Ancora naufragi nel Mare Nostrum di decine di migranti

Si ripete la tragedia nel Mar Mediterraneo: una imbarcazione salpata dalla Turchia si è inabissata nello stretto di Kafireas, poche ore dopo che le guardie costiere greche erano intervenute per cercare di salvare le persone su un’altra imbarcazione alla deriva. Si parla di decine e decine di migranti irregolari dispersi mentre altrettanti chiedono da giorni di poter salpare in porto sicuro dalle navi che li hanno soccorsi nella traversata

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Una barca a vela su cui stavano viaggiando circa 68 migranti, salpata dalla Turchia, è naufragata nelle prime ore di questa mattina nello stretto di Kafireas, tra le isole di Andros e Evia. Lo riferisce la Guardia costiera greca, impegnata nelle operazioni di ricerca e salvataggio dei migranti. Nove uomini, che si erano inizialmente messi in salvo su un isolotto, sono stati soccorsi dalle autorità greche, ma, in base ai racconti dei sopravvissuti, sull’imbarcazione avrebbero viaggiato almeno 68 persone. L’operazione di soccorso è iniziata dopo che i passeggeri del natante avevano lanciato una richiesta di soccorso alla linea di emergenza greca del 112, ostacolata, però, dalle condizioni meteorologiche avverse, in particolare da venti di oltre 30-40 nodi di velocità.

Nazionalità e lidi diversi per un solo dramma

Secondo quanto riferito dalla televisione greca Ert, l’imbarcazione sarebbe salpata dalla città costiera turca di Izmir e la maggior parte dei passeggeri sarebbe originaria dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Egitto. Intanto proseguono le ricerche di almeno otto persone dopo un altro naufragio avvenuto ieri pomeriggio, al largo dell’isola greca di Samos. Per ora la Guardia costiera ha soccorso quattro sopravvissuti che hanno raccontato di avere viaggiato in dodici sulla barca naufragata. Nei primi otto mesi dell’anno, la Guardia costiera greca ha dichiarato di avere soccorso circa 1.500 persone: un numero in evidente aumento rispetto a quello dell’anno scorso, quando meno di 600 persone sono state messe in salvo dalle autorità greche. Mentre a inizio mese due distinti naufragi a largo delle isole greche di Lesbo e di Citera hanno portato alla morte di almeno 27 persone.

Dalla Spagna giunge notizia del recupero dei corpi senza vita di due migranti la scorsa notte in acque di Almeria, città del sud: lo riportano l’agenzia di stampa Efe e il giornale locale Diario de Almeria. Secondo fonti di polizia, le due persone sarebbero annegate dopo aver viaggiato su un’imbarcazione di fortuna insieme con altri migranti. A detta di testimoni consultati dagli inquirenti, uno scafista li avrebbe costretti a sbarcare rapidamente, e in condizioni insicure, dopo essersi accorto che le forze dell’ordine lo stavano inseguendo.

Navi in attesa

Tre navi umanitarie sono da giorni in acque internazionali con 985 migranti soccorsi complessivamente, in attesa di un porto. La Humanity 1 (179 soccorsi), la Ocean Viking (234) e la Geo Barents (572). I portavoce di Medici senza frontiere, che gestisce la Geo Barents, spiegano che dalla nave sono state inviate quattro richieste per un ‘place of safety’ a Malta ed una all’Italia senza ottenere risposta.

A Lampedusa si rinnova l’emergenza

Sono 1.221 i migranti alloggiati all’hotspot di Lampedusa. Nonostante i quotidiani sforzi della Prefettura di Agrigento per trasferire gli ospiti della struttura di prima accoglienza a Porto Empedocle, i padiglioni di contrada Imbriacola – che possono ospitare 350 persone – restano nel caos. Si attende di trasferire, con il traghetto di linea, 110 migranti.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-11/migranti-navi-irregolari-grecia-naufragio.html

Lula da Silva torna alla presidenza del Brasile

Dopo il ballottaggio che gli riconosce la vittoria sul presidente uscente Bolsonaro, con un margine di 2 milioni di voti, Lula nel primo discorso ha dichiarato che la missione principale del suo mandato è combattere la fame in Brasile. Il professor Morlino, docente alla Luiss ed esperto di America Latina: “Nel Paese così profonde le diseguaglianze economiche, paragonabili al Sudafrica, che rendono comprensibile la polarizzazione palesatasi nel voto”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Dal ballottaggio presidenziale che si è svolto ieri, esce vincitore il leader della sinistra, Luiz Inacio Lula da Silva che diventerà, dal 1° gennaio 2023, capo dello Stato brasiliano per la terza volta. Lula ha battuto l’attuale presidente Jair Bolsonaro (Pl, destra).  Il Tribunale superiore elettorale ha ufficializzato la vittoria: col 98,86 per cento del totale delle sezioni scrutinate, Lula ha ottenuto il 50,83 per cento dei voti (59.596.247), contro il 49,17 per cento di Bolsonaro (57.675.427).

Il primo discorso programmatico di Lula

“Se siamo il terzo produttore di cibo al mondo e il primo di carne, abbiamo il dovere di garantire che ogni brasiliano possa fare tre pasti e non dormire per strada”. Così Lula, nel suo primo discorso dopo il voto, parla di ruota dell’economia che tornerà a girare, di “salario giusto” e di “democrazia reale, concreta, con crescita economica ripartita in tutta la popolazione perché – dice – così la democrazia deve funzionare, non per perpetuare le diseguaglianze”. Critica “razzismo e pregiudizio”, annuncia libertà per tutte le religioni e politiche per l’inclusione delle donne, promette di governare per 215 milioni di brasiliani, affermando che “non ci sono due Paesi ma una sola grande nazione”. Di fatto si è trattato dell’elezione, con il voto il 2 ottobre e il ballottaggio domenica 30 ottobre, più polarizzata nella storia del Brasile.

Un ministero per i popoli originari

E poi lancia un messaggio all’esterno: si impegna con la comunità internazionale a promuovere partenariati ma – sottolinea – per un commercio globale “più equo”. Critica “gli accordi commerciali che a suo dire condannano il Paese ad essere “un eterno esportatore di merci e materie prime”. C’è anche l’impegno per l’Amazzonia: “Monitoreremo e sorveglieremo l’Amazzonia, dove combatteremo ogni attività illegale. Allo stesso tempo promuoveremo lo sviluppo sostenibile delle comunità dell’Amazzonia”, dice il neo presidente nel suo discorso di accettazione, impegnandosi a istituire un ministero per i popoli originari del Brasile, che sarà gestito da un indigeno.

Per Lula è il terzo mandato, dopo i due tra il 2003 e il 2011

Per Luiz Inacio Lula da Silva è il terzo mandato dopo i primi due dal 2003 al 2011, anno in cui ha passato il testimone alla compagna dello stesso Partito dei lavoratori Dilma Rousseff. Entrambi sono stati poi travolti dall’inchiesta per corruzione costata a Lula 580 giorni di prigione, prima dell’annullamento di tutte le sentenze a suo carico.

Un Paese sempre più segnato da diseguaglianze

Intanto il Paese è cambiato, come spiega il professor Leonardo Morlino, docente di Scienza della Politica all’Università Luiss ed esperto di America Latina:

Il Brasile – spiega il professor Morlino – vive una situazione di così profonde diseguaglianze economiche, paragonabili al Sudafrica, che giustificano in qualche modo la polarizzazione che si è palesata nel voto presidenziale. L’immagine è di un Paese spaccato a metà. Morlino sottolinea che Lula è stato presidente dal 2002 al 2010 e che rispetto a quel periodo oggi il gigante sudamericano si trova in una condizione di maggiore debolezza internazionale. Il Brasile esporta prevalentemente materie prime alimentari o energetiche (soia, ferro, petrolio), i cui prezzi sono estremamente volatili. Il suo principale cliente è la Cina, destinataria di una quota di export brasiliani ben superiore a quella del secondo maggior cliente, che sono gli Stati Uniti. Proprio Pechino e Washington, dunque, sono i due punti di riferimento tra i quali oscillano le relazioni internazionali del Brasile da anni. La Russia è il primo esportatore di fertilizzanti al mondo e a inizio millennio il presidente Putin poteva rappresentare una sponda per il Brasile ma dopo l’invasione dell’Ucraina tutto è cambiato, afferma l’esperto.

Il sogno dell’integrazione dell’America Latina

Secondo il professor Morlino, il contesto internazionale non lascia intravedere sviluppi in tema di auspicata integrazione dell’America Latina. Nessun Paese latinoamericano ha le potenzialità o la stabilità per esercitare una leadership regionale, per non parlare delle conseguenze economiche del Covid-19, della guerra d’Ucraina e del rialzo dei tassi negli Stati Uniti, che sono tutti fattori negativi per tutti. Dagli elettorati, più del sostegno convinto alle proposte di alcuni partiti, sembra emergere l’insoddisfazione per i leader in carica.

L’estremizzazione lontana dalla cultura locale

Il professor Morlino mette in luce quanto l’evidente processo di continua polarizzazione del discorso politico in Brasile, legato alle profonde spaccature all’interno del Paese, segni un allontanamento dalla secolare e tradizionale cultura brasiliana riassunta anche dal termine jeitinho. Si tratta in realtà di un concetto complesso che può avere sfumature anche negative sotto l’aspetto dell’arte di arrangiarsi, ma che incarna senza dubbio l’idea di un carattere improntato alla morbidezza del linguaggio, al rifiuto dell’estremismo, all’attitudine all’accordo. Tutto questo – afferma Morlino – ha aiutato finora il livello di coesione raggiunto da decenni nel vasto Paese. E la perdita, a vantaggio dell’esasperazione generale della popolazione, potrebbe significare il rischio di un’escalation di tensioni.

Silenzio stampa di Bolsonaro

Sconfitto al ballottaggio, il presidente uscente del Brasile Jair Messias Bolsonaro sta finora mantenendo il silenzio senza pronunciarsi sul risultato delle elezioni. Il leader di destra “non risponde alle telefonate di nessun alleato politico”, hanno riferito ai media alcuni suoi collaboratori. Nessuna dichiarazione neanche da parte dei suoi figli, in particolare di Eduardo Bolsonaro, che cura la sua comunicazione sui social, sottolinea la stampa locale. Entrato in politica nel Partito Cristiano-Democratico di posizioni fortemente conservatici, poi approdato in diverse formazioni della destra brasiliana, Bolsonaro è stato eletto per la prima volta in Parlamento nel 1991 a Rio de Janeiro, occupando un seggio che da allora ha continuato a detenere.

Il primo capo di Stato della sesta Repubblica non rieletto

Nel corso della sua carriera parlamentare a Brasilia, Bolsonaro si è distinto per i suoi interventi in difesa del potere militare, per le proposte per la reintroduzione della pena di morte abolita nel 1988, per proposte choc come quella del 2008 per la risoluzione del problema della povertà attraverso la sterilizzazione degli indigenti. Bolsonaro ha visto trasformate in leggi dello Stato solo due delle 173 proposte presentate in Parlamento nei suoi 27 anni di attività parlamentare. Nel 2014 è stato rieletto come deputato più votato di Rio de Janeiro con 464 mila voti per poi diventare una figura centrale nella politica brasiliana fino alla presidenza del Paese dal 2018. è il primo presidente della recente fase storia del paese definita della sesta Repubblica, a presentarsi per un secondo mandato e a non essere rieletto.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/brasile-presidente-lula-bolsonaro-fame-materie-prime.html

 

Tante e vive le testimonianze del carisma scalabriniano

In vista della canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini il 9 ottobre a Piazza San Pietro, da tutto il mondo emergono storie di straordinario impegno nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti. I frutti dell’esempio del vescovo fondatore delle congregazioni di san Carlo Borromeo emerge nelle parole della Superiora, Suor Neusa de Fatima Mariano, e nei racconti di suor Lina Guzzo

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Attualità ed essenzialità del carisma delle Congregazioni dei Missionari di San Carlo Borromeo e delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane sono emerse questa mattina nella conferenza stampa tenutasi all’Istituto Maria Bambina di Roma. Tra i partecipanti, il postulatore padre Graziano Battistella ha chiarito che il miracolo riconosciuto a Scalabrini riguarda la guarigione di una suora che soffriva di cancro. Il Papa – ha ricordato – è stato d’accordo nel riconoscere la santità anche in presenza di un solo miracolo, indicando la via della dispensa per il secondo miracolo di solito previsto e consultando tutti i cardinali. Monsignor Benoni Ambarus, Segretario della Commissione Episcopale per le migrazioni della Cei, ha messo in luce tutto l’apprezzamento dei vescovi italiani per l’impegno missionario sulla scia del carisma scalibriniano e l’importanza della felice collaborazione in atto.  E’ poi intervenuto monsignor Pierpaolo Felicolo, Direttore generale della Fondazione Migrantes. Accanto a Padre Leonir Chiarello, Superiore Generale dei Missionari di San Carlo Borromeo Scalabriniani, ha spiegato come la presenza degli scalabriniani sia focalizzata in particolare sulla seconda fase di accoglienza: dopo l’emergenza dell’arrivo, è importante un impegno di più ampio respiro. La missionaria Giulia Civitelli ha ricordato l’esperienza dei missionari secolari.

Un carisma più attuale che mai

Giovanni Battista Scalabrini, vescovo fondatore delle congregazioni dei missionari e delle suore di san Carlo Borromeo, è stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 9 novembre 1997 e domenica 9 ottobre prossima sarà canonizzato con una cerimonia a San Pietro. Profondamente colpito dal dramma di tanti italiani costretti ad emigrare negli Stati Uniti e nell’America del Sud alla fine dell’‘800, non resta indifferente: sensibilizza la società e manda i suoi missionari e le sue missionarie per aiutare e sostenere gli emigranti nei porti, sulle navi e all’arrivo nei nuovi Paesi. La sua canonizzazione  aiuta a comprendere come la comunità cristiana debba ancora oggi essere impegnata nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti in vista di una società più fraterna.

Un faro per chi guarda all’umanità sofferente

È considerato dunque un padre per tutti i migranti e i rifugiati. Così lo ricorda suor Neusa de Fatima Mariano, Superiora della Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo Scalabriniane: “ad oltre un secolo dalla morte di Giovanni Battista Scalabrini – sottolinea  suor Neusa – la sua vita è ancora un faro per chi nel mondo è al servizio dell’umanità più sofferente: quella migrante. Dopo aver fondato nel 1887 i Missionari di San Carlo Borromeo – spiega –  il Vescovo di Piacenza sapeva che la loro opera era incompleta, specialmente nel Sud America, senza l’aiuto delle Suore”. Sostenuto dalla Beata Assunta Marchetti e dal Servo di Dio padre Giuseppe Marchetti, nel 1895 dà vita alla Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo, riconoscendo il grande valore che le donne consacrate potevano portare al suo progetto missionario nel mondo.

Il volto femminile della missione

Siamo l’espressione del volto femminile del carisma scalabriniano rivolto ai migranti, afferma suor Neusa. “Abbiamo una sensibilità particolare, sentiamo e capiamo tutti i disagi che una donna può vivere nel viaggio migratorio, viaggio che rende le donne e i bambini più fragili e vulnerabili”. “Sono nata in Brasile – racconta – e ho lavorato per molti anni con i bambini e i ragazzi, nella formazione cristiana; ero catechista nella mia parrocchia e appartenevo ai gruppi giovanili, ma c’era nel mio cuore il desiderio di fare qualcosa di più grande e di consegnare tutta la mia vita al servizio di Dio. Ho fatto delle ricerche sulle congregazioni presenti nella zona di San Paolo e mi hanno colpito molto le suore scalabriniane. Le ho incontrate ed erano veramente felici e accoglienti. Ho sentito che quello era il luogo dove il Signore mi chiamava. In seguito, ho conosciuto la spiritualità di Scalabrini, la sua capacità di vedere nei migranti il Signore e di lavorare per il loro bene. Sono diventata così una suora scalabriniana a 21 anni. Una delle mie prime missioni è stata nelle periferie di San Paolo, nelle favelas. Incontravamo i migranti e mi sorprendeva la loro speranza, il loro coraggio e la fiducia che avevano nel Signore, in vista di una vita migliore. Aprivano le loro case e nella semplicità offrivano quello che avevano, nonostante la loro situazione di povertà. Ci raccontavano – prosegue suor Neusa – la loro storia, le sofferenze vissute nel percorso della migrazione. Nel mio essere suora scalabriniana è sempre stato importante fare il primo passo verso l’altro, ascoltarlo, entrare in comunione profonda con la loro realtà; gioivo quando vedevo che le persone uscivano dal loro isolamento, dalla loro tristezza”.

Un impegno mondiale

“Siamo presenti in 27 Paesi con oltre 100 missioni animate dalla spiritualità di Scalabrini”,  ricorda la Superiora sottolineando: “In ogni persona vediamo un figlio di Dio e cerchiamo di vivere il mistero dell’Incarnazione nelle varie realtà della migrazione. La nostra scelta è quella di rivolgerci in modo particolare alle donne e ai bambini rifugiati, essere migranti con i migranti, compagne nel loro cammino”.

Una casa di accoglienza a Roma

Si chiama Chaire Gynai, che in greco significa ‘Benvenuta, donna’, la casa aperta a Roma. La Superiora suor Neusa racconta che nell’abbraccio di una mamma che la ringraziava ha sentito lo scopo della missione: “offriamo loro la possibilità di una vita che riconosca la loro dignità e apra strade verso nuove opportunità”. Il carisma scalabriniano nel mondo è testimoniato attraverso le azioni socio- pastorali, si manifesta nella solidarietà con chi vive il dramma della migrazione, tutto mira a creare comunione, essere sorelle con, per e tra i migranti e i rifugiati. In questi ultimi anni è nato il progetto specifico del ‘Servizio Itinerante’, presente nei luoghi di frontiera, dove c’è più sofferenza: a Roraima in Brasile, nel confine settentrionale e meridionale del Messico, a Ventimiglia in Italia e a Pemba in Mozambico”.

Saper ascoltare e cambiare

“La migrazione arriva – mette in luce suor Neusa – e porta con sé dei cambiamenti strutturali: accogliere i migranti è avere questa capacità di ascolto. Aprirsi all’altro implica di condividere il nostro spazio, le nostre città, ma anche saper valorizzare la bellezza che ognuno porta in sé. Entrare in relazione con i migranti significa anche sapersi commuovere davanti al dolore, così come ha fatto Scalabrini vedendo gli emigranti italiani partire verso l’America. Noi donne – aggiunge – siamo molto più sensibili alla sofferenza degli altri. A partire dal nostro modo di essere donna, cerchiamo di far rifiorire la creatività scalabriniana con i migranti e i rifugiati che non trovano risposte alle loro problematiche, alle loro ferite e cerchiamo di accompagnarli nel loro cammino come fa Gesù, il buon samaritano. Il dolore dei migranti diventa anche il nostro dolore, così pure anche la loro speranza è la nostra speranza. Questo ci ha insegnato Scalabrini”.

Il valore della canonizzazione

“Scalabrini era innamorato del mistero dell’Incarnazione di Dio – chiarisce suor Neusa – e contemplava continuamente il Figlio di Dio che si fa uomo per rivelare l’amore del Padre e per riconsegnare a Lui l’umanità rinnovata. Era un uomo tutto di Dio e per Dio. Ha fatto tesoro della cultura dei migranti, della ricchezza che portavano con sé, al punto di dire: ‘Nel migrante io vedo il Signore’. Abbiamo ricevuto questa eredità, un carisma per il tempo di oggi. Quando leggiamo i suoi scritti, ci accorgiamo che sono ancora attuali. Era anche un uomo d’azione: ha saputo coinvolgere la Chiesa, lo Stato, i laici, i missionari, noi suore scalabriniane affinché tutti potessero fare la loro parte. È bello che la sua canonizzazione arrivi in questo tempo forte di migrazioni. È un segno importante che il Papa vuole dare a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità, una chiesa che accoglie e cammina con i migranti e i rifugiati”.

Suor Lina Guzzo,  missionaria scalabriniana di 57 anni, oggi vive a Messina aiutando la comunità dello Sri Lanka e delle Filippine ad integrarsi, Il suo racconto comincia ribadendo che “ogni migrante è figlio di Dio”: “È il 2016 – riferisce suor Lina – quando due fratelli, Ahmed e Fadil (nomi di fantasia), arrivano al porto di Reggio Calabria, dopo essere stati soccorsi in mare dalla Guardia Costiera. Fadil ha solo 15 anni, è stato picchiato, ha ferite e lividi in tutto il corpo e deve essere portato in ospedale, ma lui non vuole. Sa che se lascia ora suo fratello maggiore, verrà trasferito chissà dove e non lo rivedrà più. È in questo momento di disperazione che Fadil incontra suor Lina Guzzo, missionaria scalabriniana. “Non ti preoccupare, vengo in ospedale con te”, dice suor Lina. Per tutta la notte, Fadil piange disperato, mentre suor Lina chiama ripetutamente la Guardia Costiera per essere sicura che Ahmed non venga trasferito in qualche struttura. “Le mie braccia erano segnate dalle sue unghie, mi stringeva e mi ripeteva di non allontanarmi”, ricorda suor Lina.   Al mattino Fadil viene dimesso e suor Lina lo accompagna al porto. Ahmed non si è mosso da lì per tutta la notte. I due fratelli si abbracciano, si baciano, piangono di gioia. “Tutti avrebbero dovuto essere testimoni di quel momento, anche qualche politico. Questi ragazzi avevano affrontato l’abbandono della loro famiglia, il viaggio lungo il deserto, il carcere in Libia, la violenza, la morte in mare dei loro compagni e poi, una volta che sembrava che ce l’avessero fatta, la paura di non rivedersi più. In quell’abbraccio c’era tutta l’umanità, c’era tutta la speranza di una nuova vita. A volte basterebbe avere il rispetto del dolore altrui. Sotto quella pelle di altro colore, c’è il grande dono di una vita ricevuta, ci sono dei figli di Dio”, racconta suor Lina, che da missionaria ha trascorso 57 anni a fianco di chi emigra: dagli italiani in Svizzera, ai profughi del Kosovo in Albania e ai migranti africani in Portogallo e in Italia”.

Senza nessuna barriera

“Non importa se sono cattolici o musulmani o indù – ribadisce suor Lina – hanno una fede, credono in qualcuno al di sopra di loro che è presente nella loro vita. Noi abbiamo ricevuto dal vescovo e santo Giovanni Battista Scalabrini il carisma di servire i migranti, dobbiamo conoscere l’umanità per poterla accompagnare e conoscere noi stesse per essere davvero missionarie con queste persone”.

L’esperienza in Calabria

Per anni suor Lina è stata “l’animatrice del porto di Reggio Calabria”. Così la chiamavano i volontari che insieme a lei e alle altre sorelle accoglievano i migranti. Di questa esperienza racconta: “Sbarcavano anche 900 persone in un giorno, molti erano minori non accompagnati. La sera prima ci avvisavano del loro arrivo e noi ci facevamo trovare all’alba cariche di ciabatte, vestiti, brioches, succhi di frutta. Davamo loro la mano e chiedevamo della loro famiglia. Con i gesti ci si capiva e provavamo a togliere loro di dosso la paura. Spesso non sapevano neanche dove si trovavano. Trascorrevo il giorno e la notte con loro nelle tende o in ospedale”. Suor Lina ricorda un giorno in cui passava tra i ragazzi appena sbarcati distribuendo dei viveri. “Uno di loro mi guardava con gli occhi sbarrati e ripeteva: “Ho fame”. Erano assetati e affamati, ma io avevo appena terminato le brioches. Ero molto dispiaciuta e un suo compagno di viaggio allora mi disse in portoghese: “Mamma, non ti preoccupare perché da oggi noi mangiamo la libertà”. Questa frase è rimasta come pietra scolpita nel mio cuore e mi ha fatto capire quanto è importante per loro arrivare qui, in Paesi democratici, e costruire una vita dignitosa”.

La guerra in Kosovo

Gli anni più difficili sono stati quelli della guerra in Kosovo. Le suore missionarie scalabriniane hanno accolto i profughi nella loro casa in Albania, a Scutari: “Ospitavamo 50 persone, 36 erano minori. Ho dovuto riconoscere persone uccise con la testa piena di pallottole. Ho assistito alla morte di donna, madre di un bambino piccolo, a cui hanno sparato alla schiena. Quando è arrivato il marito, ho pensato: “Adesso cosa faccio, mio Dio?”. Ma dopo lo sconforto  e anche la paura – assicura suor Lina – arriva la fede, la consapevolezza che non finisce tutto così: “C’è un Dio che ti dà la forza di andare avanti nella tua vocazione”.

Un pensiero personale: “Sono vicepostulatrice della canonizzazione e sono riconoscente a Papa Francesco che ha scelto di dare alla Chiesa un modello come Scalabrini. È un regalo grande che Dio fa ai migranti, agli scartati, ai rifiutati dal mondo che hanno bisogno di essere accolti e di ricevere il confronto della fede”.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-10/canonizzazione-scalabrini-carisma-missione-migranti-rifugiati.html

Il dramma delle morti silenziose nel Mediterraneo nel report delle Nazioni Unite

Nel nono anniversario del naufragio di Lampedusa, rimasto simbolo delle disperate traversate per mare di migranti e rifugiati, il bilancio di quanti hanno perso la vita sulla rotta del Mediterraneo somiglia a un bollettino di guerra. Si parla di 25 mila vittime dopo i fatti del 3 ottobre 2013 che, con 368 morti accertati, sembravano aver scosso le coscienze. Tante le iniziative degli organismi Onu

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Quasi 25 mila migranti e rifugiati hanno perso la vita in soli nove anni nel Mediterraneo. L’84 % delle vittime si registrano precisamente sulla rotta del Mediterraneo centrale, che si conferma come una delle più attive e pericolose a livello globale. Nel 2022 si contano già 1.400 persone morte o disperse. I bilanci emergono in un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato alla vigilia del 3 ottobre, Giornata Nazionale della Memoria e dell’Accoglienza, anniversario del naufragio del 2013 al largo di Lampedusa costato la vita di 368 persone, tra cui 83 donne e nove bambini.

Da Lampedusa il grido delle Nazioni Unite

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), l’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR), e il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) sono presenti oggi a Lampedusa con il Comitato 3 Ottobre, le organizzazioni della società civile, i rappresentanti delle istituzioni governative locali, nazionali ed europee per ricordare tutti coloro che hanno perso la vita nel tentativo disperato di trovare sicurezza e protezione in Europa. Le organizzazioni hanno inoltre aderito alle attività organizzate dal Comitato 3 Ottobre nell’ambito del progetto Welcome Europe.

L’appello ai governi

“È inaccettabile che bambini, donne e uomini, persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, continuino a perdere la vita nel Mediterraneo”, denuncia Chiara Cardoletti, rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. “L’Europa deve dotarsi di un meccanismo più prevedibile e efficiente guidato dagli Stati per la ricerca e il salvataggio in mare e fare in modo che chi arriva in cerca di protezione possa trovarla e ricostruire la propria vita in dignità”.

In attesa che un tale meccanismo sia creato e implementato, OIM, UNHCR e UNICEF ribadiscono come sia prezioso il lavoro di soccorso in mare effettuato dalla Guardia Costiera Italiana, dalle Ong e dai comandanti delle navi commerciali. Le Organizzazioni delle Nazioni Unite tornano a sottolineare l’importanza di ampliare i canali sicuri e regolari di asilo e migrazione per garantire alternative sicure all’attraversamento in mare.

“Alla luce del continuo numero di tragedie alle quali ancora assistiamo,  in questa giornata è importante ribadire come la salvaguardia della vita umana sia prioritaria rispetto a tutte le altre considerazioni afferenti la gestione del fenomeno migratorio e che il soccorso di persone in difficoltà è un principio fondamentale di umanità e solidarietà, e che deve essere supportato e promosso a tal fine sia il lavoro degli Stati sia il prezioso contributo delle Ong presenti nel Mediterraneo”, afferma Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di Coordinamento OIM per il Mediterraneo.

L’emergenza nell’emergenza dei minori

Secondo Sarah Martelli, coordinatrice Unicef per la risposta in Italia ad interim, “resta inoltre necessario continuare ad assicurare un sistema in grado di identificare tempestivamente le categorie più vulnerabili che arrivano in Italia, tra cui minori stranieri non accompagnati, sopravvissute/i alla violenza di genere e vittime di tratta, e garantire che chi ha subito maltrattamenti e abusi venga indirizzato verso un’assistenza specializzata”. “Ancora oggi – aggiunge Martelli – tra rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo Centrale contiamo molti minorenni, tra cui tante ragazze, spesso tra i soggetti più esposti al rischio di sfruttamento e violenza. Un’accoglienza adeguata, la presa in carico dei casi più vulnerabili, il reinserimento scolastico e l’inclusione sociale, compreso il contrasto alla discriminazione, restano la chiave per consentire loro un nuovo percorso nella società d’accoglienza”.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/migranti-rifugiati-onu-lampedusa-naufragio-morti-mediterraneo.html

Indonesia, tragedia ad una partita di calcio

I tifosi provocano una rissa al termine di una competizione calcistica a Malang, nella provincia di Giava orientale: nella calca perdono la vita quasi 200 persone. Il presidente parla di misure di sicurezza da rivalutare in modo approfondito

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sono almeno 182 i morti nello stadio di Malang, nella provincia di giava orientale, in Indonesia. Secondo quanto riportano i media locali, i tifosi dell’Arema FC hanno preso d’assalto il campo dopo che la loro squadra aveva perso 3-2 contro il Persebaya Surabaya. Gli agenti della polizia hanno cercato di convincere i tifosi a tornare sugli spalti sparando gas lacrimogeni. Si è scatenata una fuga generale e una calca impressionante.

L’intervento del presidente

Il capo dello Stato indonesiano, Joko Widodo, ha ordinato una revisione del piano di sicurezza per le partite di calcio. Il ministro dello Sport e della Gioventù, il capo della polizia nazionale e il capo dell’associazione calcistica indonesiana hanno ricevuto l’ordine di “condurre una valutazione approfondita”, ha assicurato Widodo in una dichiarazione televisiva.

Precedenti drammatici

Sono tanti gli episodi in divrsi stadi nel mondo finiti in tragedia. Alcuni si distinguono per l’alto numero di vittime. Tra questi: in Perù, 24 maggio 1964, 320 persone sono rimaste uccise e più di mille ferite nella calca durante le qualificazioni olimpiche di Perù-Argentina allo Stadio Nazionale di Lima. I tifosi che non sono riusciti a sfuggire sono stati calpestati o asfissiati.

In Scozia, il 2 gennaio 1971, 66 persone sono morte travolte nella calca all’Ibrox Stadium durante un derby tra Rangers e Celtic. È stato  il secondo disastro dello stadio, dopo il crollo di una tribuna nel 1902, che aveva causato 26 vittime. In Egitto la prima tragedia il 17 febbraio 1974: 48 persone sono morte e 47 sono rimaste ferite quando 80.000 persone si sono stipate in uno stadio con una capacità di 40 mila.

In Russia, il 20 ottobre 1982, al termine di una partita di Coppa Uefa, tra lo Spartak Mosca e gli olandesi dell’Haarlem, allo Stadio Luzniki, a causa di una calca nella tromba delle scale. ufficialmente sono rimaste uccise 66 persone, di cui 45 adolescenti. Secondo il quotidiano Sovietski Sport, il numero di vittime è stato di 340 morti. In Inghilterra, l’11 maggio 1985, 56 persone sono rimaste uccise a causa di un incendio divampato sugli spalti in legno durante una partita tra Bradford e Lincoln City.

In Belgio, il 29 maggio 1985, 39 morti allo stadio Heysel di Bruxelles quando i tifosi della Juventus hanno tentato di fuggire dai tifosi del Liverpool. Ancora in Inghilterra, il 15 aprile 1989, una calca sugli spalti dell’Hillsborough Stadium di Sheffield Wednesday ha provocato la morte di 97 tifosi durante la semifinale di FA Cup tra la squadra del Liverpool e il Nottingham Forest.  In Guatemala, il 16 ottobre 1996, circa 80 spettatori hanno perso la vita dopo essere stati schiacciati dai tifosi che si erano ammassati in una tribuna dello Stadio Nazionale Mateo Flores per la qualificazione alla Coppa del Mondo che si sarebbe disputata nel 1998 tra Guatemala e Costa Rica.

In Sudafrica Il 13 gennaio 1991, 40 morti in una mischia durante la partita Orlando Pirates-Kaizer Chiefs. In Francia, il 5 maggio 1992: 18 morti e oltre 2.300 feriti per il crollo di una terrazza dello stadio Furiani in Corsica. Ancora il Sud Africa vive un secondo dramma l’11 aprile 2001: 43 persone hanno perso la vita nella calca allo stadio Ellis Park di Johannesburg durante una partita tra gli Orlando Pirates e i Kaizer Chiefs. In Ghana, il 9 maggio 2001, 126 persone sono morte ad Accra al termine di una partita tra Hearts of Oaks e Kumasi, quando i tifosi del Kumasi, infuriati per la sconfitta della loro squadra, hanno lanciato proiettili e rotto sedie. La polizia ha lanciato granate lacrimogene. Si è scatenato un fuggi fuggi letale.

Seconda tragedia in Egitto il 1° febbraio 2012, questa volta nello stadio di Port Said: 74 morti dopo gli scontri tra le tifoserie rivali del club locale Al-Masry e dell’Al-Ahly del Cairo. In Camerun, il 24 gennaio 2022: otto persone sono state uccise e decine di altre ferite in una calca prima della partita di Coppa d’Africa tra i padroni di casa del Camerun e le Comore, a Yaoundé.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-10/giava-orientale-stadio-morti-calca-calcio-tifosi.html

Nuovo slancio al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale

Il cardinale prefetto Michael Czerny e il segretario suor Alessandra Smerilli hanno incontrato i giornalisti per illustrare i nuovi assetti della struttura alla luce della “Praedicate evangelium”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Servire lo sviluppo umano significa anche lavorare raggiungendo tutti. Così il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha sottolineato questa mattina in sala Stampa vaticana come sia stato importante riorganizzare il Dicastero, nato nel 2017, alla luce della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, promulgata il 19 marzo scorso da Papa Francesco. Si tratta di riflettere il “volto” di una Curia romana sempre più missionaria, a servizio delle Chiese particolari in un’ottica di rafforzata collegialità e nello spirito della sinodalità ecclesiale. E, ha spiegato il cardinale Czerny, l’obiettivo è che chiunque e ovunque possa sentire che “la Chiesa cammina con chi è in difficoltà”. Una riorganizzazione di cui suor Alessandra Smerilli, segretario del Dicastero stesso, sottolinea innanzitutto la fase iniziale di riflessione. “Ore e ore – dice – a pensare in che modo rispondere alle sfide”.

“Il punto di partenza è l’ascolto, per comprendere le sfide e i bisogni dell’ampio spettro che la nuova Costituzione voluta da Papa Francesco ci assegna: tutte le questioni sociali, compresa la questione della nostra casa comune”. Per questo, spiega, è stato dedicato tanto tempo alla riflessione. C’è stato anche bisogno di consulenze esterne – afferma la religiosa – per una buona valutazione degli strumenti e delle competenze necessari.

Il sussidio di tre sezioni

Dopo le indicazioni della Praedicate evangelium, sottolinea suor Smerilli, il Dicastero è ora organizzato in tre sezioni principali: ascolto e dialogo, ricerca e riflessione,  comunicazione e restituzione. La prima sezione, ascolto e dialogo, “è un ponte con le Chiese locali e con i vari ministri che all’interno di essere promuovono lo sviluppo”. Tutto ciò che passa in questa sezione,  spiega la religiosa, confluisce nella seconda sezione, ricerca e riflessione, “che cerca risposte alle sfide facendo ricorso alle discipline scientifiche correlate ad esse e alla dottrina sociale della Chiesa”.

Infine, c’è la terza sezione, denominata comunicazione e restituzione, che si propone come obiettivo quello di “far diventare la ricerca e la riflessione proposte concrete, documenti da restituire alle comunità e da condividere attraverso una comunicazione fatta di ascolto”. A supporto delle tre sezioni, c’è un’area amministrativa e una segreteria, cui si affianca un gruppo di valutazione e di progettazione, “per dare dinamicità al flusso continuo che emerge dal lavoro delle tre sezioni, affinché non rimangano solo parole”. Ci sono,  inoltre,  questioni specifiche  o urgenze come è accaduto  – ricorda –  per la Commissione Covid-19. Questioni che richiedono una risposta pronta anche se “non rientrano in caselline precise”.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-09/dicastero-sviluppo-umano-servizio-czerny-suor-smerilli.html

Istruzione e conoscenza in tema di migranti

Scambi di esperienze concrete, dall’Ucraina all’Iraq degli yazidi, hanno caratterizzato i workshop dell’incontro “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Gregoriana. E’ fondamentale ricordare di far parte di un’unica famiglia umana, raccomanda padre Thomas Smolich, direttore del Refugee Jesuit Service. Il 29 settembre l’udienza dei partecipanti con il Papa

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Con l’intervento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, si concludono oggi i tre giorni di lavori dell’incontro internazionale intitolato “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Pontificia Università Gregoriana. Il 29 settembre, a conclusione, l’udienza dei partecipanti dal Papa.

Dei significati del termine istruzione abbiamo parlato con il Direttore Internazionale del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati, padre Thomas Smolich:

L’istruzione è fondamentale per costruire il proprio futuro di autonomia, ma anche per imparare a riconoscersi parte di un’unica famiglia umana. Così il direttore del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (Refugee Jesuit Service), padre Smolich, chiarisce l’importanza di non lasciare che migranti e rifugiati rimangano fuori da percorsi formativi, ma sottolinea anche come tutti abbiamo da imparare dalle situazioni di coloro che devono abbandonare le proprie case.

Il caso ucraino

Padre Thomas mette in luce come in Europa ci sia stata grande disponibilità da parte di tutti nei confronti dei profughi ucraini, sottolineando che la vicinanza e il relativo coinvolgimento hanno favorito la comprensione. “Conoscere le situazioni e incontrare le persone – spiega – spinge a porgere la mano”. Dunque, padre Thomas auspica che questa drammatica situazione della guerra in Ucraina possa aiutare tutti a ricordare che altre guerre e conflitti lacerano il vissuto di altre persone, costrette alla fuga. In definitiva, aggiunge, si tratta di comprendere che tutti facciamo parte della stessa famiglia umana.

Gli yazidi da non dimenticare

Padre Thomas ricorda come il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati sia presente in diverse zone del mondo, tra cui Ucraina, Iraq e Afghanistan. Guardando oltre la drammatica emergenza nell’Europa dell’est, padre Thomas ricorda la situazione della minoranza yazida, vittima di atroci persecuzioni da parte del sedicente Stato islamico. Testimonia di come ci sia ancora molto bisogno di assistenza per tante persone dopo eccidi e violenze, ribadendo ancora una volta l’importanza di assicurare l’integrazione a scuola o comunque l’insegnamento.

Tra Repubblica Democratica del Congo e Zambia

L’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) ha reso noto che a partire dal dicembre 2021, con la collaborazione dei governi dello Zambia e della Repubblica Democratica del Congo, circa 6.000 rifugiati congolesi sono stati aiutati  a ritornare a casa. I rifugiati erano fuggiti dagli scontri politici e interetnici nella regione sudorientale della RDC nel 2017 e avevano trovato accoglienza nello Zambia. E per i bambini nati nello Zambia, che rappresentano circa il 60 per cento dei rifugiati, è stato spiegato, il ministero dell’Istruzione ha emesso il nullaosta al trasferimento degli scolari,  permettendo loro di proseguire i loro studi nel Congo.

La riconferma di Grandi all’UNHCR

L’Assemblea Generale dell’Onu, su raccomandazione del Segretario generale Antònio Guterres, ha confermato Filippo Grandi per un secondo mandato come Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Grandi rimarrà alla guida dell’Unhcr per altri due anni e mezzo, dal 1 luglio 2023 sino al 31 dicembre 2025. Guterres voleva chiedere all’Assemblea Generale di eleggere Grandi per un secondo mandato di cinque anni, ma l’Alto Commissario ha preferito dare il suo consenso, per motivi personali, al termine più breve.  Prima di essere a capo dell’Unhcr, Grandi è stato impegnato nella cooperazione internazionale per oltre 30 anni, concentrandosi sui rifugiati e sul lavoro umanitario. Ha servito come Commissario generale dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, Unrwa, dal 2010 al 2014, e prima è stato vice commissario generale dell’organizzazione dal 2005. Prima ancora, ha servito come vice rappresentante speciale del Segretario generale in Afghanistan.

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-09/rifugiati-migranti-unhcr-gesuiti-famiglia-umana.html

Czerny: no a una narrativa negativa sui migranti

La responsabilità di agire per assicurare l’istruzione a rifugiati e sfollati e favorire la comprensione del fenomeno delle migrazioni al centro dell’intervento del cardinale prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano all’incontro “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti” alla Gregoriana. Tra i partecipanti, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi

Fausta Speranza – Città del Vaticano

I governi, gli operatori, le comunità, la Chiesa hanno responsabilità complementari nell’obiettivo di assicurare un’istruzione di qualità a coloro che sono stati sradicati dalle proprie case: così il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano, all’incontro internazionale intitolato “Iniziative per l’istruzione di rifugiati e migranti”, che si è aperto oggi alla Pontificia Università Gregoriana e che si concluderà giovedì 29 settembre con l’udienza dei partecipanti dal Papa. Nel sottotitolo, l’invito ad andare “in profondità” e “insieme”. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, interverrà al termine dei lavori il 28 pomeriggio. Tra gli interventi previsti nel pomeriggio della prima giornata, anche quello del  Direttore Internazionale del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, padre Thomas Smolich.

Si tratta di un dialogo tra rappresentanti del mondo accademico, di Ong, di agenzie internazionali che si occupano di migranti, rifugiati, sfollati, in particolare in relazione al tema scelto dell’istruzione e alla visione generale ispirata dai sottotitoli: “In movimento – Immersi – Insieme”. Nei vari workshop previsti intervengono anche rappresentanti di studenti e tra i temi affrontati c’è anche quello concreto dei contesti familiari.

Che significa dire “insieme”

Il cardinale Czerny ha iniziato e concluso il suo intervento soffermandosi sulla parola “insieme”, sottolineando che “solo attraverso sforzi congiunti possiamo realizzare e sostenere opere fondamentali di giustizia, compassione e dignità umana: restituire ai migranti e ai rifugiati ciò che hanno perso lasciando – fuggendo o dislocati con la forza – i loro luoghi di origine”. Serve, ricorda il prefetto, “una chiara missione e generosità di spirito” .

Ci sono “molte buone pratiche sviluppate da organizzazioni cattoliche che potrebbero e dovrebbero essere replicate”. Così il cardinale  ne ricorda alcune: fornendo istruzione attraverso le tecnologie e l’apprendimento a distanza;  le borse di studio per rifugiati e migranti che consentiranno loro di prosperare e crescere.

L’obiettivo comune

La finalità deve essere chiara: “Offrire a coloro che sono stati sradicati dalle loro case, l’opportunità di un’istruzione di qualità per diventare uomini e donne per gli altri, fratelli tutti, custodi della nostra casa comune”. Nel concreto, per “promuovere percorsi formativi che portino all’autosostentamento delle persone migranti”.

Lo scandalo di una narrativa negativa

Dalle parole del cardinale Czerny emerge l’importanza del contributo che proprio il mondo delle Università possono dare per una narrativa   intorno alle migrazioni diversa da quella negativa che troppo spesso si impone. E l’avvertimento è per tutti: “Non trascuriamo lo scandalo dell’ostilità nei confronti di rifugiati e migranti, può sorgere ovunque, anche nelle comunità cattoliche e accademiche di tutto il mondo”. Precisamente, citando l’Enciclica del Papa, il cardinale raccomanda “una valutazione sana e onesta delle cause profonde della migrazione forzata contemporanea, evidenziando le responsabilità dei paesi leader, controbilanciando una comprensione ristretta del bene comune e della giustizia distributiva, con nuove valutazioni etiche: il bene di tutta l’umanità, come in Fratelli tutti”.

Questione di risorse

Il quadro richiamato dal prefetto è essenziale: alcuni Paesi non hanno le risorse per fornire istruzione ai propri cittadini, tanto meno ai nuovi arrivati poveri. Altri Paesi, sebbene dotati di risorse migliori, adottano politiche che impediscono o ritardano l’accesso all’istruzione da parte dei nuovi arrivati. Altri erigono barriere finanziarie. Inoltre, i rifugiati di solito non hanno la libera circolazione necessaria per sfruttare le opportunità di formazione e istruzione. Il punto è che l’istruzione deve essere offerta in molti luoghi e circostanze: idealmente in istituzioni preposte, ma anche nei campi e in contesti urbani marginali, dove attualmente vive metà della popolazione rifugiata.

Strumenti utili già collaudati

Ci sono “molte buone pratiche sviluppate da organizzazioni cattoliche che potrebbero e dovrebbero essere replicate”. Così il cardinale  ne ricorda alcune: fornendo istruzione attraverso le tecnologie e l’apprendimento a distanza;  le borse di studio per rifugiati e migranti che consentiranno loro di prosperare e crescere.

Tra analisi e comprensione

Secondo il prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, è importante “affrontare i problemi non in un quadro deduttivo derivato da fonti dottrinali, ma attraverso un’analisi induttiva degli eventi”. Significa – chiarisce – “affidarsi veramente all’aiuto dello Spirito per individuare nuove strade e scelte coraggiose”. “L’educazione ridotta a mera istruzione tecnica, o mera trasmissione di informazioni, diventa un’educazione alienata e frammentata. Credere di poter trasmettere la conoscenza senza preoccuparsi della sua dimensione etica è essenzialmente abbandonare il compito di insegnare”.

La responsabilità di risposte adeguate

“Non esiste una soluzione univoca e universale alle difficoltà poste dalle realtà sociali odierne”: così il cardinale Czerny mette in luce tutto il valore dello studio e della ricerca continui che servono per trovare risposte adeguate alle complessità. E questo vale per “ogni comunità cristiana nel proprio specifico contesto”. Da qui, l’importanza di porsi alcuni interrogativi che il porporato presenta: “In che modo la tua ricerca contribuisce a vedere più profondamente e ampiamente? In che modo il tuo insegnamento incarna il giudicare ciò che vale la pena di trasmettere e come forma le coscienze ad affinare la loro capacità di giudicare? E qual è l’azione non solo di ricercatori e insegnanti, ma anche, ad esempio, di datori di lavoro e di difensori della società civile?”.

La fase chiave dell’istruzione secondaria

Le opportunità di lavorare, guadagnarsi da vivere ed essere autosufficienti sono i modi più efficaci per i rifugiati di ricostruire le proprie vite, sottolinea il capo Dicastero, citando il terzo slogan dell’incontro internazionale: ‘Scavando più a fondo’. Il punto essenziale è che “l’istruzione post-secondaria incoraggia lo sviluppo di un sostentamento sostenibile che non dipenda dagli aiuti umanitari”. Se il divario educativo tra i rifugiati e i loro coetanei della comunità ospitante mina l’integrazione dei bambini nella comunità locale, la situazione è particolarmente grave ai livelli di istruzione superiori. Oggi – ricorda il prefetto vaticano – solo il cinque per cento dei rifugiati ha accesso all’istruzione e alla formazione post-secondaria, nonostante che queste opportunità di apprendimento e istruzione siano essenziali per il loro successo.

Passi concreti tra titoli di studio e curricula

Un altro contributo importante può essere il riconoscimento reciproco delle qualifiche accademiche (non solo lo scambio dei titoli di studio) tra le università cattoliche come “modo concreto per responsabilizzare rifugiati e migranti”. Dunque, raccomanda il cardinale Czerny, “occorre riconoscere le competenze accademiche e professionali dei rifugiati e dei migranti, e ciò richiede un’adeguata valutazione nonché corsi di aggiornamento e riqualificazione”. Inoltre, è anche importante offrire corsi di formazione per agenti pastorali impegnati in diversi programmi rivolti a rifugiati e migranti;  altri programmi per preparare futuri decisori politici e dirigenti di governo, introducendo moduli su migrazione e asilo in vari curricula.

I fondamenti dell’insegnamento sociale cattolico

Preciso il richiamo all’insegnamento sociale cattolico che – dice il porporato – offre un quadro che può aiutare a esplorare, condividere idee e iniziare a lavorare insieme”. E cita le parole di Papa Francesco alla Conferenza Internazionale dei Dirigenti delle Università Cattoliche, il 4 novembre 2019: “Con la vostra apertura universale (proprio come universitas), potete fare in modo che l’Università Cattolica diventi un luogo dove soluzioni per il progresso civile e culturale per le singole persone e per l’umanità, improntate alla solidarietà, sono perseguite con perseveranza e professionalità. Puoi anche esaminare ciò che è contingente senza perdere di vista ciò che ha un valore più generale. Vecchi e nuovi problemi devono essere studiati nella loro specificità e immediatezza, ma sempre nella prospettiva della centralità della persona e in un’ottica globale”.

Un’ottica davvero internazionale

Il cardinale Czerny cita ancora espressioni di Papa Francesco alla Conferenza del 4 novembre di tre anni fa per ribadire che “l’approccio interdisciplinare, la cooperazione internazionale e la condivisione delle risorse sono elementi importanti che possono permettere all’universalità di tradursi in progetti condivisi e fruttuosi a favore dell’umanità, di tutti gli uomini e dell’ambiente in cui vivono e crescono”. L’obiettivo è fondamentale: “I frutti dello studio non siano acquisiti in modo autoreferenziale, concernente solo la formazione professionale, ma abbiano una finalità relazionale e sociale”.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-09/istruzione-migranti-rifugiati-chiesa-governi-universita-czerny.html

Il Papa ai Premostratensi: le scelte economiche siano a servizio della giustizia sociale

Nel ricordare il nono centenario della fondazione dell’Abbazia di Prémontré, avvenuta nel giorno di Natale del 1121, Francesco parla ai Canonici Regolari dell’importanza di prendere decisioni all’interno delle comunità religiose secondo criteri che sostengano la missione e il servizio dei poveri: l’idolatria dei soldi ci allontana dalla vera vocazione

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Prémontré, piccolo paesino nel nord della Francia divenne  la fucina in cui prese forma la proto-comunità dell’Ordine dei Premostratensi, dopo la prima professione di San Norberto e dei suoi primi compagni nel giorno di Natale del 1121. Lo ricorda il Papa, nell’incontro, questa mattina, con i Canonici Regolari Premostratensi, un anno dopo quell’anniversario, aggiungendo che molte abbazie e monasteri dell’Ordine, sorti in seguito, celebreranno il loro nono centenario di fondazione nei prossimi anni.

Il tempo della riflessione

La storia degli Ordini religiosi – spiega il Papa – evidenzia spesso una certa tensione tra il fondatore e la sua fondazione. E questo è buono – aggiunge a braccio – perché quando non c’è la tensione, il fondatore prende tutto con sé e l’istituto muore con il fondatore. Dunque, “la tensione fa crescere la comunità, l’ordine religioso”. San Norberto  fu un missionario, predicatore itinerante e, da arcivescovo di Magdeburgo, pianificò l’evangelizzazione dei confini dell’allora impero germanico. Poi furono fondate altre abbazie e monasteri dell’Ordine che si apprestano a celebrare il loro nono centenario di fondazione. E dunque il Papa invita a riflettere su come “il carisma missionario di San Norberto potesse attuarsi in comunità stabili e legate a un determinato luogo”. L’organizzazione dell’Ordine ha favorito una grande stabilità nei secoli, dice il Papa. Molti dei monasteri e abbazie sono profondamente legati agli eventi felici e alle prove, all’intera storia di una particolare regione. E sottolinea:

Questa simbiosi ci fa già intuire come stabilità e missione, vita in un luogo ed evangelizzazione possano camminare di pari passo.

Tra buoni propositi e errori senza vergogna

Una consapevolezza: “La presenza di una comunità di sorelle o fratelli è come un faro luminoso nell’ambiente circostante. Eppure, la gente sa anche che le comunità religiose non sempre rispondono pienamente alla vita a cui sono chiamate”. Dunque l’incoraggiamento del Papa:

L’esperienza cristiana concreta è fatta di buoni propositi e di errori, consiste nel ricominciare ancora e ancora e ancora. Non avere vergogna di questo! È la strada.

Il valore della conversione

“Non per nulla – mette in luce il Papa – nella vostra professione canonicale, voi promettete di condurre una vita di conversione e di comunione”, perché “senza conversione non c’è comunione e proprio questo ricominciare e convertirsi alla fraternità è una chiara testimonianza del Vangelo, più di tante prediche”.

Il pregio di una missione ospitale

Francesco mette in evidenza il carattere pubblico e accessibile delle celebrazioni nelle chiese dell’Ordine dei Premostratensi,  affermando che “fedeli e passanti sono i benvenuti e sono coinvolti nella comunità orante” e ribadendo:

La cultura della convivenza fraterna, della preghiera comunitaria, che fa posto anche alla preghiera personale, è il fondamento di una vera ‘ospitalità missionaria’, che mira a far sì che gli ‘estranei’ diventino fratelli e sorelle.

La comune e fedele celebrazione della Liturgia delle Ore e dell’Eucaristia riporta continuamente alla fonte della comunione, ricorda il Papa sottolineando che “la preghiera della Chiesa non conosce confini”.

Tra ispirazione fondamentale e nuove circostanze

In riferimento alla storia, il Papa ricorda che molti Premostratensi sono stati missionari, parla di “una storia di coraggio e di abnegazione” e della consapevolezza sopraggiunta nel tempo che che la missione, nel vostro Ordine, poteva comportare la costituzione di nuove comunità stabili in terra di missione. Da qui nuovi monasteri e abbazie che sorsero in contesti molto diversi da quello europeo. La sfida era “puntare sull’essenziale e sottoporre le forme tradizionali a una giusta critica, per distinguere ciò che è necessario e universale e ciò che può e deve essere adattato alle circostanze”. L’incoraggiamento del Papa:

Nella misura in cui rivivrete, per così dire, i vostri inizi, potrete capire qual è la vostra ispirazione fondamentale.

Con una precisazione: “Nessuna comunità può pretendere di imporre la propria identità alle altre. Piuttosto si tratta di riconoscere quanto si condivide come espressione del carisma comune”.

Adesione alla realtà nello spirito del carisma

I Canonici Regolari – dice il Papa – sono missionari perché, in virtù del loro carisma, cercano sempre di partire dal Vangelo e dai bisogni concreti della gente. Il popolo non è un’astrazione: “è fatto di persone che conosciamo”, comunità, famiglie, individui con un volto concreto legate all’abbazia o al monastero perché vivono e lavorano nella stessa regione”. Dunque l’invito a un dialogo profondo: “Avere capacità di inserirsi culturalmente nel popolo e dialogare con il popolo e non rinnegare il popolo dal quale noi siamo venuti, questo è un carisma che ci fa atterrare continuamente nella realtà”.

Lo slancio missionario di una casa premostratense si traduce – fa notare il Papa – in scelte concrete in campo sociale, economico e culturale. In molti casi si tratta di occuparsi della manutenzione e conservazione di un patrimonio culturale e architettonico. Ribadendo che “l’attività economica serve alla missione e alla realizzazione del carisma, non è mai fine a sé stessa”, Papa Francesco avverte:

Quando in un ordine religioso, anche in una diocesi può darsi, prende il sopravvento l’attività economica e tutto va avanti, si dimentica la gente subito e si dimentica quello che ha detto Gesù: che non si può servire a due signori. ‘O tu servi a Dio – io mi aspettato che dicesse ‘ o al diavolo’, no? Non dice al diavolo – o ai soldi’. L’idolatria dei soldi. Questo ci allontana dalla vera vocazione.

Non dimenticare le conseguenze

“Le scelte economiche e sociali non sono separate dalla missione”, spiega il Papa che para di “saggia apertura nella condivisione dei beni culturali, giardini e aree naturali” che “può contribuire al dinamismo di un’area più ampia”. E il Papa parla delle responsabilità di essere “datori di lavoro” o di avere contatti con gli enti pubblici e varie società, di fare  investimenti:  “possono contribuire a sviluppare buone iniziative”. Una domanda è sempre necessaria:

“Quali saranno le conseguenze per i poveri, per i nostri ospiti, per i visitatori che vedono la nostra attività economica? Le nostre scelte economiche sono espressione della semplicità evangelica o siamo degli imprenditori già, no? Favoriscono l’accoglienza e la vita fraterna? E non si possono servire due signori. Stati attenti. Il diavolo, di solito, entra dalle tasche.

Il Papa parla di premura per la buona gestione e sottolinea che “occorre esercitarla per quanti sono al di fuori della rete sociale, per coloro che sono emarginati a causa dell’estrema povertà o fragilità e, per questo, difficili da raggiungere”. Alcune necessità possono essere alleviate solo attraverso la carità, primo passo verso una migliore integrazione nella società.

Attenzione alla sostenibilità

A proposito degli interrogativi sulle conseguenze bisogna pensare all’ambiente:

La sostenibilità è un criterio-chiave, come pure la giustizia sociale.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-09/papa-premostratensi-missione-fraternita-economia-poveri.html

Onu, Parolin: l’istruzione sia “integrale” per servire la pace

Nessuna paura di rinnovare i percorsi formativi se l’obiettivo è un “villaggio educativo” che promuova i valori del rispetto, del dialogo e della solidarietà. Questo il messaggio centrale dell’intervento del segretario di Stato al vertice delle Nazioni Unite “Transforming Education Summit. Il richiamo alle parole di Papa Francesco: “L’istruzione è uno dei modi più efficaci di rendere più umani il nostro mondo e la nostra storia”

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’istruzione ci aiuterà a superare le numerose fratture esistenti nelle nostre società, costruendo comunità più forti e resilienti, basate sui valori della fraternità umana e della solidarietà reciproca. E’ la convinzione espressa dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nell’intervento ieri a New York al “Transforming Education Summit”, appuntamento voluto all’inizio della settimana dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il cardinale ha sottolineato che Papa Francesco ha parlato chiaramente dell’imoprtanza di avviare senza paura un processo di trasformazione e di guardare al futuro con speranza, invitando tutti – giovani, insegnanti, responsabili politici e società civile – a essere protagonisti di questa alleanza impegnandosi a livello personale e sociale a coltivare insieme il sogno di un umanesimo solidale, rispondente alle attese umane e al progetto di Dio.

L’urgenza di un patto globale

“Lo scoppio della pandemia di Covid-19 e ora la guerra in Ucraina per non dimenticare i tanti altri conflitti in corso in diverse regioni del mondo, – ha sottolineato il cardinale Parolin – rendono sempre più urgente la necessità di un patto educativo globale”. E il Segretario di Stato ha parlato della necessità di creare un “villaggio educativo”, in cui tutte le persone, secondo i rispettivi ruoli, condividano il compito di formare una rete di relazioni aperte e umane. Ha ricordato il proverbio africano che avverte: ci vuole un intero villaggio per educare un bambino. Per poi ribadire che dobbiamo creare un villaggio del genere prima di poter educare” e spiegare che in primo luogo, occorre sgombrare il terreno dalle discriminazioni e lasciare che la fraternità fiorisca.

Il richiamo al primo Global Compact on Education

Mosso dalla forte convinzione che attraverso l’istruzione si possa lottare per un mondo migliore, a pochi mesi dallo scoppio della pandemia di Covid-19 Papa Francesco – ha ricordato il porporato – ha lanciato il “Global Compact on Education”, sottolineando, nel suo messaggio del 15 ottobre 2020 che l’istruzione è “uno dei modi più efficaci di rendere più umani il nostro mondo e la nostra storia”. Da qui l’idea di coinvolgere molteplici attori e stakeholders internazionali, con il segretario di Stato che ha sottolineato come il processo per l’attuazione di questo Global Compact sull’istruzione abbia dato vita a molte nuove iniziative in ambito continentale e locale.

Un tema vitale

La Santa Sede, nelle parole del cardinale Parolin, ha ringraziato il segretario generale dell’Onu per aver convocato questo incontro su “un tema così vitale”. E il porporato si è soffermato sull’importanza del “ricostruire la fragile alleanza educativa introducendo le nuove generazioni ai valori del rispetto, del dialogo e della solidarietà attraverso l’investimento delle migliori risorse disponibili nell’istruzione di qualità”.

Quattro pilastri

Con il pensiero al messaggio inviato da Papa al lancio del Global Compact on Education 2022, il 12 settembre scorso, il cardinale Parolin ha invitato tutti coloro che operano nel campo dell’istruzione a farsi guidare da quelli che ha definito quattro pilastri: il primo, il principio classico del conosci te stesso, seguito da vicino da conosci il prossimo, “che ci incoraggia a tenere l’’altro’ in mente, specialmente quelli in situazioni vulnerabili”. Il terzo principio è conoscere la creazione, “che ci ispira a prenderci cura della nostra casa comune”. Ultimo “ma non meno importante”, il principio di conoscere il Trascendente, “che afferma la naturale inclinazione della persona umana verso l’infinito, ampliando il nostro orizzonte e la capacità di scoprire i grandi misteri della vita”. “È questa tensione verso il destino e la vocazione dell’umanità – ha precisato il segretario di Stato – che dà alla formazione il suo significato più profondo e convince i giovani del suo valore”.

Sette percorsi per un’istruzione integrale

Si tratta di una “visione olistica dell’istruzione” che richiede impegni precisi. E il cardinale Parolin ha ricordato l’invito del Papa alle organizzazioni educative di tutto il mondo a rivedere i loro progetti e curricula, intraprendendo sette percorsi precisi.  Innanzitutto, fare della persona umana nel suo valore e nella sua dignità il centro di ogni sforzo educativo, sia formale che informale; ascoltare le voci dei bambini e dei giovani ai quali trasmettiamo valori e conoscenze, per costruire insieme un futuro di giustizia, pace e vita dignitosa per ogni persona; incoraggiare la piena partecipazione delle ragazze e delle giovani donne all’istruzione; vedere nella famiglia il primo ed essenziale luogo della formazione; educare ed essere educati alla necessità di accoglienza e in particolare di apertura verso le situazioni più vulnerabili; trovare nuove modalità di comprensione dell’economia, della politica, della crescita e del progresso che siano al servizio della persona umana e della famiglia umana, nell’ambito di un’ecologia integrale; salvaguardare e coltivare la nostra casa comune, proteggendola dallo sfruttamento delle sue risorse, secondo i principi di sussidiarietà, solidarietà ed economia circolare.

L’obiettivo finale: rendere l’istruzione “veramente integrale, superando le dicotomie tra i suoi aspetti cognitivo, emotivo ed etico”.

Chiesa e saperi

Il cardinale Parolin ha ricordato che la Chiesa Cattolica, che dalle sue origini ha sempre accompagnato l’evangelizzazione con la trasmissione di saperi, cultura e scienza – attraverso i monasteri come centri di cultura, attraverso innumerevoli scuole legate alle Chiese locali e con la fondazione delle prime università del mondo occidentale – continua impegnarsi in prima linea nell’istruzione con quasi 220 mila scuole e 1.365 università sparse in tutti i continenti, dove oltre 70 milioni di studenti, molti dei quali non cattolici e non cristiani, ricevono un’istruzione di qualità.

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-09/onu-cardinale-parolin-summit-education-etica-istruzione.html