20 giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato

La protezione non si esaurisce nell’accesso all’asilo, ma si manifesta concretamente attraverso un processo equo di integrazione sociale ed economica. E’ il messaggio dell’Unhcr per la Giornata mondiale del Rifugiato, mentre Caritas Internationalis esprime preoccupazione in tema di solidarietà internazionale

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il 20 giugno, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, “celebra il coraggio, la forza e la resilienza dei milioni di persone costrette a fuggire da conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani e persecuzioni, e ribadisce il loro diritto di essere protette e di ricostruire la propria vita in dignità, chiunque siano e da qualsiasi luogo provengano, sempre. La Giornata del 20 giugno è stato scelta per commemorare la firma della convenzione relativa allo statuto dei rifugiati da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Non solo asilo

La protezione non si esaurisce nell’accesso all’asilo, ma si manifesta concretamente attraverso un processo equo di integrazione sociale ed economica nel Paese di accoglienza. In questa Giornata Mondiale del Rifugiato, l’UNHCR si unisce a coloro che in Italia si mettono a disposizione per individuare soluzioni durature e sostenibili che permettano ai rifugiati di superare i traumi, mettere a frutto il proprio talento e contribuire al Paese che li ha accolti”.

La protezione passa per i diritti

“Non esiste protezione reale senza l’accesso effettivo ai diritti, l’integrazione e l’inclusione sociale, ed essi sono compito e responsabilità di tutta la società nel suo complesso”, ha dichiarato Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “Solo lavorando insieme – governo, società civile e settore privato – possiamo fare la differenza”. Si parlerà di protezione e integrazione il 20 giugno durante una tavola rotonda dal titolo “Rifugiati, dall’asilo all’integrazione: partnership e soluzioni innovative per una crisi senza precedenti” al Centro Congressi Palazzo Rospigliosi, a Roma. Rappresentanti delle istituzioni, del terzo settore, del mondo accademico, rifugiati e del settore privato si confronteranno sui temi dell’integrazione e delle opportunità da offrire ai rifugiati in linea con il Global Compact sui Rifugiati. Durante la mattinata, inoltre, avverrà la consegna ufficiale della Maglia Rosa del Giro Donne 2022 dedicata a UNHCR.

L’appello della Caritas

Caritas Internationalis “leva la propria voce ed esprime preoccupazione per la mancanza di solidarietà internazionale nell’accogliere i rifugiati e i richiedenti asilo senza discriminazioni. Le richieste di sicurezza e di una vita dignitosa per i rifugiati sono rimaste per lo più inascoltate”. Nei primi mesi del 2022, più di 100 milioni di persone sono state forzatamente sfollate in tutto il mondo a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani e disastri climatici, registrando i livelli più alti di sfollamento mai osservati. “Oggi vediamo anche come questi fattori – afferma Caritas Internationalis – diventino concause degli spostamenti e non possano essere considerati separatamente”. Nel periodo 2019-2021, più di 8.436 migranti, compresi i richiedenti asilo, hanno perso la vita e 5.534 migranti sono scomparsi durante il viaggio. Inoltre, la sicurezza, la dignità e i diritti umani dei richiedenti asilo “sono a rischio, a causa di accordi che hanno creato muri fisici e legali attraverso l’esternalizzazione dei controlli alle frontiere regionali e dei processi di asilo esternalizzati”. Attraverso i corridoi umanitari, i membri della Confederazione Caritas di Europa, Medio Oriente e Africa hanno assistito, insieme con altre organizzazioni religiose, i richiedenti asilo vulnerabili in fuga da conflitti e violenze, affinché raggiungessero destinazioni sicure e comunità accoglienti dove poter ricominciare la propria vita. Hanno sostenuto il salvataggio e lo sbarco sicuro e protetto delle persone a rischio di vita nel Mediterraneo e in tutto il mondo.

L’iniziativa delle città italiane

Sono molte le città italiane che illumineranno un monumento simbolo in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato aderendo alla campagna dell’Unhcr’s #WithRefugees. Nelle notti del 19 e del 20 giugno il Teatro delle Muse di Ancona, la Torre metropolitana e la  Fontana monumentale di Piazza Aldo Moro a Bari, la Porta San Giacomo di Bergamo, il Bastione di Saint Remy a Cagliari, il Balcone principale di Palazzo degli Elefanti a Catania, le Porte storiche (Torre San Niccolo, Porta alla Croce in Piazza Beccaria, Porta San Gallo in Piazza della Libertà, Porta al Prato, Porta Romana, Porta San Frediano) di Firenze, Porta Elisa a Lucca, la Mole Antonelliana a Torino e la Fontana del Nettuno a Trieste si tingeranno di blu in un’espressione di solidarietà con i rifugiati e per ribadire il loro diritto di essere protetti e di ricostruire la propria vita in dignità, chiunque siano e da qualsiasi luogo provengano, sempre. “I Comuni in Italia sono in prima linea nell’accoglienza e nell’integrazione dei rifugiati – afferma Chiara Cardoletti, Rappresentante dell’Unhcr per l’Italia, la Santa Sede e San Marino – Offrono sicurezza e, garantendo l’accesso ai servizi locali, all’istruzione e alle opportunità di lavoro, favoriscono la piena inclusione sociale dei rifugiati, gettando le basi per la costruzione di un futuro migliore.” In Italia sei comuni – Bari, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino – hanno redatto e sottoscritto la Carta per l’integrazione dei rifugiati, elaborata insieme a Unhcr per potenziare la collaborazione fra le città sull’integrazione di chi è stato costretto a fuggire da guerre, violenze, persecuzioni e abusi dei diritti umani per cercare sicurezza in un altro Paese, favorendo lo scambio di pratiche, esperienze, strumenti e sviluppando i servizi già disponibili sui territori.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-06/rifugiati-unhcr-caritas-internationalis-giornata-mondiale-onu.html

L’appello del Papa per il Myanmar: chiedo rispetto per la dignità umana

Nel post Angelus, Francesco invita la comunità internazionale a non dimenticare la popolazione birmana, a fornire l’assistenza umanitaria di base e chiede che il conflitto non tocchi i luoghi di culto, ospedali, scuole

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il Papa, dopo la preghiera mariana, ha rivolto il pensiero all’amata terra del Myanmar per sottolineare il dolore di tante persone:

“Giunge ancora dal Myanmar il grido di dolore di tante persone a cui manca l’assistenza umanitaria di base e che sono costretti a lasciare le loro case perché bruciate e per sfuggire alla violenza.

Dunque l’appello in comunione con la chiesa locale:

Mi unisco all’appello ai vescovi di quell’amata terra perché la comunità internazionale non si dimentichi della popolazione birmana, perché la dignità umana e il diritto alla vita siano rispettati, come pure i luoghi di culto, gli ospedali, le scuole  e benedico la comunità birmana in Italia oggi qui rappresentata”.

Cronaca di attacchi a case e villaggi e di sfollati

Decine di chiese, comprese le chiese cattoliche negli Stati di Kayah e Chin, sono state distrutte da attacchi aerei e bombardamenti di artiglieria mentre migliaia di persone, compresi i cristiani, sono sfollati o in fuga nella vicina India. Almeno 450 case – secondo quanto riporta l’agenzia cattolica di informazione UcaNews – sono state date alle fiamme dalle truppe della giunta negli storici villaggi cattolici di Chan Thar e Chaung Yoe nella regione di Sagaing nel corso dell’ultimo mese circa. La Conferenza episcopale denuncia lo stato di ansia e la mancanza di sicurezza in cui si trovano le persone, “in particolare gli anziani, i disabili, i bambini, le donne e i malati”. I vescovi esprimono anche la loro gratitudine “ai sacerdoti, ai diaconi, alle religiose, ai catechisti e ai volontari che cercano di sostenere e assistere i civili che fuggono in luoghi più sicuri”. Solo quattro giorni fa, la chiesa cattolica di St. Matthew è stata bruciata. È una chiesa parrocchiale di Dognekhu, comune di Phruso, Stato di Kayah. A farlo sapere all’agenzia  Sir è stato padre Francisco Soe Naing, cancelliere della diocesi di Loikaw. “I terroristi legati alla  giunta sanno solo come distruggere le proprietà delle persone e bruciare case e villaggi”, dice. “Non sappiamo se ci sono i feriti. Penso che nessuno sia rimasto nel villaggio. Tutti devono fuggire all’attacco di uomini della giunta: altrimenti vengono brutalmente uccisi. Sappiamo che i parrocchiani e il parroco di quella parrocchia vivono da mesi nella giungla poiché non è sicuro vivere nel villaggio”. Il territorio della parrocchia di Dognekhu comprende 6 villaggi. Nella parrocchia esistono 473 case cattoliche dove vivono 512 famiglie cattoliche. Vi risiedono circa 2.560 fedeli cattolici. Due sacerdoti, 6 catechisti e 10 “assistenti permanenti” stanno servendo il popolo di Dio nella parrocchia.

L’appello dei vescovi

I vescovi cattolici del Myanmar hanno pubblicato, in settimana, in lingua inglese un comunicato al termine della loro assemblea generale per esprimere preoccupazione per la situazione di fragilità in cui vivono migliaia di civili a causa dell’instabilità politica e del conflitto. “La dignità umana e il diritto alla vita non possono essere mai violati”, hanno scritto i presuli. “Chiediamo con forza il rispetto per la vita e per la sacralità dei luoghi di culto, degli ospedali e delle scuole”. Secondo i dati delle ong, dall’inizio del colpo di Stato del 1° febbraio 2021, più di 1.929 civili sono stati uccisi e 11.000 arrestati e secondo l’Unchr, più di 800.000 sono gli sfollati interni. Anche negli ultimi mesi, la giunta militare ha continuato a prendere di mira le chiese e le sue istituzioni. La Conferenza episcopale incoraggia sacerdoti, suore e cattolici a continuare a fornire assistenza umanitaria alle persone che “stanno affrontando difficoltà senza precedenti a causa dell’attuale situazione politica” senza fare alcun tipo di discriminazione. I vescovi chiedono con forza che si lavori per la “giustizia, la pace e la riconciliazione”, facilitando “l’accesso umanitario alle persone sofferenti e agli sfollati interni al fine di fornire loro l’assistenza umanitaria di base di cui necessitano”. E concludono: la Conferenza episcopale “è al fianco dei civili e continuerà a sostenere i bisogni delle persone indipendentemente dalla loro fede, razza ed etnia”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-06/papa-myanmar-popolazione-chiese-angelus-vescovi-distruzione.html

Corte europea e chiesa anglicana contro il “piano Rwanda”

E’ stato rinviato il primo volo di migranti destinati al trasferimento dal Regno Unito in Rwanda nell’ambito del contestato accordo tra il governo Johnson e Kigali, che prevede di mandare nel Paese africano una parte dei “clandestini” in attesa di risposta sulle loro richieste di asilo. Una “vergogna” secondo la Chiesa anglicana

Fausta Speranza – Città del Vaticano

E’ stato fermato il primo volo previsto ieri sera sulla base di una sospensiva accordata dalla Corte europea dei Diritti Umani di fronte a ricorsi dell’ultimo minuto. Sospensiva che invece i giudici britannici avevano negato fino agli ultimi appelli. Dopo giorni di prese di posizione da parte di  opposizioni politiche, ong, Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), di occhi puntati alla Corte di Londra e di manifestazioni,  il primo dei voli programmati sarebbe dovuto partire ieri sera con sette migranti e non più 30 come previsto nella lista iniziale dell’Home Office britannico.

La condanna della Chiesa anglicana

Intanto, è arrivato chiaro il pronunciamento della Chiesa anglicana. In una lettera aperta al Times, gli arcivescovi di Canterbury e di York, Justin Welby e Stephen Cottrell, hanno definito il cosiddetto piano Rwanda una scorciatoia “immorale” che “getta vergogna sulla Gran Bretagna”. “E’ una politica che dovrebbe farci vergognare come nazione”, una “vergogna” perché “la nostra eredità cristiana – scrivono – dovrebbe ispirarci a trattare i richiedenti asilo con compassione, equità e giustizia, come abbiamo fatto per secoli”.

Il governo britannico non cambia idea

Il governo britannico ha manifestato la propria determinazione a rimandare in Rwnda i migranti entrati illegalmente nel Regno Unito, nonostante la cancellazione, in tarda serata, del primo volo a seguito di ricorsi legali. “Non ci faremo scoraggiare dal fare la cosa giusta e dall’attuare i nostri piani per controllare le frontiere del nostro Paese”, ha dichiarato il ministro dell’Interno Priti Patel, aggiungendo che il team legale del governo sta “rivedendo ogni decisione presa su questo volo e i preparativi per il prossimo volo stanno iniziando ora”.

Il governo del Rwanda conferma gli impegni

Da Kigali il governo ha affermato di essere ancora impegnato ad accogliere i richiedenti asilo che dovrebbero essere inviati dal Regno Unito nonostante la cancellazione del volo che ieri avrebbe dovuto trasferire sette migranti. “Non siamo scoraggiati dagli ultimi sviluppi – ha detto la portavoce di Kigali, Yolande Makolo -. Il Rwanda resta fermamente impegnato per far sì che la collaborazione funzioni. Siamo pronti a ricevere i migranti quando arriveranno e ad offrire loro sicurezza e opportunità nel nostro Paese”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-06/gran-bretagna-governo-corte-europea-diritti-uomo-canterbury.html

Gb e Ue: questione migranti e diversi approcci

Ancora ricorsi in Gran Bretagna, alla vigilia del primo volo previsto, contro la decisione del governo di espellere in Rwanda richiedenti asilo. Intanto, nell’Unione europea si discute sui ricollocamenti interni. L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) chiede al governo britannico il rispetto dei diritti umani diritti umani, mentre si spera che i passi avanti di Bruxelles diventino operativi, come sottolineano l’esperto di diritto Christopher Hein e monsignor Gian Carlo Perego

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La Corte di Londra ha rigettato, ieri pomeriggio, i due ricorsi dell’ultimo minuto a proposito della questione dei richiedenti asilo da espellere. Si tratta dell’accordo tra governo britannico e governo rwandese che prevede il trasferimento di richiedenti asilo nel Paese africano in cambio di un pagamento iniziale di 120 milioni di sterline (148 milioni di dollari). Il primo volo è previsto per oggi e dovrebbe riguardare 30 persone di cui non è stata indicata la nazionalità. Secondo organizzazioni umanitarie, si tratta di persone in fuga dall’Afghanistan e dalla Siria.

L’ennesimo ricorso

La Corte d’Appello ha ascoltato le argomentazioni di due gruppi per i diritti umani e un sindacato ieri dopo che venerdì scorso un giudice dell’Alta Corte di Londra ha rifiutato la loro richiesta di un’ingiunzione che bloccasse il decollo del volo. Il giudice ha affermato la scorsa settimana che vi era un “interesse pubblico materiale” nel consentire al governo di perseguire la politica. L’Alta Corte ascolterà separatamente le argomentazioni di Asylum Aid, l’organizzazione per i rifugiati che ha lanciato una seconda sfida legale per impedire al governo di portare i rifugiati in Rwanda. Ne abbiamo parlato con Christopher Hein, docente di Diritto e politiche di immigrazione e asilo e Gestione delle migrazioni all’Università Luiss:

Il professor Hein ricorda innanzitutto che i ricorsi contro la decisione del governo britannico dell’espulsione  e contro questo accordo sono appoggiati dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) che – aggiunge – ha dichiarato che il piano del governo di concedere ai richiedenti asilo sette giorni per ottenere consulenza legale e presentare il loro caso per evitare l’espulsione è imperfetto e ingiusto. Su questo specifico punto sembra si pronuncerà lo stesso giudice che venerdì ha respinto la prima richiesta di decreto ingiuntivo.

Le motivazioni del governo di Londra

Il professor Hein ricorda che secondo il premier Johnson, la strategia di espulsione mira a minare le reti di traffico di esseri umani e a fermare il flusso di migranti che rischiano la vita attraversando la Manica su piccole imbarcazioni provenienti dall’Europa e aggiunge che effettivamente il flusso attraverso la Manica è sempre più consistente. Hein ribadisce la contrarietà dell’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu sottolineando che si tratta di provvedimenti che non rispettano i diritti dell’uomo anche perché in Rwanda ci sono sistemi di gestione che però rischiano il collasso se si pensa al numero di persone che potrebbe entrare in base a questo accordo. Secondo Hein, la vera motivazione è politica e consiste nell’intenzione che faccia da deterrente. Si vorrebbe – afferma – scoraggiare chiunque dall’arrivare in Gran Bretagna paventando il rischio che ci si ritrovi in Rwanda. Da parte sua,  il principe di Galles Carlo rimane “politicamente neutrale”: lo ha affermato l’ufficio stampa della Clarence House, la residenza dell’erede al trono britannico e della consorte Camilla, in risposta alle indiscrezioni di stampa diffuse oggi secondo cui Carlo avrebbe giudicato sconcertante  il piano del governo britannico di mandare in Ruanda migranti giunti illegalmente nel Regno Unito. “Non commentiamo su presunte conversazioni private e anonime con il principe di Galles, se non per ribadire che rimane politicamente neutrale. Le questioni che riguardano le politiche sono decisioni che spettano al governo”, ha fatto sapere Clarence House, riferisce Press Association. Il Times, citando una fonte anonima, aveva scritto che in conversazioni private Carlo si sarebbe detto “più che deluso” dalla vicenda.

Dibattito anche in Francia

Crescono i flussi migratori verso la Francia, secondo la Caritas, che stima in media 150 arrivi giornalieri. La stima deriva dal numero di coloro che si presentano alla mensa per colazione e pranzo.  Ad arrivare sono soprattutto afghani, iracheni, curdi e ivoriani. In una lettera pubblicata sul sito della diocesi, il vescovo di Ventimiglia Antonio Suetta ricorda l’anniversario dei sette anni da quell’ 11 giugno 2015 in cui il governo francese sospese gli accordi di Schengen, ripristinando i controlli alla frontiera. “Tale decisione – si legge – rinnovata di sei mesi in sei mesi, perdura e continua a produrre conseguenze molto negative, innanzitutto nei confronti delle persone migranti in viaggio, ma indirettamente anche verso”. Al confine – dice – è sistematica la richiesta dei documenti, ma solo a chi ha la pelle scura, con il conseguente respingimento e la permanenza in città. Ma ciò in questi anni non ha fermato i migranti, li ha portati a rivolgersi a trafficanti o a rischiare la vita per evitare i controlli; purtroppo sono decine le vittime: folgorate sui tetti dei treni, cadute dalle montagne, investite sull’autostrada. Monsignor Suetta interviene sulle differenze di trattamento tra i profughi africani o asiatici e gli ucraini. La decisione del Governo francese risulta ancora più ‘stridente’ – spiega – da quando è iniziata la guerra in Ucraina in quanto ai profughi ucraini è riconosciuto il diritto a muoversi all’interno dell’Unione Europea e a scegliere in quale Paese rifugiarsi. Vescovo e Caritas auspicano che “in attesa che cambino le regole, si proceda speditamente con l’apertura di un nuovo centro di accoglienza per affrontare una situazione assai complessa per i migranti e per il territorio e per riconoscere la dignità delle persone in viaggio”.

Prima intesa Ue su ridistribuzione

Commissione europea e presidenza francese del Consiglio si riuniscono nei prossimi giorni per mettere a punto la piattaforma di solidarietà approvata venerdì scorso in tema di richiedenti asilo. I ministri dell’Interno dei Paesi UE hanno raggiunto un primo accordo per la ridistribuzione (volontaria) dei migranti che arrivano via mare, con l’obiettivo di alleviare il peso sui Paesi di primo sbarco. La ricollocazione dei richiedenti asilo sarebbe volontaria ma chi si rifiuta di partecipare sarebbe obbligato a offrire un sostegno finanziario diretto ai Paesi di primo arrivo. Di segnale importante parla monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione per le Migrazioni della CEI  e della Fondazione Migrantes:

Monsignor Perego parla di passo avanti significativo in termini di messaggio offerto dai ministri degli Interni. Sottolinea che servono altre decisioni a livello istituzionale per  rendere operativa questa indicazione ma certamente – afferma – si tratta – di un primo pronunciamento a nome dei governi importante anche perché chiarisce che i Paesi di primo approdo non possono essere lasciati soli nel gestire un’emergenza.  Ricorda che da tempo se ne parla con precedenti di tensione e con tentativi di incoraggiare alla corresponsabilità. Un meccanismo che obbliga all’accoglienza o che impone comunque un contributo economico può aiutare nella sensibilizzazione dei Paesi che si sentono fuori dalle rotte. Peraltro monsignor perego accenna alla questione ucraina come ad un tragico evento che ha aperto nuovi orizzonti di migrazioni per Paesi non toccati dalle rotte sul Mediterraneo.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-06/migranti-chiesa-gran-bretagna-ue-richiedenti-asilo.html

Europarlamento: stop ai motori ma con transizione equa

Fermare le vetture inquinanti ma preoccupandosi dei costi e dell’occupazione: è il senso della raccomandazione con la quale il Parlamento europeo ha approvato la proposta della Commissione di bloccare dal 2035 le vendite di auto nuove a diesel e a benzina. E’ fondamentale imporre il principio che chi inquina paga, ma non fermarsi alle auto elettriche e non gravare sui consumatori, sottolineano gli esperti di energia e economia Matteo Caroli e Carlo Andrea Bollino

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La plenaria del Parlamento europeo (Pe) ha approvato, ieri a Strasburgo, la proposta della Commissione europea di rendere obbligatoria entro il 2035 l’immissione sul mercato Ue di auto e furgoni nuovi a zero emissioni, che decreta sostanzialmente la fine dei veicoli a combustione interna. In sostanza, uno stop alle vendite di auto nuove con motore a combustione a diesel e benzina. L’ok della Plenaria alla posizione negoziale degli eurodeputati sugli standard di emissioni di CO2 è arrivato con 339 voti a favore, 249 contro e 24 astenuti. L’emendamento sostenuto dal Partito popolare europeo (Ppe), che prevedeva una riduzione delle emissioni di CO2 del 90 per cento invece che del 100 per cento, non è stato approvato. Per il relatore Jan Huitema, “l’acquisto e la guida di auto a emissioni zero diventeranno più economici per i consumatori”.

Prossime tappe

Perché si possa parlare di decisioni operative bisogna aspettare. Seguiranno il Consiglio Ambiente del 28 giugno e la delicata trattativa tra l’Europarlamento e gli Stati membri. Il voto di ieri però rappresenta un segnale da non sottovalutare per il futuro dell’auto nel Vecchio Continente.

Non basta lo stop ai motori

Come già suggerito dalla Commissione Ambiente del Pe, si propongono regole sulle emissioni più stringenti da applicare all’industria. E, soprattutto, si fanno tre richieste alla Commissione Ue: presentare una relazione, la prima entro la fine del 2025 e successivamente su base annuale, per monitorare l’impatto sui consumatori e sull’occupazione; preparare un rapporto, entro la fine del 2023, sui finanziamenti necessari per garantire una transizione equa nel settore auto e per preservare i livelli di occupazione; adottare, entro il 2023, un nuovo metodo di calcolo delle emissioni che consideri l’intero ciclo di vita delle vetture.

Combattere l’inquinamento

In sostanza, gli eurodeputati hanno adottato – con 339 voti favorevoli, 249 contrari e 24 astensioni – il loro mandato per negoziare con i governi Ue i livelli di riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali sostenendo la proposta della Commissione e fissando obiettivi intermedi, come quello della riduzione delle emissioni per il 2030  al 55 per cento per le automobili e al 50 per cento per i furgoni. Del tempo a disposizione e della necessità di lotta all’inquinamento abbiamo parlato con Matteo Caroli, docente di Gestione delle imprese internazionali all’Università Luiss:

Il professor Caroli evidenzia che, in base alle statistiche sulle vendite di auto, praticamente siamo di fronte a tre cicli di acquisti, sottolineando dunque che per chi avesse problemi con i costi oggi delle auto non inquinanti c’è tempo per vedere abbassare i costi. Il punto è – sottolinea – che non si possono dimenticare gli incentivi alle imprese e ai consumatori che vanno calibrati e messi in conto.

Politiche ad ampio raggio

C’è poi una raccomandazione nelle parole del professor Caroli: riguarda le scelte politiche che vanno fatte per accompagnare misure come questa che – afferma – sono obbligate se vogliamo ripristinare vivibilità nell’ambiente. Non si può che affermare il principio che chi inquina paga – spiega – perché non ci sarebbe altro modo di convincere le imprese. Ovviamente – dice – non si possono immaginare interventi nel settore auto dimenticando altri fondamentali comparti industriali, come per esempio pensando ai trasporti anche la nautica. E a questo proposito assicura che anche in questo settore ci si muove a livello di ricerca e investimenti per essere all’altezza al più presto proprio di quel principio inesorabile: chi inquina paga, chi non inquina deve essere premiato.

La questione occupazione

Sull’importanza di essere pronti a far fronte all’impatto in termini di occupazione, abbiamo sentito Carlo Andrea Bollino, docente di Economia dell’Energia all’Università Luiss:

Il professor Bollino raccomanda di non dimenticare l’impatto sull’occupazione di misure così significative: si tratta – ricorda – di una rivoluzione industriale che stravolge la società così come impostata nel secolo scorso. Indubbiamente, sottoscrive la necessità di agire in modo deciso a difesa dell’ambiente, ma – spiega – il punto è di non farlo in modo sconsiderato. Ricorda che, a parte il peso della guerra in Ucraina, anche prima si era presentata la questione energetica, con costi legati alla difficile ripresa. Tutto questo va considerato – avverte – e vanno monitorati i passi da fare, step by step. Non si può dimenticare di agire contemporaneamente a livello sociale per tutelare i posti di lavoro.

Non solo auto elettriche

Bollino raccomanda di non parlare soltanto di auto elettriche che – ricorda – possono avere anche i loro problemi per l’approvvigionamento di materie prime utili alle batterie. Bisogna valutare – dice – se l’implementazione di infrastrutture di ricarica e la disponibilità di materie prime per la produzione di batterie saranno in grado di eguagliare il continuo e rapido aumento dei veicoli elettrici a batteria. E’ fondamentale – chiarisce – non muoversi in un’unica direzione e investire in innovazione tecnologica. E fa l’esempio dell’idrogeno che può essere un’alternativa insieme ad altra tecnologia.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-06/unione-europea-inquinamento-vetture-benzina-gasolio-ambiente.html

Giornata Oceani. Sviluppo e sostenibilità: studiosi a confronto in Vaticano

Mettere a frutto la ricchezza delle profondità marine per il bene dell’umanità: ne parlano alla Pontificia Accademia delle Scienze studiosi da tutto il mondo. Serve cooperazione internazionale per ecosistemi preziosi – per salute, nutrizione, produzione di energie rinnovabili, risorse minerarie e produzione di farmaci – che hanno un peso geopolitico, come spiegano il presidente dell’Accademia, Joachim Von Braun, e il presidente della Stazione Zoologica Dohrn, Roberto Danovaro

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Nella Giornata Mondiale degli Oceani si svolge alla Pontificia Accademia delle Scienze, il simposio intitolato “La salute di mari e oceani e il loro ruolo nel presente e futuro dell’umanità” (Health of the seas and oceans and their role in the present and future of humanity), in collaborazione con la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, che compie quest’anno 150 anni di attività. L’obiettivo è discutere idee e possibili soluzioni per la sostenibilità nel decennio dedicato agli Oceani per lo sviluppo sostenibile. All’incontro, studiosi da diverse parti del mondo perché è cruciale ragionare in termini di cooperazione, come sottolinea, nell’intervista realizzata in inglese,  il presidente della Pontificia Accademia Joachim von Braun: 

Von Braun ribadisce che è preoccupante la salute degli oceani. Un esempio: nel complesso scenario internazionale ci sono Paesi industrializzati con flotte di navi che possono pescare senza regole fuori dai propri confini, in acque fuori dai confini legali nazionali, colpendo ecosistemi, vita sociale, economie e sottraendo cibo alle popolazioni. Per non parlare dell’inquinamento per processi industriali scellerati e per gli scarti di materiali plastici.è essenziale  si confrontano su come possono contribuire le istituzioni, la comunità scientifica e i singoli cittadini alla conoscenza dei fattori che influenzano gli equilibri degli ecosistemi e su come preservarli.

Von Braun: l’impegno dell’Onu da sostenere

Von Braun rende noto che entro le prossime due settimane sarà organizzato dall’Onu un importante confronto tra quanti seguono questi temi per portare avanti concretamente, nell’ambito del Decennio degli Oceani promosso a partire dal 2021 su iniziativa delle Nazioni Unite,  cooperazione in campo di scienza oceanica per la sostenibilità. E poco meno di un decennio è il tempo a disposizione per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati nell’Agenda 2030, definita dai leader mondiali durante gli storici accordi di Parigi nel 2015, quando Papa Francesco ha pubblicato l’Enciclica Laudato si’. Come dice il Papa, “non è possibile vivere sani in un mondo malato”. Occorre quindi lavorare per una crescita sostenibile anche nell’uso delle risorse marine coinvolgendo – afferma von Braun – scienza, religioni e cultura perché tutti questi ambiti devono contribuire alla riflessione. Ma il punto – chiarisce von Braun – è che attualmente ogni Paese si muove autonomamente nella ricerca per lo sfruttamento delle risorse marine e questo non va a vantaggio dell’umanità. Serve – raccomanda – un sistema di regole che faccia sì che beni comuni come la ricchezza degli Oceani siano gestiti per il bene dell’umanità.

Risorse da salvare e scoprire

Delle potenzialità degli spazi marini abbiamo parlato con Roberto Danovaro, presidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli,  che quest’anno festeggia 150 di attività:

Danovaro sottolinea che circa un miliardo di persone dipende esclusivamente dalle risorse del mare per il cibo e la vita. In un sistema finito come la terra – dove già oggi se tutte le popolazioni vivessero e consumassero secondo le abitudini di europei e nordamericani avremmo bisogno di 2,5 pianeti terra per sfamare tutti e, allo stesso tempo, essere in grado di mitigare gli impatti dell’uomo – bisogna pensare che il 70 per cento della superficie terrestre e il 90 per cento del suo volume sono composti da acqua e quasi esclusivamente da mari e oceani. Pensando ai potenziali impatti sulla qualità della vita, emerge l’importanza del mare come risorsa del futuro.Ma aggiunge anche che gli oceani da tre miliardi e mezzo di anni di evoluzione della vita conservano il proprio ecosistema spiegando che il mare – attraverso ricerca e conoscenza – può offrire molte opportunità per la salute. Gli organismi marini – dice – ci forniscono una vera e propria “farmacia del mare”, con i loro composti e prodotti naturali. Pensiamo, ad esempio – spiega  – ai composti attratti dalle spugne di mare per curare alcuni tumori, ai composti per migliorare la qualità degli alimenti. Aggiunge anche che dal mare si traggono sostanze che possono integrare la dieta di popolazioni più povere.

L’importanza della ricerca a livello internazionale

Danovaro ricorda che da anni diversi ricercatori e scienziati di fama mondiale  presentano studi e appelli sia a livello di singole nazioni che di istituzioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite, per una maggiore e concreta collaborazione internazionale per l’esplorazione, la protezione e la valorizzazione degli oceani, come avviene per lo spazio con l’Agenzia Spaziale Europea, per evitare di lasciarsi alle spalle quelle nazioni che non dispongono di risorse e tecnologie per affrontare gli studi nelle aree oceaniche oltre i confini nazionali.

Responsabilità sovranazionali

Dovrebbe essere una priorità per tutti cercare di capire, proteggere e conoscere meglio il mare e gli oceani – ribadisce Danovaro – anche perché i mari, con la loro profondità media di quattro chilometri, restano imperscrutabili ai satelliti – precisa Danovaro – e per svelarne segreti e opportunità servono tecnologie avanzate e un uso sostenibile delle risorse, a cominciare dalle energie rinnovabili e pulite come gli impianti eolici offshore. Le nazioni che investono nella ricerca marina stanno guadagnando un grande vantaggio competitivo in termini di conoscenza e opportunità di sviluppo economico e sociale.  Mari e oceani saranno un tema chiave nella politica internazionale e nelle agende nazionali del futuro ed è necessaria una maggiore cooperazione tra i Paesi per uno scopo nobile più elevato e universale che avrà un impatto sulla vita dell’umanità. Oltre alle prospettive scientifiche si deve discutere anche di scenari futuri per una convivenza sostenibile tra umanità e oceani. Oltre il 50 per cento degli oceani sono al di fuori dei confini legali delle singole nazioni e dovrebbero essere gestiti come beni comuni universali del pianeta. La terra e gli oceani – ecosistemi essenziali per la salute del pianeta e delle specie umane, animali, marine e vegetali – sono in pericolo da anni con investimenti nel mondo circa 10 volte inferiori a quelli per la ricerca spaziale.

L’appello dell’Onu sui cambiamenti climatici

Gli studi scientifici internazionali del gruppo di scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite – rilanciato con l’impegno quotidiano di milioni di giovani e studenti in tutto il mondo dopo la firma degli storici accordi di Parigi nel 2015 – dimostrano chiaramente che ci stiamo avvicinando nei prossimi decenni a un punto di non ritorno se non cambiamo il modo individuale e collettivo di consumare, vivere, lavorare, pescare, produrre energia, pensare e gestire i beni comuni più preziosi della creazione.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-06/laudato-si-pontificia-accademia-scienze-oceani-risorse-poveri.html

Da tutto il mondo alla Gregoriana per parlare di ecologia

Sinergia è la parola chiave della Conferenza che richiama per tre giorni all’Università Gregoriana esperti da tutto il mondo. Si discute di transizione ecologica e dell’indispensabile collaborazione tra discipline, tra accademici di diversi Paesi, tra specialisti e società civile. Occuparsi di ecologia integrale richiede una visione olistica, spiega il docente di Teologia morale padre René Micallef

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Transitioning to Integral Ecology? Transdisciplinary Approaches for the Grounding and Implementation of a Holistic Worldview”. E’ questo il tema scelto per la Conferenza che si è aperta oggi pomeriggio all’Università Gregoriana per parlare di passaggio all’ecologia integrale e di approcci interdisciplinari e transdisciplinari. Definire e promuovere una visione del mondo olistica: di questo parla con noi padre René Micallef, docente di Teologia morale all’Università Gregoriana:

Padre Micallef sottolinea che arrivano studiosi da varie parti del mondo tra cui l’America del Nord e l’America del Sud. C’è una crescente consapevolezza ecologica in tutto il mondo – ricorda – ed è in corso una transizione verso una società che deve basarsi sulla nozione di ecologia integrale. Affinché questa transizione abbia successo infatti – afferma – deve prevedere una collaborazione tra esperti in diverse discipline accademiche, società civile, politici, leader religiosi e tutti coloro che influenzano la cultura popolare.

Dialogo tra discipline: metodo e obiettivo

Padre Micallef offre uno spunto preciso di riflessione affermando che l’interdisciplinarietà e la transdisciplinarietà sono un metodo di confronto, cioè quello di accostare discipline, come si fa in questo convegno, ma sono anche un obiettivo nel senso che devono creare un vero dialogo in cui gli esperti si  confrontino davvero. Precisa: deve essere rispettata l’autonomia di ogni disciplina ma senza la paura – sottolinea – di dover dire soltanto cose che attengono alla propria disciplina. Piuttosto – aggiunge – gli studiosi devo esprimere anche qualcosa che può stimolare l’altro a rispondere altrettanto liberamente per ottenere delle vere sollecitazioni per il pensiero, perché poi si arrivi a offrire riflessioni serie che dal piano della natura e da quello socioeconomico arrivino al livello dei politici che sono quelli che prendono decisioni. Ci vuole – raccomanda il professor Micallef – un dialogo vero e profondo tra scienze naturali e scienze sociali e economiche e poi con l’etica. E’ fondamentale, secondo lo studioso, il dialogo tra scienze e etica perché sui temi ambientali la scienza evolve e i processi vanno compresi e seguiti con quella responsabilità morale che caratterizza l’essere umano tra gli esseri viventi. Dunque, non è solo questione di dialogo tra scienza e etica ma di un cammino insieme.

La sollecitazione di Papa Francesco

Padre Micallef cita Papa Benedetto XVI e Papa Francesco per parlare di un magistero che da anni propone l’idea di una ecologia integrale. Richiama alla mente naturalmente l’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco, pubblicata nel 2015, e in particolare il punto n.137 dove si legge: “…al momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali”. Ed è da vari anni – chiarisce padre René – che si lavora per preparare questo convegno.

Il significato di economia integrale

Padre René racconta anche di aver compiuto studi scientifici oltre a quelli che lo hanno portato a insegnare teologia morale  e confessa di avere qualche perplessità quando si parla di ecologia così come viene intesa normalmente e cioè i per parlare dei  fenomeni ambientali problematici, che possono essere  cambiamenti climatici o disastri naturali. Ma non è questo il punto più importante. Afferma infatti che stabilito questo significato per ecologia, è interessante comprendere l’aggettivo integrale. Secondo padre Micallef significa non pensare all’ecologia solo su piani come quello biologico, chimico, climatico ma aprire piuttosto a riflessioni su come tutto questo tocchi l’essere umano. Non si può pensare un’ecologia – ribadisce – senza guardare all’umano e alle relazioni umane. Dunque, l’obiettivo è mettere al centro l’uomo ma padre Micallef specifica che non si tratta di farne il re dell’universo ma di ricordare che l’essere umano ha una responsabilità morale particolare da svolgere. L’aggettivo integrale richiama dunque, sono infine le sue parole, all’impegno a integrare tutti questi aspetti pensando  ai più poveri e ai più vulnerabili, rispetto a qualunque fragilità.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-06/ecologia-integrale-laudato-si-studiosi-scienza-etica.html

La Croazia nell’Eurozona nel 2023: manca solo un ultimo voto

Parere favorevole della Commissione Ue su parametri e criteri economici della Croazia: il Paese che vent’anni fa era in guerra si avvia all’ingresso nell’area euro. Una tappa importante per l’allargamento ma non devono mancare ulteriori passi in avanti in tema di rafforzamento dell’eurozona e dell’Unione bancaria, come raccomanda l’economista Paolo Guerrieri chiedendo anche misure efficaci per evitare che l’inflazione penalizzi, come sempre, le fasce più deboli

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il via libera formale e definitivo verrà dall’Ecofin il 12 luglio prossimo, ma è chiaro che nulla osta, dopo il pronunciamento, il 1 giugno, della Commissione europea all’ingresso della Croazia dal 1 gennaio 2023, nella zona euro. Sarà il ventesimo Paese Ue ad adottare la moneta unica. Un traguardo storico per una nazione che soltanto negli anni ’90 stava ancora vivendo gli orrori della guerra e un passo significativo per l’intera Ue. Stando al giudizio della Commissione europea, a nove anni dal suo ingresso nell’Unione, Zagabria ha le carte in regola per lasciare la kuna e adottare l’euro. Il Paese soddisfa oggi tutti e quattro i parametri di convergenza di Maastricht necessari: stabilità dei prezzi, sostenibilità delle finanze pubbliche, tasso di cambio, tassi di interesse a lungo termine.

Nell’Eurozona

La circolazione monetaria ha avuto inizio il 1 gennaio 2002 nei primi dodici Paesi che l’hanno adottata. Gli altri Stati aderenti ad oggi all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea (Uem) sono Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna. Le ultime nazioni ad unirsi sono state la Lettonia e la Lituania, rispettivamente il 1 gennaio 2014 e il 1 gennaio 2015. La prossima new entry potrebbe essere, nel 2024, la Bulgaria.

Un simbolo per quasi mezzo miliardo di persone

Il complesso di questi Paesi, detto informalmente zona euro, o anche eurozona o eurolandia, interessa una popolazione di oltre 343 milioni di abitanti. Prendendo in considerazione anche quei Paesi terzi che utilizzano divise legate all’euro, la moneta unica interessa direttamente oltre 480 milioni di persone in tutto il mondo. Inoltre, è utilizzata anche in altri sei Stati europei: quattro microstati Andorra, Città del Vaticano, Principato di Monaco, San Marino, che hanno adottato l’euro in virtù delle preesistenti condizioni di unione monetaria con Paesi membri della UE. L’adozione invece da parte del Montenegro e del Kosovo è stata unilaterale.

Una tappa significativa

Si tratta di “un passo storico nel viaggio europeo” del Paese, ha sottolineato il commissario Ue per l’Economia, Paolo Gentiloni, che però ha parlato anche delle preoccupazioni che qualche cittadino croato potrebbe nutrire sull’inflazione. Del cammino fatto dalla Croazia, della sfida di rafforzare l’area euro e proprio dello spettro dell’inflazione abbiamo parlato con l’economista Paolo Guerrieri, docente in diversi atenei in Italia, Francia, Stati Uniti:

Un altro Paese nell’area euro – afferma Guerrieri – aiuta la competitività sul piano internazionale, in particolare su dollaro e su yuan cinese sempre più forti. Ricorda peraltro che era dal 2015 che non c’era nessun ingresso e dunque è particolarmente significativo anche a livello simbolico. L’economista, però, raccomanda di non dimenticare di rafforzare oltre che ampliare l’area euro.

Allargare ma anche completare l’Unione monetaria

In questi due decenni – riconosce Guerrieri – l’euro ha agevolato le attività commerciali in tutta Europa e oltre. Offre molti vantaggi ai cittadini tra cui la stabilità dei prezzi, una loro più facile comparazione che stimola la concorrenza tra imprese, una maggiore stabilità e crescita economica, una maggiore influenza sull’economia globale e maggiore integrazione tra i mercati finanziari. Di certo, prima dell’euro, la necessità di scambiare valute comportava una serie di costi aggiuntivi della cui assenza ha giovato l’attività imprenditoriale e di investimento nell’euro zona. Il punto è – sostiene – che si tratta di un processo ancora non portato a compimento: mancano passaggi dell’Unione monetaria da fare e mancano politiche fiscali. In generale – afferma –  mancano ancora pezzi della costruzione dell’Ue. Guerrieri raccomanda passi avanti citando anche l’Unione bancaria, per assicurare canali per creare ricchezza nell’ambito dell’economia reale.

In tema di inflazione

Guerrieri spiega che la stabilità dei prezzi è stata la sfida principale per la Croazia: l’andamento della sua inflazione nell’ultimo decennio è stato strettamente allineato con quello della zona euro. Su questo piano e per altri aspetti, riuscire a soddisfare i parametri europei è stata dunque una conquista per Zagabria, osserva l’economista. Una vittoria per la Croazia e per l’Ue. Poi si sofferma sulla questione inflazione: sta crescendo in Europa oltre le aspettative. Fa notare che il rischio viene dal fatto che non si tratta dell’effetto dell’aumento di domanda, che sarebbe gestibile con alcune politiche, ma del risultato dell’aumento di prezzi di materie prime. Ma il vero punto dolente – aggiunge Guerrieri – è che l’inflazione colpisce davvero le fasce medio basse. E dunque sarebbe giusto e opportuno che gli interventi non siano “a pioggia” ma mirati a sostenere alcune fasce sociali.

Un percorso non improvvisato

E’ nel giugno del 1988 che il Consiglio europeo assegnò il compito di elaborare un progetto per la progressiva realizzazione dell’Unione economica e monetaria ad un comitato composto dai governatori delle Banche centrali nazionali della allora Comunità europea. Tale comitato, presieduto dal francese Jacques Delors, elaborò il noto “Rapporto Delors” nel quale si proponeva l’attuazione dell’Uem in tre distinte fasi: la prima, a partire dal 1 luglio 1990, prevedeva la libera circolazione dei flussi di capitale tra gli Stati membri, mentre la seconda fase, successiva al Trattato di Maastricht del 1992, prevedeva la creazione dell’Istituto monetario europeo, Ime, teso a rafforzare la cooperazione tra le diverse banche centrali nazionali in modo da giungere ad una politica monetaria unica. La terza fase, invece, ebbe iniziò una volta fissati i tassi di cambio delle valute nazionali dei primi 12 Stati membri aderenti all’Unione monetaria e si realizzò con il progressivo passaggio alla moneta unica. I tassi di cambio vennero stabiliti dal Consiglio europeo in base al valore delle monete nazionali sul mercato al 31 dicembre 1988, in modo che un Ecu, l’unità di valuta europea, fosse pari a un euro. Dal 1 gennaio 1999, dunque, iniziò il periodo di transizione in cui l’euro, pur non essendo ancora ufficialmente in circolazione, poteva comunque essere adottato come ‘moneta scritturale’. Dal 1 gennaio 2002, invece, l’euro è entrato ufficialmente in circolazione anche se, fino al successivo 28 febbraio, affiancava le monete nazionali che vennero definitivamente sostituite solo il 1 marzo dello stesso anno.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-06/croazia-unione-europea-euro-moneta-unica-unione-bancaria.html

La tragedia dei bimbi nel dramma ucraino

Nella Giornata internazionale dei bambini, è drammatico il bilancio di 98 giorni di guerra in Ucraina. Sono 700 i minori uccisi o feriti. Intanto mentre prosegue l’avanzata dei russi nell’est del Paese e gli Usa assicurano un “nuovo significativo pacchetto di aiuti e armamenti”, l’Europa discute sulle sanzioni

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Quando tutto il mondo celebra la Gionata Internazionale del Bambino, dobbiamo ammettere con tristezza che solo secondo le statistiche ufficiali quasi 700 bambini ucraini sono diventati vittime di questa guerra. Sono stati uccisi o feriti”. Lo denuncia l’arcivescovo di Kiev Sviatoslav Shevchuk nel suo video messaggio quotidiano. E aggiunge: “Tuttavia, credo che nessuno sappia precisamente quanti bambini a oggi siano stati vittime dell’aggressione russa”. Ad oltre tre mesi di guerra in Ucraina precisamente 243 bambini sono stati uccisi, 446 sono stati feriti e 139 sono dispersi. E il presidente  Volodymyr Zelensky ha dichiarato che 200.000 bambini ucraini sono stati portati con la forza in Russia, compresi quelli negli orfanotrofi.

Il dibattito in Ue

L’Ucraina merita una chance per entrare nell’Ue. A dirlo è la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, intervenuta al congresso del Partito popolare europeo a Rotterdam.  In realtà, quello di cui si discute ora è la concessione dello status di candidato, perché l’adesione, come si sa, potrebbe richiedere anche più di dieci anni. La Commissione esprimerà il suo parere, anche alla luce del questionario completato dal governo ucraino, nelle prossime settimane, in tempo per il vertice europeo di giugno, a cui si affiancherà il summit con i Paesi dei Balcani, anch’essi in corsa per entrate nell’Ue. Ma anche sulla concessione dello status di candidato la strada è in salita e a svelarlo è stato il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Mario Draghi, al termine del Consiglio europeo di martedì: tra i grandi Paesi europei solo l’Italia è favorevole a concedere subito questo riconoscimento.

Freno sulle sanzioni

Sulle sanzioni l’ultimo via libera, quello tecnico formale, è stato rinviato per l’ennesima volta. A bloccare il pacchetto questa volta è l’inserimento nella lista delle persone sanzionate del patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill, su cui l’Ungheria ha posto il veto. E così sono ripartire le trattative con il governo ungherese prima di riconvocare una nuova riunione degli ambasciatori Ue.

In tema di energia

La questione energetica, accantonata per il momento nel quadro di nuove sanzioni, continua a tenere banco, nel percorso indicato dal RePowerEu della Commissione Ue. E a ricordarlo è stata di nuovo von der Leyen. “Dobbiamo liberarci dalla dipendenza energetica dalla Russia: lo abbiamo fatto con il carbone e ieri con il petrolio e dobbiamo farlo con il gas. Sostituendo la Russia con fornitori affidabili, ma soprattutto con le rinnovabili”, ha sottolineato.

Oltre Oceano

Il presidente statunitense Joe  Biden dovrebbe volare in Arabia Saudita nelle prossime settimane nell’ambito del suo viaggio internazionale per il vertice Nato e del G7. L’indiscrezione arriva mentre i prezzi dell’energia sono balzati negli Stati Uniti e si parla della   disponibilità di Riad ad aumentare la produzione di petrolio nel caso in cui quella della Russia dovesse significativamente calare a causa delle sanzioni. Il Segretario generale Jens Stoltenberg è stato ricevuto a Washington dal segretario di Stato americano Antony Blinken. Gli Stati Uniti stanno giocando un ruolo indispensabile nella risposta all’invasione russa dell’Ucraina” ma anche la Nato è “pronta e determinata” a difendere i propri alleati, ha dichiarato Stoltenberg. Nella conferenza stampa congiunta, Blinken ha dichiarato che gli obiettivi sono di “respingere l’invasione” russa e consentire a Kiev di avere una posizione «più forte» all’eventuale tavolo dei negoziati che «potrebbe emergere”. Inoltre, Blinker ha voluto specificare che l’Ucraina ha “assicurato” la Casa Bianca che non utilizzerà i nuovi missili forniti dagli Usa per colpire obiettivi in Russia, confermando quanto riferito dai medi

Sul terreno

E’ cronaca di avanzamenti dei russi  nell’est. Si combatte ancora nelle strade di Severodonetsk, ma le forze russe controllano ormai circa l’80 per cento  di questa città strategica dell’Ucraina orientale: lo ha reso noto il capo dell’amministrazione militare regionale del Lugansk, Serhiy Gayday, secondo quanto riporta la Cnn. Secondo il sindaco della città, Oleksandr Striuk, 1.500 abitanti sono stati uccisi o sono morti per carenza di farmaci, dall’inizio della guerra  e almeno 12.000 civili sono  rifugiati in cantine e bunker. Terrorizza anche il fatto che vi sono civili che si riparano nei sotterranei dell’impianto chimico Azot, in una zona bombardata.  Un’altra Mariupol, da cui tutte le testimonianze raccontano che è impossibile uscire. Peraltro, anche nell’Ucraina occidentale si registrano esplosioni: nell’area della città di Stryiskyi, nell’oblast di Leopoli, a poche decine di chilometri dal confine con la Polonia. Lo rende noto il governatore della regione, Maksym Kozytskyi.

La crisi del grano

Intanto, la crisi del grano ha aumentato di quaranta milioni il numero delle persone in emergenza alimentare nel mondo. Il segretario di Stato americano Blinken ha confermato che circa 25 milioni di tonnellate di grano si trovano nei silos vicino ai porti di Odessa” ma “non possono muoversi a causa del blocco russo”.

Le parole di Mattarella

“Oggi, l’amara lezione dei conflitti del XX secolo sembra dimenticata: l’aggressione all’Ucraina da parte della Federazione Russa, pone in discussione i fondamenti stessi della nostra società internazionale, a partire dalla coesistenza pacifica». Così il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nel salutare il corpo diplomatico prima del concerto offerto in occasione della festa della Repubblica. Quello ucraino “non è un conflitto con effetti soltanto nel teatro bellico – ha ribadito – le conseguenze della guerra riguardano tutti: a cerchi concentrici le sofferenze si vanno allargando, colpendo altri popoli e nazioni”. “Accanto alle vittime e alle devastazioni provocate sul terreno dello scontro, la rottura determinata nelle relazioni internazionali si riverbera sempre più sulla sicurezza alimentare di molti Paesi; sull’ambito della gestione delle normali relazioni, incluse quelle economiche e commerciali. Reca grave danno al perseguimento degli obiettivi legati all’emergenza climatica”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-06/ucraina-guerra-bambini-giornata-donbass-energia-ue-gas.html

Medio Oriente: vecchie questioni e nuove tensioni

Domenica di preoccupazione a Gerusalemme per i disordini tra alcuni israeliani e palestinesi nella Città Vecchia, in particolare sulla Spianata delle Moschee o Monte del Tempio, in occasione della Marcia delle bandiere che Israele celebra dal 1967. Mentre si valutano le ripercussioni della guerra in Ucraina, torna ad essere auspicabile una forma di garanzia internazionale per la gestione di luoghi considerati santi, afferma l’esperto di relazioni internazionali Massimo De Leonardis

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Molto allarme e alcuni incidenti ieri a Gerusalemme, in particolare sulla Spianata delle Moschee che gli israeliani chiamano Monte del Tempio. L’occasione è stata la “Marcia delle bandiere” che Israele celebra per ricordare la riunificazione della città sotto sovranità israeliana avvenuta con la Guerra dei Sei Giorni del 1967. La manifestazione è passata per il quartiere arabo della Città Vecchia per arrivare poi al Muro del Pianto. Già prima dell’avvio c’erano stati incidenti con i palestinesi nei pressi della Porta di Damasco.

Nella Città Vecchia

Secondo la stampa israeliana, circa 25.000 persone hanno preso parte all’evento a Gerusalemme, nella Città Vecchia, con gruppi  che hanno intonato slogan offensivi. Il ministro degli Esteri Yair Lapid ha condannato questa violenza da parte di militanti dell’estrema destra israeliana. Secondo la Croce Rossa palestinese, circa 40 palestinesi sono rimasti feriti nei disordini che hanno avuto luogo nella Città Vecchia.

In Cisgiordania

Dopo nuovi scontri tra le forze di polizia e palestinesi sulla Spianata delle Moschee si sono registrati disordini anche in Cisgiordania, nell’area di Nablus, dove alcuni palestinesi hanno bruciato pneumatici e bandiere israeliane, le forze dell’ordine israeliane hanno sparato gas lacrimogeni. Nelle stesse ore la presidenza palestinese ha ribadito che “Gerusalemme est, con i suoi luoghi santi islamici e cristiani, resterà l’eterna capitale dello Stato di Palestina”. “Non è possibile ottenere sicurezza e stabilità nella regione – ha affermato il portavoce del presidente Mahmūd Abbās noto come Abu Mazen, – fintanto che Israele continua ad ingaggiare una guerra contro il nostro popolo, contro la sua terra ed i suoi luoghi santi, comportandosi come uno Stato al di sopra delle leggi”.

Dalla Giordania

Proteste per gli episodi di violenza verificatisi ieri nella Spianata delle Moschee sono giunte dal ministero degli Esteri giordano. “Le incursioni degli estremisti ed il loro comportamento provocatorio, condotte sotto la copertura della polizia israeliana – ha affermato il ministero – rappresentano una violazione dello status legale storico e del diritto internazionale”. Israele, ribadisce il ministero degli Esteri giordano, deve rispettare la santità di quel luogo di preghiera.

Questioni vecchie e nuove

La guerra in Ucraina, con il suo innegabile peso, mette in qualche modo in ombra altre questioni come quella israelo-palestinese che invece non andrebbe trascurata, come sottolinea Massimo De Leonardis, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche all’Università Cattolica:

De Leonardis parla innanzitutto di questioni che da decenni si portano avanti, facendo riferimento alla questione dello status di Gerusalemme che proprio come ieri si è visto – ricorda il docente – resta occasione di grandi tensioni. De Leonardis cita evoluzioni degli ultimi anni che – dice – hanno segnato la marginalizzazione  della componente palestinese. Ricorda la normalizzazione di rapporti tra alcuni Stati arabi e Israele e la decisione del presidente statunitense Trump, non rivista poi da Biden, di trasferire l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme.

Sulla guerra in Ucraina l’attenzione di tutti

A parte la vicenda dei blocchi al commercio di grano ucraino o russo che rischiano di dare vita a una crisi alimentare senza precedenti in alcuni Paesi dell’Africa e anche in alcune aree mediorientali, De Leonardis si sofferma su un altro aspetto delle correlazioni tra questione israelo-palestinese e guerra in Ucraina chiarendo però che non si tratta di correlazioni dirette. Spiega che pesa indubbiamente il fatto che i grandi “attori” internazionali siano impegnati altrove e sottolinea che questo significa che resta molto più spazio per le iniziative in loco. Questo potrebbe significare il riacuirsi di tensioni.

Il professore ricorda che circa 20 anni fa la cosiddetta passeggiata di Sharon sulla Spianata delle Moschee o Monte del Tempio, provocò gravi disordini e spiega che ieri ha compiuto un gesto analogo un deputato della destra, non noto come Sharon ma che a livello locale è stato notato, non senza provocare tensioni.

Lo status di Gerusalemme

De Leonardis si sofferma sulla complessità della questione dello status di Gerusalemme per sottolineare quanta saggezza ci fosse nel suggerimento che – ricorda – la Santa Sede dava già nei primi anni venti del secolo scorso di pensare ad una forma di internazionalizzazione.  Oggi – spiega – arrivare a una internazionalizzazione risulta impossibile ma forse – dice – si potrebbe arrivare a una forma di garanzia di regole che governino la gestione dei luoghi santi.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-05/medio-oriente-israele-palestinesi-gerusalemme-status-tensioni.html