Sono almeno 30 le chiese (copte, cattoliche, ortodosse e protestanti) date alle fiamme in questi giorni in Egitto. E poi sono stati presi di mira anche case, scuole, monasteri e negozi gestiti dai cristiani, da Suez a Minya, da Sohag ad Assiut. Delle preoccupazioni della popolazione e dei cristiani, Fausta Speranza ha parlato con il vescovo di Giza, mons. Antonious Aziz Mina, che smentisce la guerra civile e la persecuzione ai cristiani:
La notizia che gli Stati Uniti segnano un ribasso della disoccupazione si è aggiunta all’annuncio della fine della recessione in Europa. Le richieste di sussidi alla disoccupazione negli Stati Uniti risultano al livello più basso dal 2007, anno di inizio della crisi. Mentre nel Vecchio Continente il Pil è tornato a crescere dello 0,3%, dopo 18 mesi di dati negativi. L’Italia dà debolissimi segnali di miglioramento ma di positivo c’è che lo spread tra titoli italiani e titoli tedeschi continua a diminuire. Per capire quale fase stiamo vivendo dopo ben sei anni di crisi mondiale, Fausta Speranza ha intervistato Giovanni Ferri, docente di economia politica all’Università Lumsa:
Nell’appello di Papa Francesco a vivere la Giornata per la pace in Siria e in Medio Oriente c’è l’invito alla preghiera e al digiuno. Del significato del digiuno per il cristiano, Fausta Speranza ha parlato con mons. Romano Penna, biblista della Lateranense:
R. – Il digiuno, come prassi religiosa, nasce nel giudaismo non nel cristianesimo. Nel giudaismo il giorno del Kippur è il giorno dell’espiazione e del digiuno. Abbiamo degli autori antichi che invece di chiamarlo giorno dell’espiazione lo chiamavano proprio giorno del digiuno. Questo, resta tutt’ora valido per i nostri fratelli ebrei. Siccome il cristianesimo è nato in ambito giudaico, ne ha preso alcuni elementi, a partire da Gesù stesso che nel racconto dei Vangeli sinottici si è ritirato nel deserto per digiunare. Anche se questo, bisogna dire, è stato un momento iniziale della sua vita e non la sua vita come lo era invece per Giovanni Battista.
D. – Questo è molto interessante: guardare al digiuno come momento inserito in una vita…
R. – Va inserito in una vita che non è una vita di digiuno, è una vita normale. Il digiuno è un momento di una particolare esperienza religiosa e anche di particolare affermazione di una certa identità di fronte agli altri. Nel caso dell’iniziativa di Papa Francesco, c’è proprio questa dimensione, di un momento “ufficiale” che esprime una presa di posizione in una determinata situazione storica a favore di un determinato tema.
D. – In questo caso, c’è anche il valore di fare questo digiuno insieme, in tanti…
R. – Quando viene condiviso, allora diventa un’esperienza comunitaria – non dico ecclesiale perché in questo caso hanno aderito anche persone fuori dalla Chiesa – però un’esperienza comunitaria di insieme che, tra l’altro, esprime una certa concordanza e questo è un fatto molto positivo. Una concordanza di vedute, di intenti, sperando che questi vengano raggiunti.
D. – Digiuno unito alla preghiera. Il Papa ha chiesto tutti e due…
R. – Questo è molto importante. Un digiuno da solo cosa sarebbe? Sarebbe un momento dietetico… Mentre la preghiera da sola, ha comunque senso. Quando invece il digiuno è unito alla preghiera è come se lo stesso digiuno diventasse preghiera. Quindi è un momento non solo di comunione a livello orizzontale tra coloro che lo praticano, ma di comunione con il Signore in forma di preghiera, di orazione, di tensione verso di lui. É questo poi che conta: non è l’affermazione di sé e delle proprie capacità di digiunatori, ma è la dimostrazione al Signore della capacità di fare qualche rinuncia e di farla tutti insieme alla sua luce, alla luce di Dio. Naturalmente, i cristiani hanno del Signore un certo concetto. Se si uniscono anche i musulmani, ne hanno un altro. Quindi, la comunione resta proprio sul piano pratico, effettivo, prassistico. Quindi, si è stabilita comunque questa comunione, questa comunitarietà di cui si parlava prima e che è un valore positivo.
testo proveniente da radiogiornale RV del 7 agosro 2013
Per decenni ignorata dalla storiografia, oggi emerge come un’epopea grandiosa e tragica: parliamo della persecuzione di cristiani e della conseguente ribellione del popolo avvenuta in Messico tra il 1925 e il 1929. Nel libro intitolato “Cristiada”, edito da Lindau, emerge nella sua verità storica sulla base della migliore bibliografia internazionale. Fausta Speranza ha intervistato l’autore del volume Mario Arturo Iannaccone:
radiogiornale del 5 agosto 2013 dal sito Radio Vaticana
“Annunciamo con gioia che Papa Francesco ha pranzato con la comunità gesuita della Specola Vaticana. Siamo profondamente emozionati!”. Si apre così una serie di messaggi diffusi domenica su Twitter dai gesuiti astronomi di Castel Gandolfo in lingua italiana e poi in inglese, spagnolo e francese. La Specola Vaticana ha il suo quartier generale nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, mentre la sede storica, nel Palazzo Pontificio proprio sopra l’appartamento del Papa, continua ad ospitare le cupole con i telescopi. Ma le osservazioni da qualche tempo si fanno presso il nuovo centro di ricerca, The Vatican Observatory Research Group (Vorg), che si trova negli Stati Uniti, a Tucson, presso lo Steward Observatory dell’Università dell’Arizona. Della particolarissima visita di Papa Francesco domenica a quella che si distingue come una delle più antiche istituzioni di ricerca astronomiche del mondo, Fausta Speranza ha parlato con padre José Gabriel Funes, direttore della Specola Vaticana:
R. – Una bellissima giornata per noi gesuiti, dipendenti della Specola Vaticana. Abbiamo accolto il Papa, gli abbiamo fatto vedere un po’ i locali che abbiamo qui a Castel Gandolfo. Il Papa ha visto alcuni libri antichi, i più preziosi che abbiamo, come – ad esempio – una copia del libro di Copernico De revolutionibus, poi Principia di Isaac Newton e ancora La riforma del calendario gregoriano e le Tabelle di padre Clavio, che ha partecipato a questa riforma. Ha visitato anche il laboratorio dei meteoriti, dove ha guardato nel microscopio un meteorite caduto a Buenos Aires. Fratel Consolmagno, che ne è il curatore, gli ha preparato questa piccola sorpresa. Alla fine del pranzo, il Papa ha firmato la pergamena che abbiamo con la firma di tutti i Papi: da Pio XI fino ad oggi, a Papa Francesco. E’ stato veramente molto bello e siamo molto contenti.
D. – Padre Funes, nessuno come voi della Specola Vaticana può essere felice di guardare il cielo con Papa Francesco…
R. – Certo, certo! E’ stato un momento molto bello, anche perché durante il pranzo abbiamo potuto parlare delle attività e dei progetti della Specola, quindi quello che noi facciamo, la nostra missione.
D. – Che significa guardare il cielo con lo sguardo di fede ma anche dal punto di vista scientifico?
R. – Questa prospettiva logica o scientifica aiuta anche una migliore comprensione religiosa dell’universo; ma d’altra parte, la conoscenza puramente scientifica è limitata, se non è aperta ad altri modi di conoscenza, come quello filosofico o religioso.
D. – Padre Funes, Papa Francesco, alla Specola Vaticana, è stato anche un gesuita tra gesuiti?
R. – Esatto. E’ stato un nostro confratello. Quindi una doppia gioia: avere il Papa con noi, il Papa gesuita. Poi è la prima volta che un Papa pranza con la comunità dei gesuiti della Specola: anche questa è una cosa straordinaria. Mi hanno raccontato che durante il primo anno del Pontificato di Giovanni Paolo II, dopo la Messa con la comunità, il giorno di Sant’Ignazio, il Papa si è recato presso la comunità dei padri, si è fermato per la prima colazione con i gesuiti e i dipendenti… Anche quella visita è stata molto familiare. Ma questa è stata la prima volta che un Papa pranza con la comunità dei padri gesuiti.
D. – Delle parole pronunciate finora da Papa Francesco, quale insegnamento per il vostro lavoro sentite più forte?
R. – Io credo che sia quello sul quale il Papa ha insistito sin dall’inizio: andare nelle periferie e non solo geografiche, ma anche esistenziali. La nostra missione fa parte di questo andare alla periferia più lontana – se così possiamo dire – perché riguarda l’universo: andiamo indietro, nel senso che esploriamo anche l’inizio dell’universo dal punto di vista della scienza, ma andiamo anche lontano, perché studiamo anche le galassie più lontane, lontanissime… E questo presenta delle domande che tutti ci dobbiamo fare nel rapporto tra scienza e fede. Penso che questa sia la missione della Specola: andare verso questa periferia veramente lontanissima, che è quella dell’universo, che è sempre dono di Dio.
L’augurio del Papa ai musulmani per il Ramadan: porti frutti abbondanti di pace
Tra i tanti pensieri forti che restano della visita di Papa Francesco a Lampedusa, ci sono le parole legate all’inizio del Ramadan, rivolte agli immigrati musulmani incontrati. Il Papa ha espresso l’augurio che il particolare mese considerato sacro possa portare “abbondanti frutti spirituali”. Sulle parole del Papa, Fausta Speranza ha intervistato padre Samir Khalil Samir, docente di Storia della cultura araba e islamologia all’Università Saint Joseph di Beirut:
R. – Tra gli immigrati probabilmente c’erano anche dei musulmani, ma non per questo il Papa si è rivolto ai musulmani, ma perché il Ramadan, che è il mese più sacro e più importante spiritualmente, è imminente. Dunque il Papa, che è sensibile all’aspetto più profondo della persona umana e delle religioni, ha sentito la necessità di fare anche semplicemente un’allusione, un augurio. Non ha fatto un discorso politico e sociale, benché in tutto il mondo musulmano ci sia in questo momento una certa effervescenza.
D. – Padre Samir, innanzitutto il pensiero è che in Egitto, in questo momento, questi frutti spirituali di pace siano momenti di riconciliazione e di dialogo per evitare altri scontri?
R. – Sì, esatto. Il problema è che c’è stato un primo passo con queste rivoluzioni, ma poi il passo è stato cambiato pochi mesi dopo, perché i giovani che hanno fatto le varie rivoluzioni non erano organizzati: gli unici a essere organizzati e che non appartenevano al vecchio sistema erano i Fratelli musulmani, che hanno preso il potere in Tunisia, in Egitto, in Libia e altrove. E’ ciò che stiamo vedendo anche in Siria: è un confronto un po’ di questo tipo tra musulmani sunniti – talvolta alcuni di loro estremisti – e musulmani sciiti. Il problema religioso dell’islam è al centro di tutto questo. Il mondo musulmano è in ebollizione e sta cercando la sua strada tra un estremismo religioso, da una parte, e dall’altra una secolarizzazione totale in Occidente. Questo da due anni e mezzo: è cominciato con la cosiddetta “primavera araba”, nel dicembre 2010. Questo, dunque, è un momento essenziale e il Papa ha avuto le parole giuste, perché ha parlato di rinnovamento spirituale e poi di augurio di abbondanti frutti, frutti di pace, di serenità, frutti di collaborazione con tutti, frutti di non violenza. Stiamo vivendo in tutto il mondo arabo una violenza più o meno forte, ma comunque esistente. Penso che il Papa sia riuscito a trovare con tre parole l’espressione giusta.
D. – Padre Samir, sembra che queste parole vengano ad aggiungersi anche ad altre di Papa Francesco, sulla scia di un impegno al dialogo interreligioso. E’ così?
R. – Mi pare ovvio, anche da tutti i suoi discorsi e dai commenti al Vangelo che fa ogni giorno, che sia la spiritualità il fondamento di tutto. E il Papa lo vede sia per il discorso ecumenico, sia per il discorso interreligioso, sia anche per quello interumano, direi. E’ la base di tutto per Papa Francesco ed è molto chiaro, anche perché negli esercizi spirituali di Sant’Ignazio, che hanno nutrito tutta la sua vita, la base di tutto è una concezione dell’uomo che parte dallo spirito e dalla spiritualità.
Testo proveniente dal sito della Radio Vaticana del 9 Luglio 2013
All’annuncio della prossima canonizzazione di Papa Giovanni XXIII, Fausta Speranza ha intervistato mons. Loris Francesco Capovilla, che è stato suo segretario personale:
R. – Il primo sentimento mio è di sorpresa. Io non aspettavo questo, così, subito, immediatamente e nel corso dell’Anno della fede. Il primo sentimento è: bacio la mano di Papa Francesco. E poi in questo momento, con lo spirito, l’animo e la generosità di Papa Giovanni, a chi mi chiede che cosa rimane adesso di Papa Giovanni che chiameremo tra poco San Giovanni XXIII, del suo passaggio quaggiù, io rispondo con tutta tranquillità: “Rimane tutto!”. Voglio dire che la sua fontana continua a dare l’acqua del villaggio, acqua refrigerante del Vangelo. In tutto il mondo ci sono uomini e donne, ecclesiastici e laici, cristiani e non appartenenti alla confessione cristiana, che salutano in Papa Giovanni un benefattore dell’umanità.
D. – Che cosa, mons. Capovilla, secondo lei, significa in particolare per la Chiesa di oggi la canonizzazione di Papa Giovanni XXIII?
R. – E’ come un commento al Capitolo V della Costituzione Lumen Gentium, l’universale chiamata alla santità. Siamo il Popolo di Dio in cammino, non verso una pura realizzazione temporale: siamo chiamati tutti all’eterno! A entrare nello splendore della divinità: siamo tutti chiamati, amati, sorretti. Papa Francesco dice: “Siamo tutti oggetto della misericordia e dell’amore di un Dio, che viene a cercarci”.
D. – Sono passati poco più di 50 anni dall’inizio del Concilio e ricordiamo Papa Giovanni XXIII, che ha avuto questo coraggio così forte e così straordinario, di impatto così grande sul mondo intero, di pensare il Concilio Ecumenico Vaticano II…
R. – In questo momento, se mi è concesso, vorrei rivolgermi direttamente al beatissimo Papa Giovanni, appropriandomi del pensiero e delle parole, del calore di fede e di speranza di questo saggio e severo fratello prete. Papa Giovanni ha cercato e incontrato, servito ed amato solo Gesù Cristo, e con lui mi sento introdotto nella costellazione del Vero, del Bello e del Bene. A Papa Giovanni dico: continuate a spronare ecclesiastici e laici a essere quali li vuole Gesù, divino fondatore della Chiesa, affinché una Chiesa libera, casta e cattolica generi figli e figlie che vivano – come voi avete testimoniato – con cuore puro e fuoco ardente di amore. E’ la mia prima, devota, calda reazione a questa grande notizia.
D. – Mons. Capovilla, lei è stato segretario personale e ha camminato accanto a Papa Giovanni XXIII, che adesso sarà presto santo. Che cosa vorrebbe regalare ai nostri ascoltatori in pochissime parole di questa santità assorbita – diciamo così – tanto da vicino?
R. – Vorrei dire a ciascuno: “Camminiamo come ha insegnato Papa Giovanni, nell’umiltà e nella mansuetudine”. Mi piace dire che questo che lei mi ha chiesto è quello che mi ha detto il cardinale Carlo Maria Martini, che ho visto un mese prima della sua morte. E mi disse: “Mons. Capovilla, lei ha ancora energie sufficienti, le spenda per celebrare e raccontare la mansuetudine, l’umiltà e la dolcezza di Papa Giovanni e l’amore che lui ha cercato di riversare sul mondo intero, tramite il Concilio Ecumenico Vaticano II. Dunque, camminiamo sui sentieri del Concilio Vaticano II: non dimentichiamo che abbiamo quattro Costituzioni. Con la Lumen Gentium siamo chiamati alla santità. Con la Dei Verbum, scopriamo la Parola di Dio, prima di ascoltare la parola degli uomini. Sacrosanctum Concilium: la preghiera, la lettura sacra. Gaudium et Spes: al mondo travagliato, stanco, umiliato, ferito proponiamo gioia e speranza. Nonostante tutti i travagli dell’umanità intera: gioia perché siamo figli di Dio, redenti dal Sangue prezioso di Cristo; e speranza, non la speranza dei beni presenti, ma la speranza del gaudium eterno con Cristo e con tutti i nostri cari.
D. – Mons. Capovilla, ci lascia con una espressione di preghiera con la quale si sente in stretta comunione con Papa Giovanni XXIII?
R. – Sì, tre volte al giorno l’Angelus: il più grande evento nella storia dell’umanità. Dio ha posato i suoi piedi accanto ai nostri e cammina con noi. E Gesù ce l’ha detto e assicurato: “Fino alla fine dei tempi, Io sono con voi!”. Questa è la grande preghiera: “Angelus Domini nuntiavit Mariae”… C’è Dio, c’è il grande annuncio, l’incarnazione, la Vergine Santissima, ci siamo noi, piccoli, difettosi, poveri, ma anelanti alla verità, alla giustizia, all’amore e alla libertà.
In Italia, nei giorni scorsi è stato presentato al Senato il Ddl bipartisan che istituisce una commissione bicamerale d’inchiesta per indagare e intervenire sul fenomeno del femminicidio. Si tratta di un’ennesima iniziativa dopo l’importante ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa contro qualsiasi forma di violenza alle donne. L’Italia è stata il quinto Paese a ratificarla, dopo Albania, Turchia, Montenegro, Portogallo, e dunque il primo tra i grandi Paesi europei. La Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne. Fausta Speranza ne ha parlato con il vice segretario generale del Consiglio d’Europa, Gabriella Battaini Dragoni:
R. – Questa convenzione sviluppa un approccio globale nella lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica. È quindi una convenzione che prevede sia misure preventive – che sono fondamentali – che di protezione della donna – pure indispensabili – e poi, soprattutto, sottolineerei le misure di repressione nei confronti di coloro che hanno svolto azioni violente. Proprio questo approccio globale fa si che questa convenzione sia considerata alle Nazioni Unite come la Convenzione gold standard, nel senso che è la convenzione che, a livello mondiale, tratta nel modo più completo possibile il problema della lotta contro la violenza nei confronti delle donne.
D. – Nella recente escalation drammatica con episodi veramente raccapriccianti – come ad esempio il giovane che riesce a dar fuoco alla ex fidanzata ancora viva – ci sono stati degli elementi veramente drammatici. Ce ne sono poi altri che ci interrogano con altrettanta forza, come ad esempio, la ragazza che ritira la denuncia al fidanzato che l’ha picchiata fino a spappolarle la milza, continuando a ribadire che vuole ritornare da lui….
R. – Penso che il ruolo della famiglia come quello della scuola siano importanti …
D. – È anche una questione culturale: conservare il valore della dignità di sé stessi …
R. – Certo. È un fatto culturale. Il fatto che la ragazza, innanzi tutto, non si rende conto di come abbia il diritto di essere protetta e di proteggersi è grave… Si tratta di valori … Ecco perché menzionavo la famiglia, la scuola; si reagisce in base ai valori che si sono potuti condividere nella crescita. Se la ragazza ha capito alcune cose fondamentali – pur avendo questo innamoramento – può prendere le distanze necessarie. Inoltre, la convenzione sottolinea con fermezza la necessità di punire e di non arrivare a misure di accomodamento o di accordo. È assolutamente necessario che ci sia giustizia, e giustizia non è accomodamento. Ad esempio, noi ci siamo opposti – come Consiglio d’Europa – a un progetto di legge che si stava elaborando nella primavera scorsa in un Paese come la Romania, in cui si prevedevano forme di compensazione, di accordo, tra la vittima e colui che aveva picchiato o violentato la donna in questione. Ci siamo opposti proprio perché non si può prima abusare di una persona e poi pensare con un accordo finanziario – solo perché si hanno dei soldi e ci si può permettere di pagare – di non scontare nessuna pena.
D. – Però, anche attraverso i media passano dei modelli di donna-oggetto che hanno svilito l’immagine femminile. Paradossalmente siamo passati dal femminismo a modelli di questo tipo …
R. – Assolutamente! Infatti, una delle preoccupazioni fondamentali che abbiamo ora – e che sarà anche l’oggetto di discussione di una prossima riunione a livello dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa – riguarda il ruolo dell’immagine femminile nei media. A questa conferenza – a cui parteciperanno diversi ministri delle pari opportunità dell’insieme dei 47 Paesi del Consiglio d’Europa – è stata invitata Laura Boldrini, presidente della Camera italiana, ad essere una delle conferenziere di apertura. Un appuntamento per noi importante è il 4 e 5 luglio ad Amsterdam, sotto invito del Ministro delle pari opportunità olandese, per discutere, per fare un po’ un’analisi della situazione attuale sull’influenza che i media hanno nell’immagine della donna e quanto questo può essere effettivamente dannoso: la donna spesso associata alla pubblicità, la donna-oggetto, che quindi può essere trattata come tale, e di conseguenza può essere valorizzata, messa da parte o addirittura buttata via. Per cui poi si può arrivare a buttare via e a spezzare la vita di una donna.
30 anni fa l’arresto di Enzo Tortora, simbolo in Italia dell’errore giudiziario
Il 17 giugno di 30 anni fa in Italia veniva arrestato, per associazione per delinquere di stampo mafioso e traffico di stupefacenti, Enzo Tortora, intellettuale e uomo di spettacolo diventato il simbolo dell’errore giudiziario. Accusato da “pentiti” in un’inchiesta con 856 ordini di cattura, veniva condannato in primo grado a 10 anni di reclusione e poi però assolto nel 1987. Meno di un anno dopo, il 18 maggio 1988, moriva per un cancro ai polmoni. Era stato eletto eurodeputato nel 1984. Ieri pomeriggio a Napoli, l’Università Suor Orsola Benincasa ha organizzato un convegno a partire dalla presentazione del libro-inchiesta a cura di Paolo Mieli e i ragazzi del corso di giornalismo intitolato “Il caso giudiziario e il caso giornalistico trent’anni dopo”, Ucsi editore. Fausta Speranza ha intervistato lo storico Eugenio Capozzi, dell’Università stessa, che è intervenuto al dibattito:
R. – E’ stato il caso che ha fatto esplodere il grande tema della giustizia nel nostro Paese. Lo squilibrio tra le procedure giudiziarie e i diritti dei cittadini, tra il mondo della giustizia e il mondo della politica, con i loro complicati rapporti. E’ un processo che si era già messo in moto, in realtà, negli anni Settanta – negli anni del terrorismo – ma che con le grandi inchieste sulla criminalità organizzata degli anni Ottanta esplode. E il caso Tortora è il momento in cui questo grave problema diventa effettivamente un tema politico. Per quanto riguarda l’aspetto mediatico, in quel caso per la prima volta viene messo in evidenza il circolo vizioso che unisce lo squilibrio nei diritti dei cittadini rispetto alla giustizia e l’uso selvaggio dei media che deturpano l’immagine e l’onorabilità dei cittadini stessi.
D. – Nel caso di Tortora, era personaggio particolarmente pubblico e quindi è stato questo un motivo in più per offrirlo alla gogna delle telecamere, o è stato un caso?
R. – No, non è stato assolutamente un caso. Probabilmente – questo è ancora da vedere – è stato tutto sommato casuale il modo in cui Tortora fu coinvolto nell’inchiesta; ma proprio il fatto che fosse un personaggio di enorme popolarità, in quel momento, favorì il fatto che diventasse un simbolo dell’inchiesta stessa e che quindi fosse inghiottito da questo gigantesco gorgo mediatico-giudiziario che è stato il prototipo di quello che per molti motivi è diventato un tema ricorrente della politica italiana.
D. – Ma quell’inchiesta stessa, in quel momento, era già particolare: aveva delle caratteristiche. Ce le delinea?
R. – Inchieste come quelle sulla nuova camorra organizzata in cui fu coinvolto Enzo Tortora, rispondevano alla caratteristica della maxi-inchiesta, del maxi-processo contro la criminalità organizzata che era tipica dell’azione giudiziaria in quel periodo storico ma che in realtà era stato già adottato e sperimentato nelle inchieste contro le organizzazioni terroristiche del decennio precedente. Quindi si venne a creare una sorta di inchiesta-mostra, di processo-mostra con centinaia se non addirittura migliaia di imputati e con una fortissima prevalenza dei reati associativi su quelli individuali, con tutte le conseguenze di sommarizzazione e di tritolamento delle posizioni individuali e con tutti i rischi per i diritti individuali che questo poteva comportare.
D. – Dunque, in pratica, uno schema processuale sperimentato in casi di terrorismo veniva applicato per la prima volta a casi di camorra?
R. – Esattamente. E nello stesso periodo si avvia anche il maxi-processo a Palermo contro Cosa Nostra. Ora, in quel tipo di tendenza c’è anche un fatto storico ineluttabile e cioè che lo Stato incominciava a combattere le grandi organizzazioni criminali come tali. Però, questo avrebbe dovuto comportare una riflessione su come salvaguardare i diritti individuali dei cittadini rispetto a questa inchiesta che, invece, per debolezza del mondo politico e per una corporativizzazione dell’ordine del Terzo Potere, della Magistratura, non fu mai avviata. E il caso-Tortora è stato la scintilla che ha fatto esplodere il problema.
Testo proveniente dalla pagina del sito Radio Vaticana del 16 Giugno 2013
Papa Francesco nella prima visita a una parrocchia romana: la realtà si vede meglio dalle periferie, non dal centro
Con l’aiuto della Madonna, capire Dio per scoprire il suo amore: è il messaggio che Papa Francesco lascia ai bambini e ai parrocchiani della Chiesa di Santa Elisabetta e Zaccaria, nella zona nord di Roma. E’ una parrocchia di periferia e Papa Francesco, appena arrivato, ha detto che è dalle periferie che “si vede meglio la realtà”. Nella sua prima visita a una parrocchia della sua diocesi di Roma, Papa Francesco ha salutato famiglie, ammalati, collaboratori parrocchiali. Inoltre, prima della celebrazione, ha ascoltato le confessioni di 8 persone, un significativo inedito per un Pontefice. Altro momento centrale sono state le Prime Comunioni amministrate dal Papa stesso a 16 bambini. Il servizio di Fausta Speranza:
A tutti, ai bambini in particolare, Papa Francesco consegna questa certezza: “La Madonna è madre e sempre viene in fretta quando abbiamo bisogno”. “La Madonna ci dà una certezza”, assicura:
“La Madonna è sempre così. E’ la nostra Madre, che sempre viene in fretta quando noi abbiamo bisogno.”
La Madonna – dice Papa Francesco – “andò in fretta da Elisabetta”, perché aveva bisogno”:
“Non ha detto: Ma adesso io sono incinta, devo curare la mia salute. Mia cugina avrà delle amiche che forse l’aiuteranno”. Lei ha sentito qualcosa e ‘se ne andò in fretta’.”
E, sottolinea Papa Francesco, solo per aiutare:
“Va per aiutare, non va per vantarsi e dire alla cugina: ‘Ma senti, adesso comando io, perché sono la Mamma di Dio! No, non ha fatto quello. E’ andata ad aiutare!’”.
Papa Francesco – che prima ci celebrare la Messa ha voluto ascoltare per circa mezz’ora le confessioni di otto parrocchiani – confida che vorrebbe aggiungere un’espressione alle Litanie con cui ci si rivolge a Maria:
“Signora che vai in fretta prega per noi! E’ bello questo, vero? Perché Lei va sempre in fretta, Lei non si dimentica dei suoi figli. E quando i suoi figli sono nelle difficoltà, hanno un bisogno e la invocano, Lei in fretta va. E questo ci dà una sicurezza, una sicurezza di avere la Mamma accanto, al nostro fianco sempre. Si va, si cammina meglio nella vita quando abbiamo la mamma vicina.”
La Madonna ci aiuta – assicura Papa Francesco – “senza farci aspettare”. E dunque, il Papa spiega cosa prima di tutto chiedere di grande a Maria:
“La Madonna ci aiuta anche a capire bene Dio, Gesù, a capire bene la vita di Gesù, la vita di Dio, a capire bene che cosa è il Signore, com’è il Signore, chi è Dio.”
Capire cosa fa il Padre, che crea; il Figlio che ci ha salvato e che ci guida camminando con noi; lo Spirito Santo che dà l’amore. E a questo punto, il Papa rivolge tutta la sua attenzione ai bambini: parla con loro. L’omelia si fa dialogo:
“A voi bambini, domando: Chi sa chi è Dio? Alzi la mano.”
Papa Francesco chiede ai bambini e, quando le risposte non si sentono, li sollecita a parlare più forte e scherza con loro: . “Gesù ci ha salvato, ma anche cammina con noi nella vita. E’ vero questo? E come cammina? Cosa quando cammina con noi nella vita? Questo è difficile. Chi la fa vince il derby, eh? E anche Gesù ci dà la forza per camminare. E’ vero? Ci sostiene! Bene! Nelle difficoltà, vero? Ed anche nei compiti, della scuola, no?”
Quindi, un pensiero a Gesù Eucaristia:
“Ma senti, Gesù ci dà la forza. Come ci dà la forza Gesù? Voi questo lo sapete come ci dà forza? Forte, non sento! Nella comunione, ci dà la forza, proprio ci aiuta con la forza. Lui viene a noi. Ma quando voi dite ‘ci dà la comunione’, un pezzo di pane ti dà tanta forza? Non è pane quello? E’ pane? Questo è pane, ma quello sull’altare è pane o non è pane? Sembra pane! Non è proprio pane. Che cosa è? E’ il corpo di Gesù. Gesù viene nel nostro cuore. Ecco, pensiamo a questo, tutti.”
Dio che dà la vita; Figlio che salva; Spirito Santo che dà l’amore. E Papa Francesco in pochissime parole spiega cosa sia la vita cristiana:
“E questa è la vita cristiana: parlare con il Padre, parlare con il Figlio e parlare con lo Spirito Santo.”
E il Papa sembra consegnare anche un piccolo segreto per essere sulla via giusta:
“Pensiamo a Dio così e chiediamo alla Madonna, la Madonna nostra Madre in fretta sempre, per aiutarci, che ci insegni a capire bene com’è Dio: com’è il Padre, com’è il Figlio e com’è lo Spirito Santo. Così sia.”
L’invito a “capire bene cosa e come è il Signore, la vita di Dio” e a ricordarsi che “la Madonna non dimentica i suoi figli”: è l’insegnamento di Papa Francesco in questa sua prima visita a una parrocchia della sua diocesi. Una parrocchia di periferia e Papa Francesco chiama tutti a una riflessione:
“La realtà insieme si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie”.
Con la carezza di Dio che passa nelle mani di Papa Francesco che si lascia circondare dai bambini e che, al momento della Comunione, china il capo, come a chiedere a sua volta la Benedizione, come al suo primo affacciarsi, quando si è presentato al mondo.
(scambio saluti e canto)
Al momento del saluto, prima di salire in elicottero, un pensiero affettuoso e ancora una volta il Papa chiede preghiere:
“Vi ringrazio per l’accoglienza. Sono contento di vedere una parrocchia così vivace, così bella con tanti bambini! E’ una benedizione. Continuate ad andare avanti, a sostenere il parroco, ad andare avanti nel lavoro, e pregate per me. Non dimenticate. Pregate per me!”