Francia, Macron vince il primo turno delle presidenziali

Il ballottaggio è in programma il 24 aprile. L’attuale titolare dell’Eliseo è risultato in testa con il 28,4 per cento delle preferenze. Marine Le Pen segue con il 23,4. Più distaccati gli altri candidati. Un voto che mette in luce una larga fetta di cittadini concentrati sulle questioni interne, preoccupati per l’economia, scollati dai politici, come spiega da Parigi la sociologa Michela Marzano

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Nulla è deciso, quello che succederà nei prossimi quindici giorni sarà decisivo per la Francia e per l’Europa”. Queste le parole del presidente uscente francese, Emmanuel Macron, a conclusione del primo turno delle elezioni presidenziali che si è svolto ieri 10 aprile. Il 44enne Macron ha raccolto il 28,4 per cento delle preferenze e dunque il 4 per cento in più rispetto al 2017. Marine Le Pen ha raggiunto il 23,4.

Il ballottaggio il 24 aprile

In attesa del ballottaggio del prossimo 24 aprile, sembra profilarsi – come era stato previsto dai sondaggi – uno scenario elettorale analogo a quello delle presidenziali del 2017, con il vis-a-vis tra Macron e Le Pen. L’attuale titolare dell’Eliseo vinse poi al secondo turno con il 66 per cento delle preferenze. La novità di ieri è che il vantaggio di Macron su Le Pen risulta superiore a quello che ottenne cinque anni fa, quando i due erano separati da soli 2,7 punti percentuali. Per capire le dinamiche più in discussione nella società francese e analizzare il forte astensionismo, abbiamo intervistato Michela Marzano, filosofa, accademica e saggista a Parigi:

Gli altri candidati

Marzano ricorda che sono risultati più staccati, nello spoglio, gli altri candidati, da Jean-Luc Melenchon con il 22,2 per cento fino a Eric Zemmour al 7,2 per cento. E sottolinea che, mentre Zemmour ha chiesto ai suoi elettori di far convergere i suoi voti su Le Pen al secondo turno, Melenchon non si è pronunciato. Da parte sua – ricorda – Macron ha assicurato ai suoi elettori: “Potete contare su di me”, lanciando un appello ai connazionali di ogni colore politico affinché sbarrino la strada all’estrema destra.

Forte astensionismo

Tutto può tornare in discussione tra due settimane – chiarisce Marzano – per un voto condizionato da pandemia e guerra in Ucraina e caratterizzato dall’incertezza degli elettori. Almeno uno su due ha più volte cambiato opinione. Soprattutto, a pesare è l’astensionismo che ieri ha raggiunto il livello più alto dal 2002. Secondo i risultati ufficiali comunicati dal ministero dell’Interno di Parigi, sono 35.418.947 gli elettori che hanno votato per uno dei dodici candidati in corsa, pari al 74,86 per cento degli aventi diritto. Si tratta di un dato decisamente inferiore rispetto al 2017, quando ha votato il 77,8 per cento degli elettori, e al 2012, quando alle urne si è recato il 79,5 per cento degli aventi diritto. In ogni caso, si è registrato in questi anni – chiarisce Marzano – un progressivo, significativo scollamento dei cittadini dagli esponenti politici. Prima – ricorda – si è consumata la fine dei partiti tradizionali: già nel 2017, quando il neonato partito di Macron aveva sbaragliato alle urne nel voto che ha segnato la debacle dei socialisti e dei repubblicani. Il punto è – avverte la studiosa – che, al di là del risultato che vede in testa Macron, è evidente un calo dei consensi tra la popolazione anche nei confronti del presidente uscente e – aggiunge – si avvertono sentimenti forti di scontentezza e di delusione per una politica che non riesce a intercettare e soddisfare i bisogni di certezze economiche e sociali dei francesi.

L’effetto guerra

A proposito dell’impatto che può avere avuto sull’opinione pubblica l’invasione da parte della Russia dell’Ucraina, Marzano sottolinea che forse non ha determinato grandissima differenza, ma certamente può aver pesato in termini di più voti per Macron, visto come il leader sta gestendo la situazione e che non ha avuto particolari personali legami con Putin. Può aver perso alcuni voti forse Le Pen perché indubbiamente era pubblica la sua vicinanza e stima nei confronti del presidente russo. Marzano ricorda che – è un fatto reso pubblico – il partito di Le Pen ha dovuto far ripubblicare locandine e manifesti della campagna elettorale perché in quelli della prima ora c’è il riferimento con foto proprio del leader del Cremlino.

Disordini a Rennes e Lione

Intanto nella serata di ieri si sono registrati disordini nel centro di Rennes e a Lione, dove circa 500 persone – principalmente giovani – si sono radunate all’annuncio del risultato e hanno marciato provocando danni nelle strade. L’arredo urbano è stato distrutto e le finestre delle filiali bancarie sono state danneggiate. In una piazza del centro cittadino di Rennes è divampato un incendio che ha richiesto l’intervento dei vigili del fuoco.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-04/francia-primo-turno-elezioni-presidenziali.html

Ucraina, il Papa: inizi una tregua pasquale per la pace, non per ricaricare le armi

Un forte appello per la cessazione delle ostilità nel cuore dell’Europa: Francesco rivolge il suo pensiero ad “una guerra che ogni giorno ci pone davanti agli occhi stragi efferate e atroci crudeltà compiute contro civili inermi”. Sottolinea che cercando di vincere “alla maniera del mondo si perde soltanto”. L’invito è a fermare le armi, unicamente per far prevalere “il bene della gente”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Con un richiamo all’Annunciazione e alla consapevolezza che “nulla è impossibile a Dio”, Papa Francesco chiede di “far cessare una guerra di cui non si vede la fine, una guerra che ogni giorno ci pone davanti agli occhi stragi efferate e atroci crudeltà compiute contro civili inermi”. Lo fa prima della recita dell’Angelus, al termine della celebrazione in Piazza San Pietro della Domenica delle Palme (Ascolta il servizio con la voce del Papa):

Siamo nei giorni che precedono la Pasqua. Ci stiamo preparando a celebrare la vittoria del Signore Gesù Cristo sul peccato e sulla morte. Sul peccato e sulla morte, non su qualcuno e contro qualcun altro. Ma oggi c’è la guerra. Perché si vuole vincere così, alla maniera del mondo? Così si perde soltanto. 

Il richiamo alla vittoria di Cristo oltre le logiche umane:

E con le sue parole interpella il mondo:

Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?

Nella consapevolezza che “nulla è impossibile a Dio”, l’affidamento : “Ci affidiamo all’intercessione della Vergine Maria”.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-04/papa-angelus-domenica-palme-ucraina.html

Ucraina, attacchi ad est e verità per i russi a Chernobyl

Si intensifica l’offensiva di Mosca sulle regioni orientali dell’Ucraina. L’intelligence britannica documenta atrocità nelle zone settentrionali invase e poi liberate. Intanto emerge il dramma per le giovani reclute russe che hanno occupato il territorio di Chernobyl: senza nessuna protezione hanno scavato trincee nel terreno più contaminato al mondo esponendosi a potenti radiazioni. “Oltre qualsiasi comprensione” è il commento del fisico ucraino di lingua russa Nikolai Nikitin

Fausta Speranza – Città del Vaticano

La guerra si concentra nell’est dell’Ucraina. Secondo quanto riferisce lo stato maggiore dell’esercito ucraino, le truppe della Federazione Russa stanno cercando di sfondare la difesa militare vicino alla città di Izyum per stabilire il controllo su Mariupol. Mosca cerca anche di rafforzare le posizioni delle sue truppe nelle regioni di Mykolaiv e Kherson  e  usa gli attacchi missilistici anche per demoralizzare la popolazione. Nelle ultime ore sette missili si sono abbattuti sull’area di Mykolayiv. Nel territorio delle regioni di Donetsk e Luhansk i soldati ucraini hanno sventato otto attacchi russi. Gli abitanti nella regione di Luhansk,  assediata dalle truppe di Mosca, potranno oggi evacuare l’area a bordo di nove treni: lo ha reso noto il governatore regionale. “Stanno ammassando forze per un’offensiva”, precisa il governatore Serhiy Gaidai in un discorso televisivo in cui ha esortato i civili rimasti a fuggire dai bombardamenti che – ha detto- si sono intensificati negli ultimi giorni.

Nei rapporti di intelligenze britannica

“La partenza della Russia dall’Ucraina settentrionale lascia le prove della presa di mira sproporzionata dei non combattenti, compresa la presenza di fosse comuni, l’uso fatale di ostaggi come scudi umani e l’impiego di mine sulle infrastrutture civili”. Lo afferma il ministero della Difesa britannico nell’ultimo bollettino dell’intelligence su Twitter. Il rapporto rileva inoltre che “le forze russe continuano a usare ordigni esplosivi improvvisati per provocare vittime, abbassare il morale e limitare la libertà di movimento degli ucraini. Le forze russe continuano anche ad attaccare obiettivi infrastrutturali con un alto rischio di danni collaterali ai civili, compreso un serbatoio di acido nitrico a Rubizhne”.

La visita a sorpresa del premier britannico

Il premier britannico Boris Johnson ha incontrato ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in quella che è stata la prima missione, a sorpresa, di un leader del G7 a Kiev dopo l’inizio dell’invasione russa del 24 febbraio. Ha ribadito la promessa di rimanere accanto all’Ucraina contro quella che ha definito “la barbarie russa”, assicurando altro materiale militare.   “Continueremo a fornire il nostro sostegno per far sì che l’Ucraina non venga mai più invasa”, ha affermato Johnson, facendo capire dunque che l’alleanza militare è destinata a proseguire anche dopo la fine delle ostilità in corso.Da parte sua, Zelensky  ha assicurato che l’Ucraina rimane “pronta per i negoziati e cercherà tutte le possibilità per fermare la guerra”.  Per ora Zelensky ha invitato “altri Paesi” a  “seguire l’esempio” del Regno Unito nel fornire armi efficaci.  “Il Regno Unito è  leader nel sostegno militare all’Ucraina,   leader nella coalizione contro la guerra,   leader nelle sanzioni contro l’aggressore russo”, ha detto il vice capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Andriy Sybiha, mettendo in risalto l’importanza strategica che Kiev attribuisce alle relazioni con Londra.

Le perdite tra le forze russe

Un alto ufficiale dell’esercito russo sarebbe stato ucciso in battaglia dalle forze di difesa ucraine, sarebbe il nono da quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio scorso. Lo riferisce il Guardian. Il colonnello Alexander Bespalov era il comandante del 59mo reggimento carri armati, il funerale si è tenuto venerdì nella città russa di Ozersk, secondo i media locali.  Il ministero della Difesa ucraino stima che la Russia abbia perso più di 19.000 soldati dall’inizio dell’invasione. Di fronte alle crescenti perdite, l’esercito russo sta cercando di rafforzare le proprie forze con il personale congedato dal servizio militare dal 2012: lo riporta il ministero della Difesa britannico nel suo ultimo aggiornamento dell’intelligence. Inoltre, – si sottolinea –  Mosca cerca di reclutare uomini anche dalla Transnistria.

Civili in fuga con i corridoi umanitari

Sono 4.532 le persone evacuate attraverso i corridoi umanitari ieri in Ucraina, secondo le autorità di Kiev.  . Da Mariupol e Berdiansk 3.425 persone sono dirette nella regione di Zaporizhzhia. Sono stati inoltre evacuati gli autobus che fino a ieri erano bloccati a Melitopol con 589 residenti.

Un archivio per documentare le atrocità della guerra

Da quando la Russia ha iniziato a febbraio la sua invasione su larga scala dell’Ucraina, sono stati istruiti più di 4.200 procedimenti per violazioni russe di leggi e norme di guerra. Il dato è stato fornito dal ministro degli Interni ucraino, Denys Monastyrskyi, in una dichiarazioni a Ukraine Tv ripresa da Ukrinform. Le violazioni includono sia i bombardamenti che l’uccisione di civili, precisa, e tante foto sulle torture e le atrocità della guerra. Non solo dei morti, ma anche delle donne e dei bambini sopravvissuti ai bombardamenti. È quanto si sta accumulando nell’archivio online creato da Kiev per documentare i crimini  commessi in questi primi 45 giorni di conflitto. Sono frutto delle testimonianze dei sopravvissuti, delle ong presenti nel Paese e dei reportage dei media internazionali. “Le prove raccolte delle atrocità commesse dall’esercito russo in Ucraina garantirà che questi criminali di guerra non sfuggano alla giustizia», scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, nell’annunciare la creazione del sito. C’è una pagina che raccoglie i racconti di stupri. Poi ci sono i numeri che vengono aggiornati in continuazione: nella giornata di ieri si contavano 1.563 morti, tra cui 1677 bimbi, 4.820 crimini di guerra, 6.800 edifici distrutti, 439.420 civili deportati, di cui oltre 91.000 bambini. C’è anche una sezione dedicata alla distruzione di numerose proprietà culturali, con foto del prima e dopo i bombardamenti.

A Chernobyl la tragedia delle giovani reclute russe, vittime di logiche assurde

“Oltre qualsiasi comprensione”: con queste parole il fisico  e scrittore Nikolai Nikitin, che è nato in Ucraina e scrive in lingua russa, commenta l’esposizione alle radiazioni per i giovani soldati russi inviati nella zona di Chernobyl. Nikitin ha ideato un sistema di emergenza per sopprimere la contaminazione da polvere del sarcofago di Chernobyl e dunque conosce bene la situazione del territorio della cosiddetta “Foresta rossa” che circonda la centrale nucleare al centro del disastro del 1986 e che rappresenta il territorio più contaminato del pianeta. Oltre ogni immaginazione sono le azioni dei soldati russi durante l’occupazione, prima che il territorio tornasse sotto il controllo di Kiev. Sono state scavate trincee, scorie radioattive sono state maneggiate senza protezione, i soldati sono stati esposti in modo prolungato a polveri e sostanze tossiche. Azioni rischiose al punto che, secondo il ministro dell’Energia ucraino German Galushchenko, a quanti sono stati coinvolti non resterebbe più di un anno di vita. Le azioni sconsiderate delle truppe mandate avanti senza direttive di sicurezza sono cominciate appena giunte nell’area dalla Bielorussia. Nikitin chiarisce che “i rifiuti radioattivi sono immagazzinati sul territorio della centrale e un’enorme quantità di polvere radioattiva è rimasta all’interno del 4° blocco. Se queste costruzioni venissero distrutte, grandi aree sarebbero contaminate”.

Filmati dei droni dell’esercito ucraino mostrano che i soldati russi hanno scavato trincee e vi si sono persino accampati.  E dalla Bielorussia sono arrivate informazioni sul ricovero di soldati russi in ospedale con segni di malattia da radiazioni.  Inoltre, durante l’occupazione si sono verificati incendi nella zona di esclusione, “che porta sempre ad un aumento del livello di radiazioni” e i russi hanno guidato carri armati e blindati non solo su strade asfaltate, ma anche sterrate, sollevando polvere radioattiva. “A proposito – spiega Nikitin – questa attrezzatura non è stata pulita ed è diventata radioattiva in Bielorussia e poi in Russia”.
Il 24 febbraio circa 170 agenti della guardia nazionale ucraina sono stati  immobilizzati  e gli ingegneri ucraini sono stati sostituiti da squadre dell’agenzia russa per l’energia atomica Rosatom.  Il modo in cui la Russia ha “trattato” Chernobyl  – dice Nikitin – racconta di  un esercito con un livello di conoscenza e di consapevolezza  incredibilbente basso e allo sbando”.

Sul piano dell’economia

L’Ucraina ha sospeso le relazioni commerciali con la Russia. La cessazione delle relazioni commerciali costeràalla Russia circa 6 miliardi di dollari all’anno, ha affermato la prima vice ministra ucraina Yulia Svyridenko, citata dalla stampa ucraina. Ciò significa – ha spiegato – che Mosca non potrà utilizzare queste risorse per finanziare la guerra. L’obiettivo del governo ucraino è di stimolare la produzione nazionale e dare opportunità alle grandi imprese di lavorare: 156 aziende si sono già’ trasferite nell’ovest del Paese, e di queste 100 sono già operative. “E’ stato imposto un embargo commerciale contro la Federazione Russa. L’importazione di merci dalla Federazione Russa nel territorio doganale dell’Ucraina è vietata”, ha detto la rappresentante del Gabinetto dei ministri Taras Melnychuk.

Dagli Stati Uniti la denuncia di attacchi hacker

Lo Stato del New Jersey ha alzato l’allerta per il rischio di cyber attacchi da parte di hacker russi. L’allarme e’ stato lanciato dopo che nell’ultima settimana la rete del governatorato ha registrato dieci milioni di tentativi di attacco al giorno da parte dei pirati informatici. Lo ha rivelato il direttore del dipartimento di Cibyersecurity dello Stato del New Jersey, Michael Geraghty. “Abbiamo avuto – ha dichiarato nel corso di un’audizione al Senato statale – circa ottanta milioni di attacchi in una settimana, e dalla Russia. Ma li abbiamo scoperti e neutralizzati”. Nel mirino gli indirizzi email dei dipendenti governativi e le loro password. Dal 2020, ha spiegato Geraghty, sono state scoperte più di 23 mila email statali violate dagli hacker.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-04/ucraina-guerra-soldati-russi-giovani-a-chernobyl-radiazioni.html

Israele, preoccupa l’escalation di attacchi dopo l’attentato di Tel Aviv

Il governo israeliano parla di nuova ondata terroristica. Difficile capire la strategia che c’è dietro ai vari attacchi nelle ultime due settimane, ma, secondo l’esperto di relazioni internazionali Luciano Bozzo, sembra che si voglia approfittare della drammatica guerra in Ucraina, che tante risorse assorbe della comunità internazionale, per creare altra destabilizzazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Israele ha chiuso il valico di Gilboa con la Cisgiordania nei pressi di Jenin da dove è giunto il palestinese autore dell’attentato terroristico di ieri sera a Tel Aviv, che ha provocato due morti e 15 feriti di cui alcuni gravi. Le due vittime sono due amici di 27 anni originari di  Kfar Saba. L’autore dell’attentato è stato localizzato ed ucciso, come ha riferito la radio militare israeliana, secondo la quale l’uomo – un palestinese secondo l’emittente – si trovava nel centro di Jaffa, nelle vicinanze di una moschea.

La reazione di Israele

Il ministro della Difesa, Benny Gantz, ha detto che saranno “ampliate le operazioni contro l’ondata terroristica”: in due settimane si contano diversi assalti a israeliani a colpi di coltello con 13 vittime. Negli scontri scoppiati durante un’operazione di arresti condotta dall’esercito di Israele il 31 marzo, tre palestinesi del campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania, sono stati uccisi. Le forze di sicurezza israeliane “restano in massima allerta” a Tel Aviv e in tutto il Paese per “ogni altro episodio o attacchi imitativi”, ha affermato il premier israeliano, Naftali Bennett, sottolineando che “l’intero popolo d’Israele sente il dolore delle famiglie delle persone uccise e prega per la salute dei feriti”. La guerra al terrore omicida è lunga e difficile sarà vinta, ha aggiunto.

La condanna di Makhmoud Abbas

Da parte sua, il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese, Makhmoud Abbas (Abu Mazen), ha condannato “l’uccisione di due civili israeliani in una sparatoria nel centro di Tel Aviv”. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa dell’ANP Wafa, l’uccisione di palestinesi ed israeliani “conduce solo ad un deterioramento della situazione” in un periodo segnato dal Ramadan, dalla Pasqua ebraica e da quella cristiana. Senza dimenticare il “pericolo delle continue incursioni sulla Moschea Al Aqsa e le azioni provocatorie di gruppi di coloni estremisti”.

La voce dell’Ue

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, scrive in un tweet di essere “inorridito dall’ennesimo attacco terroristico contro il popolo israeliano, questa volta a Tel Aviv”. “Il nostro pensiero va alle famiglie delle vittime”, aggiunge, ribadendo che: “La lotta al terrorismo è uno sforzo comune in cui siamo uniti a Israele”. Della serietà della situazione Vatican News ne ha parlato con Luciano Bozzo, docente di relazioni internazionali all’Università di Firenze:

Il professor Bozzo sottolinea la preoccupazione che viene dal fatto che non si tratta più ormai solo di casi isolati ma di episodi che si susseguono da settimane. Si parla, dunque, di una regia strutturata. Secondo il docente, è molto difficile capire la reale strategia che sta dietro a questa ondata di attacchi ma sottolinea che ci sono forze come Hamas, cellule del  sedicente Stato islamico o gli Hezbollah libanesi che definiscono “martire” l’autore dell’attacco di stanotte e che dunque sottoscrivono o plaudono all’iniziativa. In ogni caso – mette in luce Luciano Bozzo – quello che accade ora va messo in relazione con la guerra in Ucraina giunta al 44esimo giorno. Non c’è da immaginare un legame diretto, per il professore, ma è fuor di dubbio che certi contesti, che vedono inevitabilmente la comunità internazionale coinvolta e concentrata su fatti così gravi, rappresentano per forze che alimentano il terrorismo il momento più opportuno per creare destabilizzazione. Si cerca di trarre vantaggio – spiega Bozzo – dalla “distrazione” di Stati Uniti e Unione europea nel senso che la condanna dei fatti di terrorismo è sempre la stessa, ma ci sono momenti in cui inevitabilmente la reazione è diversa per il diverso contesto.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-04/palestinesi-israeliani-terrorismo-guerra-vittime-attentati.html

a Fausta Speranza il Premio all’inclusione del Corecom 2022 sessione radio

7 Aprile 2022

nell’ambito del convegno

“La Comunicazione sociale ai tempi del Covid-19”

 

Fausta Speranza ha ricevuto  per la sessione Radio,

 il Premio all’inclusione Fratelli Tutti  2022

con il bravissimo Christian Giorgio, tra i relatori del convegno

IL CONSIGLIO REGIONALE CONSEGNA IL PREMIO “FRATELLI TUTTI” PER IL GIORNALISMO NEL SOCIALE

https://www.romasette.it/pandemia-e-crisi-limportanza-di-uninformazione-virtuosa/

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-04/papa-enciclica-covid-19-convegno-premio-giornalisti-diocesi-roma.html

https://online-news.it/premiati-i-vincitori-del-concorso-giornalistico-fratelli-tutti-2021/

Crisi ecologica e morale: c’è bisogno di “un’altra logica”

Teologia e azione: si muove in diversi ambiti la riflessione proposta dal convegno, organizzato dall’Istituto Universitario Salesiano di Venezia, intitolato “Un’altra logica: il mondo che vogliamo lasciare” con diretto riferimento alla Laudato si’ di Papa Francesco. Il direttore scientifico, Michele Marchetto: “I tragici fatti dell’Ucraina accentuano drammaticamente l’esigenza di una riflessione, seria e profonda sulle urgenze climatiche e sociali”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Un’altra logica: il mondo che vogliamo lasciare” è il titolo del convegno che si richiama alla Laudato si’ di Papa Francesco per proporre due giorni di dibattiti, il 7 e l’8 aprile, su tante delle questioni legate alla “casa comune”. È un’iniziativa dell’Istituto Universitario Salesiano di Venezia (Iusve), aggregato alla Facoltà di Scienze dell’Educazione della Università Pontificia Salesiana di Roma. Direttori scientifici del convegno sono Michele Marchetto e Lorenzo Biagi. Rientra nel progetto “Ecologia integrale e nuovi stili di vita”, che lo Iusve porta avanti da tempo, come spiega Michele Marchetto, docente dello Iusve:

Preciso il riferimento alla Laudato si’

Marchetto ricorda che nell’enciclica di Papa Francesco pubblicata nel 2015 si legge tra l’altro: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti”. In particolare, Marchetto cita il punto in cui Francesco dice: “Non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi” per poi spiegare che “chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra”.

Teologia e concretezza

“Si tratta di capire – chiarisce il professore – le sfide che convergono nella consapevolezza di una fragilità globale, indotta da modelli di sviluppo potenziati in senso tecnologico e finanziario, che – sottolinea – precedono, e per molti versi preparano, le tragedie della pandemia e delle guerre. Si tratta di comprendere che il tipo di sapere che accompagna il giudizio morale fino alle soglie dell’azione si muove tra l’ambito trascendentale e quello  storico, senza che si confondano”. Dunque, il professor Marchetto spiega che al convegno si parla di “vangelo della creazione, di ecologia integrale, ma anche di giustizia nelle differenze”, che significa “trattare della condizione femminile, delle nuove generazioni, di religioni”. Marchetto sottolinea come siano tanti i rappresentanti di settori disciplinari e mondi anche molto diversi, in una pluralità di contributi.

Metodologia vecchia e nuova

Il docente Iusve evidenzia alcune indicazioni precise che emergono dalla Laudato si’ parlando della metodologia di “vedere-giudicare-agire” della Dottrina Sociale della Chiesa. Innanzitutto, bisogna “vedere” la precaria situazione del pianeta, nostra casa comune, e ascoltare il “grido della terra e dei poveri”. La crisi ecologica non è solo un problema fisico – mette in luce Marchetto – ma è anche una crisi profondamente morale. Papa Francesco ci invita a riscoprire una visione teologia del mondo naturale che egli chiama proprio il “vangelo della creazione”. Dobbiamo ammettere – è l’invito del convegno – che l’abuso della creazione è peccato ecologico e riconoscere le più profonde radici umane della crisi ecologica. “Si tratta di sviluppare una ecologia integrale perché siamo tutti inter-relazionati e interdipendenti. Siamo invitati di abitare nella nostra casa comune e gestirla in modo più responsabile attraverso una nuova economia e una nuova cultura politica”.

Una nuova alleanza

Nell’enciclica, il Papa invoca inoltre un’educazione ecologica che sia in grado di stabilire una nuova alleanza tra l’umanità e il mondo naturale. Abbiamo bisogno anche di una vera spiritualità ecologica incarnata e sacramente che sboccia da una profonda “conversione ecologica” da parte dell’umanità. “E in tutto questo – sottolinea il professor Marchetto – tornano i ragionamenti intorno a giustizia e lavoro”.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-04/laudato-si-papa-francesco-universita-salesiani-convegno.html

Migranti, quattro morti al giorno da inizio anno nel Mediterraneo centrale

“Volti non numeri”: il Papa ricorda il dramma delle vittime dei viaggi dal Nord Africa verso l’Europa parlando di “naufragio di civiltà”. La guerra in Ucraina non ferma le partenze ma cambiano le rotte, spiega l’esperta di migrazioni Laura Terzera, docente alla Univesità Bicocca di Milano

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sabato scorso al largo della Libia si è consumato l’ennesimo naufragio: quattro sopravvissuti su 90 persone. Tre settimane fa, 44 persone sono morte al largo del Marocco. I bilanci fatti prima di queste due ultime tragedie contavano già 299 migranti morti o dispersi dall’inizio dell’anno nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale. Nel 2021 c’è stata evidenza di 1.553 vittime.

Un naufragio di civiltà

Papa Francesco nel suo viaggio a Malta è tornato a ricordare la tragedia di un Mediterraneo che si fa sepolcro per tanti migranti in fuga da guerre, povertà, siccità. Ha messo in guardia dal “naufragio della civiltà”.

Dall’inizio dell’anno si contano più di quattro morti al giorno sulla rotta del Mediterraneo centrale. L’attacco russo all’Ucraina, iniziato il 24 febbraio scorso, ha provocato continue fughe in massa di civili verso i Paesi vicini, in primis la Polonia. Delle ripercussioni possibili sulle rotte dei migranti che lasciano i Paesi del Sahel abbiamo parlato con Laura Terzera, docente di Migrazioni internazionali all’Università Bicocca di Milano:

Una politica “più alta”

“Certamente le partenze non diminuiscono”, assicura Terzera. “Ci sono delle condizioni nel Sud del mondo che perdurano, che già abbiamo visto perdurare per anni. Sono tantissime le situazioni drammatiche che scatenano fughe nei Paesi confinanti  lo abbiamo visto per il caso della Siria e lo vediamo nel caso dello Yemen che è una guerra che dura da anni e anni”.

“È il perdurare di certi flussi – spiega la docente – che crea situazioni indubbiamente difficili da gestire anche se, come dice Papa Francesco, non può esserci un ‘naufragio di civiltà’, non ci si può girare dall’altra parte”. Secondo la professoressa, il punto è capire che c’è bisogno di “una politica ‘più alta’,  più organizzata, più cooperativa che vada oltre le logiche pur doverose della gestione dell’emergenza. È proprio questo – afferma – che ancora ad oggi non se ne vede”.

Dinamiche sempre nuove per i traffici di esseri umani

Le organizzazioni criminali che gestiscono i traffici – conferma Terzera – dimostrano molta flessibilità: sono pronte a individuare rotte più convenienti o più facili, sono pronte a riposizionare le traiettorie. In questa fase, considerando la guerra, “si comincia a vedere che i trafficanti cercano di evitare per i migranti che partono dall’Africa la rotta balcanica perché c’è l’esodo dall’Ucraina che in qualche modo interessa quel fronte”. Assistiamo e, secondo terzera, assisteremo nei prossimi mesi a una concentrazione di questo tipo di migranti più ad Ovest: ecco, ad esempio, il caso del naufragio al largo del Marocco, su una traiettoria appunto “occidentale” dell’Oceano. “Saranno sempre più interessate quelle rotte per mare che erano state un po’ abbandonate, soprattutto quelle nella parte dell’Oceano verso la penisola iberica. Non erano molto battute ma potrebbero essere più intensificate”. Ovviamente, spiega la docente, questo non significa che la rotta che passa per la Grecia, la Turchia non continui o non continuerà ad essere alimentata In definitiva, la professoressa Terzera raccomanda quello che definisce uno “sguardo lungo e alto” da parte della politica, in grado di considerare le problematiche per quello che sono e non lasciandosi influenzare da tanti fattori e interessi che possono entrare in gioco e minare l’unità che serve a livello di Paesi europei.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-04/migranti-naufragio-mediterraneo-africa-europa-papa-civilta.html

Educare alla democrazia: atenei di tutto il mondo a confronto

Rappresentanti di 20 Paesi ed esperti di 14 Università: sono i numeri del convegno organizzato dalla Fondazione “Gravissimum Educationis” per riscoprire il valore della formazione alla democrazia sotto diversi profili, da quello economico a quello spirituale, come spiega monsignor Guy-Real Thivierge, segretario generale della stessa Fondazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

“Educare alla democrazia in un mondo frammentato”: è il titolo del convegno, che prende il via domani 17 marzo presso la Lumsa (Libera Università Maria Santissima Assunta) per concludersi sabato 19, organizzato dalla Fondazione “Gravissimum Educationis”, nata nel 2015 con l’obiettivo di mettere in atto quanto previsto dal documento del Concilio Vaticano II. Alla presentazione in Sala Stampa vaticana ha preso parte monsignor Guy-Real Thivierge, segretario generale della stessa Fondazione:

Monsignor Thivierge conferma che al convegno a Roma partecipano rappresentanti di oltre 20 Paesi: tra questi ci sono docenti di 14 università di 13 Paesi del mondo. L’obiettivo è quello di comprendere le problematiche locali sotto tutti i profili, da quello accademico intellettuale a quello economico o spirituale. E poi si vorrebbe arrivare  – precisa – a identificare dei modelli educativi da considerare. Ogni progetto parte dall’esperienza locale – sottolinea – e ha un campo preciso di analisi per poi aprirsi al confronto.

L’urgenza di ragionare di democrazia

“Le nostre democrazie sono in pericolo”, afferma monsignor Thivierge che, pur senza entrare nello specifico del contesto che si vive in Europa in questi giorni, ricorda che tutti avvertiamo la drammaticità del momento, i rischi cui stiamo andando incontro ma anche come vacillino alcuni punti fermi.  Ribadisce che l’educazione è un fattore di integrazione, di coesione sociale e di sviluppo. Mette in luce come questa serva per formare le persone, in particolare le giovani generazioni, alla democrazia e allo spirito della democrazia. Monsignor Thivierge sottolinea che è molto importante sviscerare e comprendere i vari livelli del dibattito da affrontare: da quello più teorico, intellettuale o spirituale, a quello concreto della realtà dei fatti e delle varie esperienze sotto diverse latitudini.  E dunque spiega che il convegno promosso dalla Fondazione “Gravissimum Educationis” è organizzato con una logica precisa: mettere insieme non solo teorici, filosofi, ma anche esponenti del mondo della politica. Partecipano infatti ex capi di governo o ministri per assicurare – dice – un vero dialogo  tra “teorici” e “pratici” .

Il “potere” dell’educazione

Alla presentazione è intervenuta la professoressa Annie Tohme Tabet dell’Université Saint-Joseph di Beyrut in Libano. Il suo intervento in lingua originale:

La professoressa Tabet fa riferimento alla difficile situazione in Libano, tra crisi economica e impasse politica, per sottolineare quanto possa essere decisivo il ruolo dell’educazione alla democrazia nel caso di una società, come quella libanese, che vive emergenze gravi ma cerca di difendere il suo modello di convivenza pacifica. I giovani – dice – purtroppo cercano in massa di lasciare il Paese mentre la società avrebbe bisogno proprio della sua generazione più promettente. Secondo Tabet, tutti i delicati aspetti del difficilissimo equilibrio politico che si vive attualmente in Libano richiedono proprio momenti di confronto. Serve – aggiunge – anche creatività per difendere la parte migliore del sistema libanese assicurando giuste riforme per combattere clientelismi e corruzione. E questa esperienza particolare può arricchirsi nel confronto con altre.

Ha spiegato in inglese il suo punto di vista anche il professor Allan De Guzman, della Pontifical University of Santo Tomas nelle Filippine. Il suo intervento in lingua originale:

Il professor Allan De Guzman mette in luce innanzitutto un aspetto tra tanti da considerare quando si parla del valore dell’educazione: quello del potere dell’educazione, del potenziale immenso in termini di promozione sociale. E lo fa invitando a orientare lo sguardo quando si tratta di guardare alle controversie, che scoppiano a livello più locale più regionale o più globale.  L’obiettivo dunque deve essere – sostiene – quello di stabilire punti fermi in tema di educazione in modo da difendere e sviluppare proprio questo potenziale di pace a fronte delle minacce e dei contesti di conflittualità.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-03/educazione-formazione-democrazia-universita-cattoliche.html

Emergenza fame in Siria a 11 anni dallo scoppio del conflitto

Il 15 marzo 2011 scoppiava la guerra in Siria: oggi si registra il livello più grave di insicurezza alimentare dell’ultimo decennio e già si avvertono conseguenze sui prezzi di beni di necessità a causa del conflitto in Ucraina. È urgente il ripristino delle infrastrutture e la garanzia dell’accesso ai servizi di base per aiutare oltre 12 milioni di persone a rischio, come spiega Orazio Ragusa di Azione contro la fame

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Almeno 12,4 milioni di persone rischiano la fame in Siria. È quanto denuncia “Azione contro la Fame”, organizzazione umanitaria internazionale specializzata nella lotta contro la fame e la malnutrizione infantile, in occasione dell’undicesimo anniversario dello scoppio della guerra in Siria, il 15 marzo del 2011. Il numero di siriani considerati a rischio insicurezza alimentare è al livello più alto dell’ultimo decennio. Il costo medio del cibo, all’interno del Paese, è stato negli ultimi mesi il più alto mai registrato, come racconta Orazio Ragusa portavoce di Azione contro la fame:

Ad oggi – riferisce Ragusa – i bisogni in Siria superano, di gran lunga, la capacità delle famiglie di far fronte all’alta inflazione e ad una economia sempre più in difficoltà. Il Paese – sottolinea – sta affrontando una crisi multipla e interconnessa. L’iperinflazione fa sì che, ogni giorno, i siriani possano permettersi meno del necessario per sopravvivere. Il loro potere d’acquisto si sta erodendo di giorno in giorno. I beni necessari – acqua, cibo, carburante ed elettricità – sono fuori dalla portata delle famiglie che spendono, in media, il 50 per cento in più del loro reddito. La popolazione non può più permettersi l’acquisto di carburante per far funzionare i generatori che alimentano case, trasporti o infrastrutture idriche. Molti siriani dispongono, oggi, di meno di 4 ore di elettricità pubblica al giorno. I contadini, inoltre, hanno minori risorse per pianificare le piantagioni nei loro campi e, allo stesso tempo, i costi di irrigazione delle loro colture e di trasporto al mercato sono più alti. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, il conflitto in Ucraina potrebbe portare ad una carenza di forniture di grano nella regione, con un impatto sui prezzi dei prodotti alimentari di base come il pane e la farina. Azione contro la Fame lavora in Siria dal 2008 con l’obiettivo di ridurre la fame e i rischi per la salute tra le comunità più vulnerabili, sia con interventi di emergenza che con un sostegno sostenibile, a lungo termine, per costruire la resilienza. L’anno scorso – riferisce Ragusa – l’organizzazione ha aiutato 1,3 milioni di persone sul versante dell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici, migliorando le strutture sanitarie e l’accesso al cibo. Quest’anno, in un momento in cui l’attenzione globale e i finanziamenti stanno diminuendo, 14,6 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria per soddisfare le loro esigenze di base.

Il peso dei cambiamenti climatici

Ragusa ricorda che anche gli shock ambientali, come le scarse precipitazioni, contribuiscono a generare insicurezza alimentare. Quest’anno la Siria ha affrontato la peggiore siccità degli ultimi 70 anni: un evento che, di fatto, ha paralizzato i raccolti previsti. Secondo quanto verifica sul campo l’associazione Azione contro la fame, la produzione di grano nel 2021 è stata di poco più di un milione di tonnellate, in calo rispetto ai 2,8 milioni di tonnellate del 2020, e corrispondente solo ad un quarto della media di prima della crisi, cioè di oltre 4 milioni di tonnellate all’anno nel periodo 2002-2011.

La necessità di interventi a lungo termine

Con l’aumento dei bisogni – chiarisce Ragusa – sono necessarie soluzioni a lungo termine per ridare speranza, dignità e autosufficienza alla popolazione. I finanziamenti a lungo termine, pluriennali e flessibili possono permettere agli attori umanitari di rispondere ai bisogni di emergenza e porre le basi per soluzioni sostenibili. È urgente includere il ripristino delle infrastrutture e la garanzia dell’accesso ai civili ai servizi di base come le reti idriche, le reti di irrigazione, l’istruzione e la sanità pubblica.

L’eco del conflitto in Ucraina

Ragusa ricorda che il conflitto in Ucraina provoca effetti su larga scala.  Influenza i prezzi delle commodity, cioè dei beni indifferenziati, le rotte migratorie e le relazioni di fiducia nei vari mercati. Danni disastrosi che oggi è impossibile quantificare – sottolinea Ragusa –  ma che avranno  effetti anche sul lungo periodo. Salgono i prezzi delle materie energetiche, ma anche del cibo, che riguardano sia quelli direttamente importati da Ucraina e Russia, sia quelli che arrivano da altri Paesi. Un tempo definiti granaio d’Europa – spiega Ragusa –  i due Stati non riforniscono più una grossa percentuale di grano al Continente europeo, ma forniscono diversi Paesi del Terzo Mondo. Con lo stop delle esportazioni, l’aumento della domanda sta già causando scarsità nelle forniture e facendo lievitare i prezzi.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-03/siria-fame-guerra-prezzi-conflitto-ucraina-grano-energia.html

Nuovi attori per la diplomazia, corridoi umanitari verso la Russia e la Bielorussia

Terzo round di negoziati tra ucraini e russi mentre entrano in scena come mediatori Israele e Turchia e si offre la Cina. Nell’Ue si discute di sanzioni già varate da applicare pienamente, di possibili nuove misure e soprattutto della questione dell’indipendenza energetica da Mosca

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Mentre si continua a combattere su vari fronti in Ucraina, oggi ucraini e russi tornano a sedersi al tavolo dei negoziati per il terzo round di colloqui.

Delusione per i corridoi umanitari

In queste ore c’è delusione sul fronte dei corridoi umanitari. Il ministero della Difesa russo aveva annunciato che l’esercito di Mosca avrebbe cessato il fuoco dalle 10:00 ora di Mosca (le 8:00 in Italia) da Kiev, Mariupol, Kharkiv e Sumy. Ma non aveva specificato quello che poi è stato verificato da fonti di stampa sul posto: i corridoi umanitari funzionano solo per chi volesse recarsi in Russia o in Bielorussia.

Diplomazia al lavoro

A chiedere la ripresa di corridoi umanitari era stato il capo di Stato francese Macron, presidente di turno dell’Ue, che ieri per un’ora è tornato a parlare con Putin. Stamani l’Eliseo ha chiarito che la richiesta non era verso la Russia. E due nuovi attori internazionali sono entrati nella partita diplomatica: Israele e Turchia. Ieri, neanche 24 ore dopo il lungo colloquio tra il premier israeliano Bennett e Putin a Mosca, i due si sono risentiti telefonicamente. Nel frattempo Bennett aveva parlato con Macron, con il cancelliere tedesco Scholz e con il presidente ucraino Zelensky, mentre il suo ministro degli Esteri, Lapid, volava a Riga per incontrare il segretario di Stato americano Anthony Blinken. Il segretario di Stato Usa ha fatto tappa in Moldavia e in Estonia e  ieri ha brevemente attraversato la frontiera ucraina dopo aver incontrato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. I due si erano incontrati alla frontiera con la Polonia per confrontarsi sugli sforzi occidentali a sostegno dell’Ucraina. Blinken ha confermato la notizia, anticipata da media statunitensi, di un piano per far arrivare all’Ucraina vecchi Mig-29 dalla Polonia, che riceverebbe nuovi caccia dagli Usa.

La voce di Pechino

Oggi è intervenuto il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha parlato di “amicizia duratura” con la Russia, un’amicizia che è “solida come una roccia”, affermando che i due Paesi contribuiscono a portare “pace e stabilità” nel mondo”. Parlando in una conferenza stampa a margine dei lavori annuali del Parlamento, Wang ha aggiunto che i due Paesi “manterranno il focus strategico e continueranno ad approfondire il partenariato strategico globale di coordinamento per una nuova era”. E poi ha detto che la Cina è disposta a “fare le necessarie mediazioni” e a partecipare alla “mediazione internazionale” sulla crisi in Ucraina. Ha aggiunto che Pechino è pronta a continuare a svolgere “un ruolo costruttivo per facilitare il dialogo e per la pace, lavorando a fianco della comunità internazionale per svolgere la necessaria mediazione”. La Cina “è disposta a continuare a svolgere un ruolo costruttivo nella promozione dei colloqui tra Russia e Ucraina”, ha assicurato Wang, secondo cui “bisogna prevenire una crisi umanitarie su larga scala”.

L’appello dell’Australia

Il primo ministro australiano Morrison aveva chiamato in causa ieri Pechino esortando la Cina a fare pressione sull’alleato russo e a dimostrare che è impegnata per la pace mondiale e il principio di sovranità e dichiarando che la Cina sta affrontando “l’ora delle scelte” di fronte all’invasione russa dell’Ucraina. “Nessun Paese avrebbe un impatto maggiore della Cina in questo momento sulla violenta aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina”, aveva detto Morrison al Lowy Institute, un think tank di politica estera con sede in Ucraina.  Morrison ha anche accusato Pechino di aver gettato una “ancora di salvezza economica” alla Russia allentando le restrizioni commerciali sulle importazioni di grano russo.  “L’attuale crisi in Europa” pone la Cina “nell’ora delle scelte”, ha aggiunto.

Il confronto nell’Ue

Sanzioni e provvedimenti per l’energia. Sono questi i temi in discussione in queste ore all’interno dell’Ue. Alle 11:00 l’incontro a Bruxelles del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che in queste ore ha riconosciuto, in un’intervista alla Cnn,  che il popolo ucraino “appartiene alla famiglia europea” ma ha aggiunto che il dibattito sull’ingresso nella Ue “richiederà tempo”. Lunedi’ scorso il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva firmato una richiesta simbolica di adesione all’Unione europea, chiedendo per il suo Paese un iter rapido. Anche Georgia e Moldavia hanno fatto analoga richiesta. Quanto all’eventuale bando dell’import di energia da Mosca, Von der Leyen si è limitata a dire che “dobbiamo disfarci della dipendenza dai combustibili fossili della Russia”. Si parla di nuove sanzioni ma, come ha sottolineato ieri il ministro degli Esteri italiano Di Maio, è importante anche l’applicazione di quelle già previste. Da parte sua, il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock e il suo collega alle Finanze, Christian Lindner, si sono detti contrari a un divieto delle importazioni di gas, petrolio e carbone dalla Russia nell’ambito di nuove sanzioni legate all’invasione dell’Ucraina.

La Danimarca interpella la popolazione

La Danimarca terrà un referendum il 1 giugno per unirsi alla cooperazione Ue in materia di difesa. Lo ha annunciato la premier danese Mette Frederiksen, aggiungendo di sostenere “fortemente” la revoca dell’opt-out, la clausola che vede la Danimarca astenersi dalla partecipazione alle operazioni militari e di difesa dell’Ue. Frederiksen ha anche indicato l’intenzione di aumentare il budget della difesa danese al 2% del Pil nei prossimi anni.

Il dibattito all’Interpol

Intanto diversi Paesi occidentali – Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda – hanno chiesto all’Interpol di sospendere la Russia dai ranghi dell’organizzazione internazionale per la cooperazione di polizia: lo ha affermato il ministro dell’Interno britannico Patel. “Le azioni della Russia rappresentano una minaccia diretta per la sicurezza delle persone e la cooperazione internazionale delle forze dell’ordine”, ha aggiunto. La mossa giunge mentre gli alleati occidentali cercano di isolare diplomaticamente ed economicamente Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina.

Tra le voci dei popoli

Oltre alle manifestazioni contro la guerra che si sono svolte nei giorni scorsi in diverse capitali dell’Ue, ieri sono scesi in piazza contro la guerra e in appoggio all’Ucraina  nel tardo pomeriggio anche molte persone nel centro di Belgrado. Dopo un raduno sulla Knez Mihajlova, l’arteria dello shopping della capitale serba, i dimostranti, alcuni dei quali con bandiere giallo-blu dell’Ucraina, si sono recati in corteo verso Piazza Slavija. “Stop alla guerra”, “Stop a Putin” le scritte sui loro cartelli. La protesta era stata annunciata sui social, con un appello a dimostrare  l’appoggio ai popoli ucraino, russo e bielorusso, nella lotta “contro la guerra, l’occupazione e la dittatura”.  Le autorità del Paese balcanico, principale alleato della Russia nella regione, hanno condannato la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, ma si rifiutano di aderire alle sanzioni occidentali contro Mosca invocando gli interessi nazionali della Serbia.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-03/ucraina-russia-pace-guerra-mediatori-negoziati-energia.html