunque vuole superare le crisi. Può farlo – ribadisce – proprio se si offrono opportunità alle nuove generazioni che rappresentano la speranza.

 

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-07/tunisia-costituzione-referendum-giovani-economia-grano-ucraina.html

Draghi si dimette governo in carica per affari correnti

In Italia il presidente del Consiglio, Mario Draghi, dopo aver riferito al presidente della Repubblica Mattarella in merito alla discussione e al voto al Senato, ha reiterato le dimissioni sue e del governo da lui presieduto. Il presidente ne ha preso atto. L’esecutivo rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto questa mattina al Palazzo del Quirinale il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, il quale, dopo aver riferito in merito alla discussione e al voto di ieri presso il Senato, ha reiterato le dimissioni sue e del Governo da lui presieduto. Il Presidente della Repubblica ne ha preso atto. Il governo rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti.  Secondo la prassi, si prevede un’autolimitazione del governo che non ha più la pienezza dei poteri. Dovrebbe significare che non ha capacità programmatica e quindi che non si fanno disegni di legge (Finanziaria inclusa), non si approvano decreti legislativi (come quelli della riforma fiscale e della riforma della giustizia), salvo eccezioni imposte da scadenze imminenti (il Piano nazionale ripresa resilienza, Pnrr). Non si ipotizzano nomine. Si concludono le attività già in corso e, al bisogno, si affrontano imprevisti. In caso di emergenza si possono emanare decreti legge.

Il passaggio alla Camera

Alle 9:00 del mattino Mario Draghi si è recato alla Camera dei deputati dove ha ricevuto un lungo applauso. Ha riferito di recarsi al Quirinale, pertanto al seduta è stata aggiornata alle 12:00.

Il voto al Senato

Draghi non è stato di fatto sfiduciato: ieri il voto al Senato si è chiuso con 95 voti a favore e 38 contrari: erano 192 i senatori presenti, 133 i votanti. Ma Lega, Forza Italia e Movimento 5 Stelle  non hanno votato e dunque non si è trattato della fiducia per “un nuovo patto” così come richiesto da Draghi nel suo discorso di ieri.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-07/italia-governo-dimissioni-quirinale-draghi-mattarella.html

La crisi di governo in Italia in discussione al Parlamento

Mario Draghi interpella il Parlamento di fronte allo “sfarinamento della maggioranza sull’agenda di modernizzazione del Paese”. Chiede “un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto” in quello che definisce “un contesto di emergenza”. Dopo le dimissioni presentate da Draghi ma respinte dal presidente Mattarella, due giorni di dibattiti – uno in Senato e uno alla Camera – devono chiarire se in Italia cade davvero il governo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Ritengo che un presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori debba avere in parlamento il sostegno più ampio possibile”. Con queste parole, il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, dopo aver rassegnato le dimissioni al Capo dello Stato giovedì scorso, proprio su invito di Mattarella questa mattina ha chiesto al Senato di confermare l’impegno di un nuovo patto tra forze politiche Draghi, che domani consegnerà il discorso alla Camera, ha interpellato i senatori con chiarezza: “All’Italia non serve una fiducia di facciata, – ha affermato – che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi”.

Sulla vita degli italiani

Secondo Draghi il “contesto è di emergenza” – il governo deve prendere “decisioni che incidono profondamente sulla vita degli italiani”- ed è incompatibile con quello che ha definito “un crescente desiderio di distinguo e divisione delle forze politiche”. Da qui, la “scelta tanto sofferta, quanto dovuta” delle dimissioni presentate a Mattarella che ha rimandato la crisi al parlamento. Nella giornata di domani, dopo il dibattito di oggi al Senato e di domani alla Camera, si conoscerà l’esito della crisi.

L’appello alle forze politiche

Serve “un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto”, come lo sforzo che – ha riconosciuto – è stato compiuto nei primi mesi dalla maggioranza di unità nazionale. A questo proposito, ha aggiunto: “A lungo le forze della maggioranza hanno saputo mettere da parte le divisioni e convergere con senso dello Stato e generosità verso interventi rapidi ed efficaci, per il bene di tutti i cittadini”. Dunque il richiamo a Mattarella: quando Draghi ha riconosciuto che “l’amplissimo consenso di cui il governo ha goduto in Parlamento ha permesso di avere quella ‘tempestività’ nelle decisioni che il presidente della Repubblica aveva richiesto”. Tra l’altro Draghi ha chiesto di rimanere “uniti contro la burocrazia inutile”.

Strappi ed ultimatum

Il voto di giovedì scorso in Consiglio dei ministri ha certificato la fine del patto di fiducia, “dopo mesi di strappi ed ultimatum”. E’ venuta meno la maggioranza di unità nazionale che – ha affermato Draghi – ha appoggiato il governo sin dalla sua nascita. “Non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte è un gesto politico chiaro – ha ribadito – e non è possibile ignorarlo, perché equivarrebbe a ignorare il Parlamento”.

Distinguo e divisione

Per le mosse politiche che hanno portato alla crisi, Draghi ha usato un’espressione precisa: ha parlato di “sfarinamento della maggioranza sull’agenda di modernizzazione del Paese”. Con il passare dei mesi – ha  detto – alla domanda di coesione che arrivava dai cittadini “le forze politiche hanno opposto un crescente desiderio di distinguo e divisione”.

In particolare, “le riforme del Consiglio Superiore della Magistratura, del Catasto, delle concessioni balneari hanno mostrato un progressivo sfarinamento della maggioranza sull’agenda di modernizzazione del Paese”. In politica estera, Draghi ha parlato di “tentativi di indebolire il sostegno del governo verso l’Ucraina, di fiaccare la nostra opposizione al disegno del presidente Putin”. E ha aggiunto: “Le richieste di ulteriore indebitamento si sono fatte più forti proprio quando maggiore era il bisogno di attenzione alla sostenibilità del debito”.

Il richiamo ai cittadini

Draghi ha fatto riferimento poi alla mobilitazione di questi giorni da parte di cittadini, associazioni, territori a favore della prosecuzione del governo, definendola “senza precedenti e impossibile da ignorare”. Ha coinvolto il Terzo settore, la scuola e l’università, il mondo dell’economia, delle professioni e dell’imprenditoria, lo sport. Ha parlato di “un sostegno immeritato”, per il quale si è detto “enormemente grato”. Ha ricordato anche la domanda di stabilità che viene dal personale sanitario, “gli eroi della pandemia, verso cui la gratitudine collettiva è immensa”.

I successi rivendicati

Non sono mancati nel discorso di Draghi gli esempi di passi compiuti e di riforme da chiudere per l’accesso ai fondi del cosiddetto PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: dagli asili nido alla giustizia, con il reddito di cittadinanza “da difendere, ma da migliorare”. In particolare ha citato: misure di contenimento sanitario, campagna di vaccinazione, provvedimenti di sostegno economico a famiglie e imprese, slancio alla ripresa economica con la spinta agli investimenti e la protezione dei redditi delle famiglie. Un dato ricordato: lo scorso anno in Italia l’economia è cresciuta del 6,6 per cento e il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è sceso di 4,5 punti percentuali. Draghi ha rivendicato al governo diverse riforme.

Innanzitutto le riforme della giustizia: “è stata fatta la riforma del processo penale, del processo civile e delle procedure fallimentari ed è stata portata in Parlamento la riforma della giustizia tributaria”.

Draghi ha parlato poi di fisco affermando che “in Italia il fisco è complesso e spesso iniquo”, ricordando che per questo non sono state aumentate le tasse sui cittadini, sottolineando che “l’ultima legge di bilancio ha avviato la revisione dell’Irpef e la riforma del sistema della riscossione”.

Ha ricordato le riforme della concorrenza, degli appalti, oltre alla “corposa agenda di semplificazioni, un passo in avanti essenziale per modernizzare l’Italia”. “Tutti gli obbiettivi dei primi due semestri del PNRR sono stati raggiunti”, ha aggiunto ricordando che l’Italia ha già ricevuto dalla Commissione Europea 45,9 miliardi di euro,  cui si aggiungeranno nelle prossime settimane ulteriori 21 miliardi – per un totale di quasi 67 miliardi.

Questione ucraina: tra reazione e pace

Draghi ha fatto riferimento anche alla reazione dell’Italia “con assoluta fermezza all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”, sottolineando che “la condanna delle atrocità russe e il pieno sostegno all’Ucraina hanno mostrato come l’Italia possa e debba avere un ruolo guida all’interno dell’Unione Europea e del G7”. Allo stesso tempo, Draghi ha affermato che l’Italia non ha mai cessato la  ricerca della pace –  “una pace che deve essere accettabile per l’Ucraina, sostenibile, duratura” e che il governo italiano è stato “tra i primi a impegnarsi perché Russia e Ucraina potessero lavorare insieme per evitare una catastrofe alimentare, e allo stesso tempo aprire uno spiraglio negoziale”. Ha rivendicato inoltre l’impegno per superare “l’inaccettabile dipendenza energetica dalla Russia” che Draghi ha definito “conseguenza di decenni di scelte miopi e pericolose”. E poi l’impegno per “proteggere cittadini e imprese dalle conseguenze della crisi energetica, con particolare attenzione ai più deboli”: stanziati 33 miliardi in poco più di un anno, quasi due punti percentuali di PIL, “nonostante i margini di finanza pubblica fossero ristretti”.

I propositi per il futuro

Nel suo discorso al Senato Draghi ha accennato anche ai provvedimenti che aspettano di essere adottati. Ancora in tema di fisco ha chiarito: “Ridurre le aliquote Irpef a partire dai redditi medio-bassi; superare l’Irap; razionalizzare l’Iva”. E poi: “Entro i primi di agosto bisogna adottare un provvedimento corposo per attenuare l’impatto su cittadini e imprese dell’aumento dei costi dell’energia, e poi per rafforzare il potere d’acquisto, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione”. A “medio termine, ridurre il carico fiscale sui lavoratori, a partire dai salari più bassi”. Ha ricordato che “a livello europeo è in via di approvazione definitiva una direttiva sul salario minimo”, per poi pronunciarsi sul reddito di cittadinanza: “Una misura importante per ridurre la povertà, che può essere migliorato per favorire chi ha più bisogno e ridurre gli effetti negativi sul mercato del lavoro”. Tra i propositi, citato anche “il bisogno di una riforma delle pensioni che garantisca meccanismi di flessibilità in uscita in un impianto sostenibile, ancorato al sistema contributivo”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-07/italia-governo-mario-draghi-senato-camera-crisi-riforme-ucraina.html

In Sri Lanka un presidente ad interim e elezioni immediate

Il primo ministro dello Sri Lanka ha giurato come presidente ad interim del Paese. Il Parlamento eleggerà il nuovo capo di Stato il 20 luglio, dopo le dimissioni di Rajapaksa presentate da Singapore. Si apre una nuova fase politica dopo le sanguinose proteste culminate nell’assalto al palazzo presidenziale la scorsa settimana. Non mancano sfide e incognite, come sottolinea lo studioso di relazioni internazionali Antonello Biagini

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il primo ministro dello Sri Lanka, Ranil Wickremesinghe, ha giurato come presidente ad interim del Paese e il Parlamento eleggerà il nuovo presidente il 20 luglio, dopo le dimissioni di Gotabaya Rajapaksa: lo hanno reso noto oggi gli uffici del primo ministro e dello speaker del Parlamento. Le candidature per la carica di presidente saranno ricevute martedì prossimo e i deputati voteranno il giorno successivo, ha precisato l’ufficio dello speaker Mahinda Yapa Abeywardana. Nel frattempo, Wickremesinghe, 73 anni, ha prestato giuramento davanti al giudice capo, Jayantha Jayasuriya. Della svolta nel Paese e delle prospettive che si aprono Fausta Speranza ha parlato con Antonello Biagini, esperto di relazioni internazionali:

La corruzione che ha incendiato gli animi

Innanzitutto il professor Biagini amplia lo sguardo agli ultimi quarant’anni per dire che diverse vicende hanno messo a dura prova il Paese, tra cui i fatti legati alla formazione paramilitare denominata Tigri per la liberazione della patria Tamil, il pesante terremoto e poi la pandemia. Afferma, inoltre, che su tutto ha giocato un ruolo il livello di corruzione. Sottolinea che dopo l’ingresso dei manifestanti al palazzo presidenziale e la fuga del presidente la popolazione deve nutrire grande attesa per cambiamenti incisivi. Certamente – nota – i tempi stretti per nuove elezioni vengono incontro al bisogno di cambiamento ma nello stesso tempo non rendono facile un processo di rinnovamento.

Il peso del debito pubblico

Lo studioso mette in luce la questione del debito con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) che evidentemente lo Sri Lanka non riesce a pagare. Non riesce neanche a pagare gli interessi. E a questo proposito l’appello degli osservatori è che il Fondo possa rivedere alcune scadenze di pagamento. Nel frattempo – dice Biagini – è importante che si ritrovi una dimensione appropriata della politica all’interno e che i Paesi più forti della regione si muovano considerando la delicatezza della situazione.

L’ombra del conflitto in Ucraina

Biagini ricorda che al mondo ci sono tanti conflitti ma sottolinea anche che indubbiamente quello in Ucraina ha caratteristiche che ne fanno una crisi con ripercussioni sentite o potenziali ben oltre l’area interessata. Tra tante conseguenze, c’è quella dei prezzi delle materie prime e dei cereali che, in qualche modo, nelle logiche commerciali attuali – afferma Biagini – può avere a che fare  anche con il rialzo del prezzo del riso in Sri Lanka, aumentato nelle ultime settimane del 95 per cento. Biagini ricorda che in tutte le guerre ci sono state speculazioni sui prodotti in genere e sui prodotti alimentari ma ribadisce che situazioni tanto complesse come quella relativa alla crisi ucraina si prestano in particolare a meccanismi di speculazioni a catena.

Le dimissioni di Rajapaksa

Le dimissioni del presidente Rajapaksa dalla guida dello Sri Lanka in grave crisi economica, sono state annunciate dal presidente del Parlamento Mahinda Yapa Abeywardana, al quale il capo dello Stato aveva anticipato la decisione da Singapore. Abeywardana ha detto ai giornalisti di aver accettato le dimissioni. Secondo la costituzione dello Sri Lanka, il primo ministro, Ranil Wicremesinghe, diventerà automaticamente presidente ad interim fino a quando il parlamento non potrà eleggere successore di Rajapaksa per il resto del suo mandato. Non è ancora chiaro se l’ex presidente resterà a Singapore dopo l’uscita dallo Sri Lanka.

Intanto, le proteste nel Paese hanno causato anche mercoledì la morte di un dimostrante, soffocato per il lancio di gas lacrimogeni, mentre altri 84 sono stati ricoverati con diverse ferite dopo l’assalto all’ufficio del primo ministro nella capitale Colombo. E nella notte tra mercoledì e giovedì un soldato e un agente sono rimasti feriti negli scontri avvenuti con i manifestanti davanti al Parlamento. Dopo le dimissioni di Rajapaksa, la situazione dovrebbe tranquillizzarsi. I manifestanti hanno annunciato che lasceranno gli edifici governativi occupati da diversi giorni, ma anche che continueranno la lotta per chiedere la soluzione della grave crisi economica.

ultimo aggiornamento ore 17.15

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-07/sri-lanka-dimissioni-rajapaksa-singapore.html

Il cardinale Parolin: unità e non divisione di fronte alle emergenze mondiali

A margine della presentazione del libro “Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità” di Fausta Speranza, alll’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, il Segretario di Stato vaticano ha parlato con i giornalisti dell’Ucraina, del recente viaggio in Africa e della nomina di tre donne al Dicastero per i Vescovi

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Il cardinale Pietro Parolin si sofferma con i giornalisti sui temi del momento in un breve e franco dialogo con i rappresentanti della stampa. Le dichiarazioni riguardano l’Ucraina, il recente viaggio del porporato in Africa in rappresentanza di Papa Francesco e l’odierna nomina di tre donne in posti chiave della Curia. Il porporato è intervenuto, all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, a Roma, per parlare di un’altra grave crisi, quella idrica, che colpisce soprattutto i Paesi più poveri. L’occasione è stata fornita dalla presentazione del libro “Il senso della sete. L’acqua tra geopolitica, diritti, arte e spiritualità” di Fausta Speranza.

Il pensiero costante all’Ucraina

“Il Papa vuole andare in Ucraina e appena possibile ci andrà”. Il cardinale Parolin conferma la volontà del Pontefice di recarsi a Kiev per mostrare la sua vicinanza al popolo ucraino devastato dalla violenza della guerra. Adesso, ricorda il porporato, è imminente il viaggio in Canada, che è stato confermato. Ad una domanda sulle conseguenze globali del conflitto in Ucraina e sulle fibrillazioni che sta provocando nei governi europei. Parolin ha specificato: “Credo che nello scenario mondiale attuale più un governo è stabile più riesce a far fronte alle tante sfide che si pongono, si tratta di sfide epocali. Nessuno poteva immaginare che da questa guerra sarebbe derivata una crisi generalizzata, sia dal punto di vista alimentare, sia dal punto di vista energetico. Quindi evidentemente, quando c’è qualcuno che ha in mano le redini della situazione, questo facilita le soluzioni”. Poi ha auspicato: “Dobbiamo metterci a lavorare tutti insieme e non a dividerci!”.

Il viaggio in Africa

A proposito del recente viaggio in Africa, il segretario di Stato ha affermato: “Sono andato in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan per assicurare gli abitanti dei due Paesi che il Papa ha intenzione di andare. Il viaggio è stato posticipato solo per le sue condizioni di salute”. Il segretario di Stato ha spiegato che bisogna scegliere il periodo più adatto per evitare le stagioni delle piogge, che renderebbero la visita papale difficoltosa. Inoltre ha sottolineato che questi periodi in Sud Sudan non coincidono con quelli della Repubblica Democratica del Congo e quindi che bisogna programmare la visita con attenzione.

Tre donne in Vaticano

A proposito dell’odierna nomina di tre donne al Dicastero dei Vescovi da parte di Papa Francesco, il porporato ha detto: “Continua l’apertura della Chiesa al mondo femminile. Sinora non c’erano donne in questo”, un ufficio molto importante, ha sottolineato, che si occupa di preparare i fascicoli da sottoporre al Papa per la nomina dei presuli. E questa è una conseguenza della Praedicate Evangelium.

https://nemo.vaticannews.va/editor.html/content/vaticannews/it/vaticano/news/2022-07/cardinale-parolin-ucraina-africa-curia-vaticno.html